LA STRANA DIFFIDENZA DI CONFINDUSTRIA NEI CONFRONTI DEL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

NONOSTANTE IL CHIARIMENTO IN DIVERSE OCCASIONI CIRCA IL SIGNIFICATO DI QUESTA ESPRESSIONE, IL VERTICE DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI INDUSTRIALI INSISTE NELL’ALIMENTARE UN EQUIVOCO IN PROPOSITO

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 299, 9 giugno 2014.

Qualche volta vien da pensare che Confindustria sulla riforma del mercato del lavoro non abbia le idee chiare. Leggiamo sul Sole di qualche giorno fa questo titolo a tutta pagina: “Dal leader degli industriali no al contratto a tutele crescenti: semplificare quello a tempo indeterminato”. Ora, il “contratto a tutele crescenti” di cui si sta discutendo in Commissione al Senato non è l’ennesimo tipo di contratto di lavoro che si aggiunge a quelli esistenti, e neppure il “contratto unico” che li sostituisce tutti, ma è proprio il buon vecchio contratto a tempo indeterminato regolato in modo più leggero, con una protezione della stabilità minima all’inizio, via via maggiore col crescere dell’anzianità di servizio. La cosa curiosa è che questo era stato chiarito in modo molto esplicito ai vertici di Confindustria già nel corso di un seminario a porte chiuse da essa stessa organizzato il 3 aprile scorso, e poi di nuovo durante l’audizione dei suoi rappresentanti in Commissione Lavoro, quando essi erano venuti a esprimere le loro perplessità sull’introduzione di questa “nuova figura”: non si sta ragionando di un “nuovo tipo contrattuale”, ma soltanto di una nuova disciplina, più flessibile e adatta ai tempi attuali, del contratto di lavoro ordinario. Perché dunque complicare le cose insistendo con dichiarazioni che hanno il solo effetto di disorientare l’opinione pubblica? Non si rendono conto, a viale dell’Astronomia, che il processo di semplificazione delle norme deve partire anche da una semplificazione del dibattito sull’argomento?

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