FIN QUI L’UNIONE EUROPEA È STATA DI FATTO GOVERNATA DAL PPE, A TRATTI D’ACCORDO CON IL PSE: SE VOGLIAMO UN SUO GOVERNO PIÙ DETERMINATO, AL TEMPO STESSO, IN DIREZIONE DELL’EUROPA FEDERALE E DI UNA MAGGIORE PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA, LA SCELTA MIGLIORE È QUELLA PER L’ALDE DI GUY VERHOFSTADT (IN ITALIA, “SCELTA EUROPEA”)
Intervento dello studioso di storia politica Livio Ghersi sul web, 13 maggio 2014
Quando i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea pensano alla propria condizione di europei è probabile che prevalga in loro uno stato d’animo improntato non all’orgoglio, non alla speranza di un futuro migliore, ma alla malinconia. Molti Stati europei vantano un grande passato, di cui restano significative testimonianze nella letteratura, nelle arti figurative, nella musica. È però diffusa la consapevolezza che nessuno Stato potrà conoscere ancora i fasti di altre epoche storiche, quando le Nazioni europee, alternandosi fra loro, dominavano il mondo e traevano forza, ricchezze e materie prime da estesi imperi coloniali. L’Europa da tempo non è più il centro del mondo; il suo declino era già di tutta evidenza nel 1919, quando si cominciarono a fare i bilanci delle devastazioni provocate dalla prima guerra mondiale. In fondo, però, sono gli stessi europei che, in nome dei propri ideali, hanno dismesso qualsiasi ambizione di primazia politica e militare: chi si riconosce in ideali di libertà, di democrazia, di giustizia, non sogna più imperi né colonie, ma vuole semplicemente che tutti i popoli della Terra abbiano pari opportunità di competere e di affermarsi nell’economia globale.
La generale malinconia europea si accentua in una specifica malinconia italiana: qui il senso della decadenza si tocca con mano. La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo certamente non appassiona. Gli Italiani, se non sono indifferenti sono ostili, perché si sono resi conto che quote crescenti di sovranità nazionale sono state cedute alle Istituzioni dell’Unione Europea, senza però che questa cessione avvenisse con la necessaria trasparenza e la dovuta informazione. A ben vedere, si tratta di una critica che dovremmo imparare a rivolgere alle nostre classi dirigenti, perché sono loro ad averci tenuto all’oscuro e disinformato. E’ poi senso comune che l’Unione Europea, nel tentativo di fronteggiare la crisi finanziaria ed economica globale, che data dagli anni 2007-2008, abbia adottato un indirizzo di politica economica sbagliato. Sbagliato perché si sono sottovalutati i costi sociali della crisi, dando invece assoluta priorità al rigore finanziario nella tenuta dei conti pubblici. Gli organi di informazione di massa, e con loro il ceto politico, si sono finalmente accorti che il trattato cosiddetto del “Fiscal compact” presenta seri problemi di sostenibilità economica per un Paese come il nostro. Peccato abbiano maturato questa consapevolezza in un momento successivo alla ratifica parlamentare del trattato medesimo (si veda la legge 23 luglio 2012, n. 114). In precedenza, tutti coloro che avevano provato ad esprimere critiche sono stati trattati come pericolosi eversori. Quel che l’opinione pubblica ancora non sa è che il “Fiscal compact” si limita a rendere più cogenti, per gli Stati membri dell’eurozona, regole già enunciate in tanti altri recenti atti normativi dell’Unione Europea. Basterebbe richiamare i regolamenti di riforma del Patto di stabilità e crescita, del novembre 2011. Per eccesso di furbizia, o per semplice incapacità a prendere sul serio gli impegni che si assumono, i governanti italiani sono maestri nel sollevare accorate proteste sei mesi dopo, per patti che hanno sottoscritto (si presume liberamente) sei mesi prima. L’ignoranza si sposa con la furbizia: così oggi ci si lamenta per la regola secondo cui il disavanzo annuo del bilancio dello Stato deve essere contenuto entro il tre per cento del PIL (Prodotto interno lordo). Senza tenere conto che la predetta regola discende dal Trattato di Maastricht del 1992. Nel frattempo, i nostri solerti governanti si sono impegnati a ben altro. La nuova regola sul disavanzo è che il bilancio deve essere in pareggio e, quando proprio non sia possibile, il disavanzo ammesso debba essere contenuto entro lo 0,50 per cento del PIL. Ma c’è molto di più: mentre prima si tollerava che l’altra regola, concernente il rapporto tra ammontare complessivo del debito pubblico del Paese e PIL nazionale, non venisse rispettata, ora invece l’Unione Europea ne pretende il rispetto. Così ci siamo impegnati ad eliminare in vent’anni la parte di debito pubblico eccedente il 60 per cento del PIL. Per comprendere di cosa si stia parlando, il debito pubblico italiano è oggi pari al 132,6 per cento del PIL (dati della Banca d’Italia riferiti al 2013). In altre parole, si tratterebbe di ripianare in vent’anni una cifra corrispondente al valore attuale del 72,6 % del PIL nazionale. Ovviamente, la situazione potrebbe migliorare sensibilmente se il PIL ricominciasse a crescere. Con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, sono stati modificati ben quattro articoli della Costituzione (in particolare, l’articolo 81 Cost.). Successivamente, è stata approvata la legge 24 dicembre 2012, n. 243, che reca “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione”. Il tutto era finalizzato a dimostrare ai nostri partners europei che l’Italia faceva sul serio nell’applicare la normativa europea in materia di conti pubblici. Ma le nostre classi dirigenti, purtroppo, sono abituate a non prendere troppo sul serio la stessa Costituzione della Repubblica italiana. Così il pareggio di bilancio al momento viene rinviato. Fino a quando? Nelle condizioni date, quali orientamenti dovrebbero seguire gli elettori italiani per migliorare le proprie prospettive? Proviamo ad individuare tre criteri di orientamento.
1) La politica dell’Unione Europea seguita dal 2010 ad oggi ha un indirizzo sbagliato e va profondamente modificata. Bisogna sapere che il gruppo parlamentare maggioritario nell’ambito del Parlamento europeo è stato finora il gruppo del Partito popolare europeo (PPE). Bisogna essere anche consapevoli che questo gruppo ha frequentemente raggiunto intese con il secondo maggior gruppo parlamentare per numero di deputati aderenti: quello del Partito socialista europeo (PSE), che, per essere più esatti, da ultimo era denominato “Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici”. Sono stati espressi dal Partito popolare europeo sia l’ultimo presidente della Commissione europea, José Barroso, sia l’ultimo presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. È stato espresso dai socialisti europei l’ultimo presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.
2) L’Unione Europea resta un traguardo ideale e una necessità pratica. Dal punto di vista ideale, bisogna tendere a una Federazione europea, in cui gli attuali Stati membri (Italia, Germania, Francia, Spagna, eccetera) abbiano un ruolo sostanzialmente identico a quello che hanno gli Stati che aderiscono agli Stati Uniti d’America: ciascuno conserverebbe la propria fisionomia storica e le proprie tradizioni, ciascuno continuerebbe ad amministrarsi con le proprie leggi, ma rilevanti poteri (dalla politica estera alle forze armate, dalla moneta alla disciplina degli istituti di credito, dalla ricerca scientifica e tecnologica alle politiche per l’ambiente e per il clima) verrebbero attribuiti agli organi di governo ed alle istituzioni che operano a livello federale. Ciò richiederebbe una Costituzione della Federazione europea, che tutti i popoli degli Stati membri riconoscerebbero come propria per averla approvata in libere consultazioni con metodo democratico. Senza perdere di vista l’obiettivo massimo (un compiuto ordinamento federale), che non si può raggiungere da un giorno all’altro, bisogna aver chiaro che già oggi non si può fare a meno dell’Unione Europea, per quanto imperfetta, zoppicante, e piena di contraddizioni, possa apparire. Negli equilibri globali, gli Stati europei, considerati singolarmente, avranno sempre maggiori difficoltà ad essere competitivi, saranno in balìa della speculazione della finanza internazionale, mentre possono sostenersi reciprocamente ed aumentare il proprio peso decisionale se operano come Unità europea, economica, finanziaria, politica, militare. In altre parole, l’Unità Europea, nel suo significato minimo, equivale ad una polizza di assicurazione.
3) Noi Italiani dobbiamo essere i primi a sapere che non si può reggere a lungo con un debito pubblico di dimensioni pari al 132,6 per cento del PIL. Con un indebitamento di tali proporzioni, il Paese è sotto continuo ricatto: quanti ci fanno credito (soprattutto gli investitori internazionali) domani potrebbero accordarcelo a condizioni sempre più esose, o non accordarcelo affatto. Di conseguenza, la serietà dei governanti e dei partiti politici italiani si misura in primo luogo rispetto all’attenzione che pongono, con i fatti, non a chiacchiere, alle esigenze della disciplina finanziaria e di bilancio. Gli sprechi, le ruberie, la corruzione, l’evasione fiscale, sono i fattori che hanno indebolito e minato il nostro Paese, portandolo alle attuali condizioni di avvilimento. La questione non riguarda soltanto il Governo centrale, ma anche le amministrazioni delle Regioni e dei Comuni. Da questo punto di vista, ben vengano alcune novità introdotte dalla legge costituzionale n. 1/2012. Tutte le pubbliche amministrazioni sono tenute ad assicurare “l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea (articolo 97, primo comma Cost.). L’autonomia finanziaria di entrata e di spesa che l’articolo 119, primo comma, Cost., riconosce alle Regioni ed ai Comuni, incontra ora due limiti: il “rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci” e l’obbligo di concorrere “ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”.
Quali fra le liste presentate rispettano i tre criteri di orientamento prima indicati? Azzardo indicando una lista che è stata sistematicamente snobbata dai sondaggi: “Scelta Europea con Guy Verhofstadt”. Negli equilibri politici italiani rappresenta un’autentica novità, quindi è un elemento di disturbo; ma in Europa si ricollega alla consolidata tradizione del Gruppo dei Liberali Democratici. Non a caso ho coniugato il verbo “azzardare”; perché la lista italiana è espressione di una pluralità forze, le quali hanno raggiunto tardi un accordo fra loro. Non tutti i protagonisti, quindi, colgono le potenzialità che io vedo; né tutti sono pronti a giocare fino in fondo un ruolo autonomo da liberal-democratici, che sarebbe assai sgradito all’attuale establishment italiano. Il liberale belga Verhofstadt resta, comunque, un credibile candidato alla presidenza della Commissione. Indica la via di un cambiamento possibile, effettivo senza essere traumatico, nella fedeltà all’ideale europeo.