CONTRARIAMENTE A QUANTO DENUNCIATO DA VARIE PARTI, LE MODIFICHE DELLA CAMERA NON HANNO PREGIUDICATO L’IMPATTO POSITIVO DELLE NUOVE DISPOSIZIONI SUL CONTRATTO A TERMINE – PREVEDERE UN PRIMO “TRIENNIO FACILE” ANCHE NEL CONTR. A TEMPO INDETERMINATO, PERÒ, AVREBBE COMPLETATO POSITIVAMENTE IL PROVVEDIMENTO
Articolo di Giuliano Cazzola pubblicato il 30 aprile 2014 sulla pagina La Nuvola del Lavoro del sito Corriere.it – In argomento v. anche La vicenda del Decreto Poletti vista da Dario Di Vico
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Il decreto Poletti è arrivato al Senato, dopo le polemiche che ne hanno accompagnato l’approvazione alla Camera. Le critiche rivolte al testo di Montecitorio mi sono sembrate eccessive, dettate da motivi di visibilità politica piuttosto che da questioni di sostanza. In fondo, la sinistra del Pd, con le modifiche introdotte, è riuscita a salvarsi a malapena l’anima. Quale altro significato ha, infatti, l’aver voluto ribadire la formula di rito per cui il contratto di lavoro a tempo indeterminato continua a costituire la forma comune di rapporto di lavoro ? Cesare Damiano e i suoi colleghi hanno infilato soltanto qualche zeppa fastidiosa lungo il cammino trionfale della liberalizzazione del contratto a termine: un’operazione, questa, che nemmeno i governi di centro destra avevano osato tentare. Il provvedimento arriva al Senato dove trova ad accoglierlo un agguerrito relatore come Pietro Ichino il quale, giustamente, non rinuncia mai a proporre le proprie convinzioni. Così ha pronto un emendamento che introduce nel testo del decreto la sua proposta (ce ne sono altre di tenore simile) di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti fino ad ora confinato nel disegno di legge delega come misura sperimentale. In sostanza, nei primi 36 mesi questo contratto potrebbe essere risolto ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile a fronte del pagamento di un’indennità soltanto economica (2 giorni di retribuzione per ogni mese di lavoro prestato). Si tratterebbe certamente di un notevole cambiamento della disciplina del recesso. Tale misura, a mio avviso, non sarebbe competitiva, per i datori, con la maggiore flessibilità garantita dalla ‘’acausalità’’ del contratto a termine per tutta la sua possibile durata. Del resto se consideriamo la funzione dei due istituti ci accorgiamo che è più o meno la stessa: mettere a disposizione dell’impresa, per un congruo arco temporale, un lavoratore ‘’licenziabile’’ senza dover passare per le forche caudine di un giudizio, per quanto riguarda sia la causale dell’assunzione nel caso di rapporto a termine, sia il motivo del recesso nel contratto a tempo indeterminato. Perché allora creare un doppione soltanto per attribuire un diverso nomem juris ad un rapporto sostanzialmente analogo nelle finalità e negli esiti ? Meglio, allora, conservare l’impostazione iniziale affidando il contratto a tutele crescenti alla delega e alla sperimentazione. Metterlo in parallelo con il contratto a termine riformato sarebbe come far viaggiare, manzonianamente, un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di bronzo.