QUANDO TUTELARE È INGANNARE

LA VICENDA DEL DECRETO POLETTI SUL LAVORO PONE IN EVIDENZA COME LA DIFESA A OLTRANZA DELL’INTANGIBILITÀ DELLA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO PRODUCA L’EFFETTO DI UN ENORME AUMENTO DEI CONTRATTI A TERMINE

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 24 aprile 2014 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 7 aprile: Lo strano modo di ragionare della vecchia sinistra sul lavoro

Com’era purtroppo prevedibile, il governo ha dovuto porre la fiducia sul decreto lavoro, per evitare un’irreparabile spaccatura all’interno della maggioranza e dello stesso Pd. Il testo su cui si vota è peraltro molto peggiore di quello iniziale e l’idea è di modificarlo di nuovo in Senato: assurdità del nostro bicameralismo “perfetto”. Non è chiaro perché Renzi e Poletti abbiano scelto di presentare il decreto alla Camera, dove c’è una Commissione  mal disposta al cambiamento.
L’obiettivo dichiarato della sinistra Pd e della Cgil è difendere a oltranza il contratto di lavoro a tempo indeterminato, così come funziona adesso. Intendiamoci: a nessuno piace la precarietà, anche per l’Unione europea la forma d’impiego prevalente dovrebbe essere quella a tempo indeterminato. Ma l’assenza di limiti temporali va associata a possibilità reali di interrompere il rapporto contrattuale in relazione a esigenze economiche o organizzative dell’impresa. Invece di mettere i lavoratori nel frigorifero della Cassa integrazione, spesso solo fingendo che possano essere riassorbiti, occorre assicurare loro efficienti percorsi di ricollocamento e indennità adeguate durante la transizione da un posto all’altro. È così che funziona negli altri Paesi, mentre noi siamo intrappolati in un circolo vizioso. L’assenza di ammortizzatori sociali universali e di politiche attive per il re-impiego diventa un alibi per mantenere in vita le varie Casse integrazione. Tali forme di tutela, altamente discrezionali, consentono alle imprese di gestire gli esuberi pur in presenza dell’articolo 18. Quest’ultimo resta così la vera e propria «variabile indipendente» del sistema. Il risultato è il dualismo fra garantiti e non garantiti, che sono prevalentemente giovani. In un’economia aperta non ci possono essere regole immutabili, valide a prescindere.
I diritti sociali sono sacrosanti, ma vanno calibrati in base alle trasformazioni strutturali del mercato, in un processo di reciproco bilanciamento. Le nostre regole sul contratto a tempo indeterminato rispecchiano la situazione degli anni Settanta. La vera sfida riformista non è difendere quelle norme, ma adattarle, introducendo nello stesso tempo nuovi diritti (alla formazione, alla conciliazione e così via). È da tempo che si discute di contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti. La sua sperimentazione è prevista nella legge delega del governo, il cosiddetto Jobs Act. L’idea di inserirlo già nel decreto è circolata nelle battute finali del negoziato in Commissione, ma è stata scartata. Vale senz’altro la pena di riprovarci al Senato. Dove sarà però necessario alleggerire i vincoli posti dalla Camera, altrimenti è ben difficile che il provvedimento generi significative ricadute occupazionali. Diamo per scontato che i tecnici del governo stiano comunque lavorando alacremente ai contenuti della legge delega. L’economia europea è ripartita, senza una riforma di ampio respiro l’Italia resta ferma.

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