USCIRE DALL’EURO, UN DISASTRO DA EVITARE CON OGNI MEZZO

LA SCORCIATOIA PROPUGNATA DA GRILLO AVREBBE IL SOLO EFFETTO DI FAVORIRE LA RESISTENZA ALLE RIFORME INDISPENSABILI AL NOSTRO PAESE, SENZA FACILITARE AFFATTO IL RILANCIO DELL’ECONOMIA ITALIANA, BENSÌ ANZI CHIUDENDOLA ULTERIORMENTE AGLI INVESTIMENTI STRANIERI

Appello di Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Antonio Padoa Schioppa, Fabrizio Saccomanni, Gianni Toniolo, pubblicato sul Corriere della Sera del 9 aprile 2014 – I firmatari collaborano, a vario titolo, alla Luiss School of European Political Economy (SEP) – Quanti intendono aderire alle posizioni qui espresse, possono sottoscriverle inviando un e-mail a SEP@Luiss.it

.

Più le elezioni europee si avvicinano e più la campagna elettorale viene dirottata sul tema dell’uscita dell’Italia dall’euro. È giusto chiedere che la politica condotta nell’area dell’euro produca soluzioni più efficienti per l’Italia e per gli altri Stati membri di quelle degli anni passati. Ciò non toglie che uscire dall’euro aggraverebbe i problemi italiani, metterebbe a rischio l’integrità della costruzione europea e impedirebbe di proporre politiche alternative rispetto a quelle attuali.
L’entrata dell’Italia nell’euro non era stata il frutto di sogni astratti di alcuni idealisti o dei complotti di speculatori finanziari. Fu la scelta consapevole del Parlamento Italiano per porre fine a due decenni di turbolenze monetarie e di disordine delle finanze pubbliche; la scelta di un paese fondatore che non voleva essere escluso dal processo di integrazione. Prima dell’unione monetaria, le periodiche svalutazioni del cambio avevano portato l’inflazione in Italia oltre il 20 per cento, senza migliorare durevolmente la competitività. Deficit di bilancio elevati e crescenti (fino a due cifre) avevano solo fatto aumentare a dismisura il debito pubblico, di cui tuttora paghiamo gli oneri gravosi, senza promuovere una crescita stabile. I tassi d’interesse erano arrivati a livelli proibitivi per i mutui delle famiglie e il credito alle imprese. Chi propone l’uscita dall’euro vuole in realtà tornare a quel modo di governare l’economia che la storia ha già condannato come fallimentare.
I vantaggi dell’autonomia monetaria si rivelerebbero illusori. Al fine di contenere brusche fluttuazioni del cambio e di evitare fughe precipitose dei capitali, i responsabili delle politiche economiche italiane sarebbero infatti costretti a inseguire le politiche scelte dalle aree dell’euro e del dollaro.
Reintrodurre la lira significherebbe imporre ai cittadini italiani la conversione dei loro risparmi nella nuova moneta, destinata a perdere di valore nei confronti dell’euro. Gli italiani subirebbero dunque una svalutazione dei risparmi. Inoltre, la conversione dall’euro alla lira non potrebbe modificare le condizioni dei prestiti contratti dai residenti italiani nei confronti del resto del mondo. La svalutazione della lira determinerebbe quindi un aumento del valore dei debiti verso l’estero degli italiani, ponendo imprese e famiglie di fronte al rischio di insolvenza, con effetti a catena sul resto del sistema economico.
Il passaggio dall’euro alla lira non risolverebbe i problemi strutturali che da anni attanagliano l’economia italiana: dalla rigidità dei mercati dei beni all’inefficiente utilizzo delle risorse umane; dal basso livello di scolarizzazione e di investimenti in ricerca alla produttività stagnante; dall’eccesso di regolamentazione burocratica che scoraggia gli investimenti produttivi all’arretratezza infrastrutturale; dalla lentezza della giustizia alla mancanza di concorrenza nei servizi locali, fino alla corruzione dilagante. Sono questi i veri nodi che occorre affrontare per ritornare alla crescita, combattere la disoccupazione, dare un futuro ai giovani. L’euro non ne ha colpa.
Al contrario: l’uscita dall’euro rafforzerebbe la parte meno competitiva del paese, quella meno aperta all’innovazione e maggiormente arroccata a difesa di privilegi che non hanno più ragione di essere. Sarebbe una fuga all’indietro verso una società più chiusa e introversa che danneggerebbe soprattutto i più giovani e le fasce più deboli della società.
Ritenere che si possa uscire dall’euro e al contempo rimanere a far parte a pieno titolo dell’Unione è una pura illusione. Da un lato l’Italia verrebbe emarginata e isolata. Dall’altro, l’uscita dell’Italia indebolirebbe gravemente l’Europa in una fase storica cruciale in cui ha semmai bisogno di compattezza per far fronte alla nuova instabilità politica che sorge alle sue frontiere.
In conclusione, la proposta di uscire dall’euro, come se questa fosse una ricetta magica, non solo è basata su premesse sbagliate, ma distoglie l’attenzione dai reali problemi del paese e toglie alla politica la responsabilità di fare proposte concrete per risolverli. Impedisce all’Italia di contribuire ai necessari cambiamenti della politica europea per contrastare la deflazione, la disoccupazione di massa e la stagnazione.
L’Europa, e l’euro, non sono certo costruzioni perfette. Ma si possono migliorare solo partecipandovi a pieno titolo.

.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab
/* */