LAVORO: UNA FLESSIBILIZZAZIONE SBILANCIATA (E COME RIEQUILIBRARLA)

LA LIBERALIZZAZIONE DEI CONTRATTI A TERMINE COSTITUISCE L’EFFETTO DEL MURO ERETTO DA SINISTRA CONTRO QUALSIASI SNELLIMENTO DEL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO – ORA I RIPENSAMENTI DELLA CGIL SONO UN’OCCASIONE DA NON PERDERE PER RILANCIARE IL DISCORSO SUL CONTRATTO DI LAVORO A PROTEZIONI CRESCENTI

Intervista a cura di Lorenzo Vendemiale, utilizzata per un servizio pubblicato su Il Fatto quotidiano il 21 marzo 2014

Il primo strumento individuato è quello dei contratti a tempo determinato senza causalità per 36 mesi. Per i sindacati è una saturazione del contratto a termine, che rischia di mettere il lavoratore in una situazione ulteriore di precarietà. Probabilmente è così, ma il governo evidentemente conta così di creare più flessibilità in ingresso e cominciare a sbloccare la questione occupazionale. Secondo lei, in questo senso, saranno maggiori i danni o i benefici?
Questa scelta del Governo Renzi è la conseguenza diretta del muro opposto da sinistra Pd e Cgil all’idea di un contratto a tempo indeterminato a protezioni progressive. Cioè alla prima versione del Jobs Act, che prevedeva appunto questo, per offrire a imprese e lavoratori, in un periodo di gravissima incertezza sul futuro anche a breve termine, la possibilità di assumere a tempo indeterminato senza un eccesso di vincoli. Sarebbe stato questo il modo giusto per puntare a un aumento delle assunzioni stabili, che oggi sono soltanto una su sei. Per fortuna la Cgil si è accorta, sia pure in ritardo, dell’errore; e ora chiede che si torni a parlare del contratto a protezioni crescenti. Meglio tardi che mai!

L’apprendistato. Essenzialmente viene interessato da una semplificazione burocratica (ma non sgravio dei costi). E’ sufficiente per rivitalizzare uno strumento che negli ultimi anni non ha portato ai risultati sperati?
Il costo contributivo dell’apprendistato è già da tempo ridotto al minimo: ridurlo di più non avrebbe senso. Se questo canale di ingresso nel tessuto produttivo non decolla, è per il modo in cui esso è regolato. Qui c’è un problema di grave eccesso di complessità della regolazione; ma il problema non è solo questo. Facciamo un esempio: se il contratto collettivo stabilisce che il rapporto di apprendistato deve durare tre anni, ma poi le cose vanno male ed esso dura effettivamente di meno, per questo solo fatto l’impresa si trova esposta alla contestazione circa l’effettività della formazione impartita, e quindi al rischio di dover pagare tutte le differenze contributive. Un rischio che per lo più le imprese non sono disposte a correre.

Alla legge delega è affidato invece lo sfoltimento delle tipologie contrattuali e il resto delle misure. A parte i dubbi sui tempi di lavoro parlamentare e sui suoi esiti. Prendendo per buoni i principi licenziati dal Cdm, secondo lei il Jobs Act riuscirà ad avere un impatto significativo sul mondo del lavoro, o c’è bisogno di altro?
La delega legislativa per ora sembra formulata a maglie molto larghe. Se il suo contenuto non verrà reso più preciso e stringente prima della presentazione al Parlamento, sarà quest’ultimo a doverlo fare. In modo che l’oggetto della delega sia costituito proprio dall’emanazione di quel Codice semplificato su cui Matteo Renzi si è ripetutamente impegnato nella campagna per le primarie, su cui poi si è impegnato il Governo Letta con il documento Destinazione Italia del settembre 2013 e poi con il documento Impegno Italia 2014 del febbraio 2014. Il testo del Codice semplificato è tecnicamente pronto: lo presentiamo domani al Convegno Adapt nel dodicesimo anniversario della morte di Marco Biagi: ciascuna norma può essere modificata o messa a punto, ma il grosso del lavoro è fatto.

Gli ammortizzatori sociali. Tutti d’accordo sul superamento della cassa in deroga. Resta da capire come, e come utilizzare le (tante) risorse ad essa destinate fino ad oggi. I sindacati contestano l’impostazione degli ammortizzatori modellati sui lavoratori, perché la Cig deve garantire soprattutto il livello occupazionale. Secondo lei quale potrebbe essere una soluzione di compromesso?
Qui non è materia di compromessi: le linee fondamentali della riforma degli ammortizzatori sociali sono già state fissate nella legge Fornero del 2012. Ora si tratta solo di accelerare l’attuazione di quel disegno, riconducendo la Cassa integrazione alla sua funzione originaria, di sostegno del reddito in caso di sospensione del lavoro con ragionevoli prospettive di ripresa alle dipendenze della stessa impresa; e utilizzando le risorse così risparmiate per ampliare e rafforzare l’ASpI, cioè il trattamento universale di disoccupazione. Occorre inoltre coniugare quest’ultimo trattamento con il contratto di ricollocazione, che costituisce il metodo indispensabile per attivare la “condizionalità” del sostegno del reddito erogato ai disoccupati ed evitare che esso produca – come accade oggi – un aumento dei periodi di disoccupazione.

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