PERCHÉ L’IMPEGNO DELL’ITALIA NELLE MISSIONI DI PEACE KEEPING VA MANTENUTO

RISPOSTA A CHI SI OPPONE ALLE NOSTRE MISSIONI PER UN AVARO E MIOPE CALCOLO DI CONVENIENZA ECONOMICA – ANCHE A CHI VORREBBE UTILIZZARE IL RITIRO DEI NOSTRI MILITARI COME ARMA NELLA CONTROVERSIA CON L’INDIA CHE TRATTIENE I DUE MARÒ

Intervento svolto in Senato nella sessione antimeridiana del 27 febbraio 2014, in sede di dichiarazione di voto del Gruppo di Scelta Civica sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 16 gennaio 2014, n. 2,  avente per oggetto la proroga delle missioni internazionali delle Forze Armate e di polizia, nonché delle iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione promosse dalle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione

Signor Presidente, Colleghi,
che calcolo miope è quello di chi propone di tagliare questo uno per mille della nostra spesa pubblica, solo perché essa si riferisce a interventi che si collocano a qualche migliaio di chilometri di distanza dai nostri confini, adducendo a sostegno di questa posizione addirittura l’articolo 11 della Costituzione!
Il Gruppo di Scelta Civica voterà invece a favore della conversione in legge di questo decreto perché, al contrario, siamo convinti che la nostra partecipazione alle missioni internazionali di peace keeping sia necessaria non solo in attuazione della prima parte dell’articolo 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli…”), ma anche e principalmente in attuazione della seconda parte dello stesso articolo 11, che impegna l’Italia a dare il suo contributo alla costruzione di “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”; e quindi a “promuove[re] e favori[re] le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Partecipare alle missioni di peace keeping è necessario anche in funzione della nostra sicurezza nazionale. Perché l’instabilità di altri Paesi costituisce sempre un fattore di rischio anche per noi. Perché la lotta al terrorismo internazionale va combattuta prima di tutto là dove esso nasce. Perché siamo convinti che nel mondo globalizzato la sicurezza nazionale non si difende alla frontiera che ci divide dai Paesi vicini, ma si difende affermando e attuando i principi delle Nazioni Unite, insieme alle nazioni più responsabili, a tutte le latitudini e longitudini.
Veniamo così alla seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione. Noi consideriamo la partecipazione alle missioni di peace keeping un modo molto concreto in cui esprimere concretamente la nostra solidarietà nei confronti dei popoli più poveri e martoriati: una solidarietà che dovrebbe indurci a impegnare ben più di questo uno per mille del nostro bilancio pubblico. Siamo convinti che molte di queste missioni internazionali costituiscono un momento di costruzione della Difesa integrata dell’Unione Europea, capitolo essenziale della costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Siamo convinti infine – e questo  non è certo l’ultimo motivo per importanza – che l’onore e il prestigio che ci deriva dall’assumerci insieme alle nazioni più responsabili il peso di queste missioni costituisce la migliore garanzia del rispetto dei nostri diritti e dell’affermazione dei nostri interessi nei rapporti e nelle controversie internazionali.
Per concludere, questa voce di spesa supera agevolmente anche il criterio più severo di spending review: le spese indebite, gli sprechi, i costi meritevoli di essere tagliati nel nostro bilancio sono tutt’altri;   e si misurano con un paio di zeri in più rispetto a questo di cui stiamo discutendo.
Siamo fieri che oggi le nostre Forze Armate siano impegnate su questa frontiera; e a loro rivolgiamo – anche, ma certo non soltanto con il voto che stiamo per esprimere – il nostro saluto e la nostra gratitudine.

 

 

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