C’È UNA TERZA VIA, TRA L’UBBIDIENZA CIECA E LA RIBELLIONE, CHE IL PREMIER INCARICATO PUÒ E DEVE SEGUIRE: SI BASA SU RIGORE IN PATRIA E POLITICHE ESPANSIVE SU SCALA EUROPEA
Articolo di Antonio Polito pubblicato sul Corriere della Sera del 19 febbraio 2014
Il Pd ha cambiato tutto in un anno, ma non la sua idea per uscire dalla crisi italiana: spera ancora nella clemenza dell’Europa per finanziare un po’ di crescita in deficit. Già durante la campagna elettorale Pier Luigi Bersani scommise su una svolta a sinistra: i socialdemocratici in Germania e i socialisti in Francia avrebbero consentito più spesa e garantito più debito. Ma il sogno di avere in mano il passero dei conti pubblici e sul tetto il piccione della crescita, per usare una metafora a lui cara, non si è realizzato. Una volta al governo, la Spd ha sottoscritto il rigore europeo di Angela Merkel, e François Hollande ha preso la strada «neo-liberale » di forti tagli alla spesa.
Finora Matteo Renzi non ha dato segnali di aver appreso la lezione. Nella sua comunicazione è anzi riapparso, insieme con molti provvedimenti da finanziare con più spesa ordinaria, il proposito di violare il tabù del 3% di deficit, una specie di formula magica usata da tutti coloro che vorrebbero risolvere la crisi italiana sbattendo i pugni (quali?) sul tavolo di Bruxelles.
C’è da sperare che non sia questo il programma del nuovo governo. Si tratta infatti di una via senza uscita. L’Italia ha troppo bisogno di negoziare un percorso più lento di riduzione del suo immane debito (fiscal compact) per poter chiedere più deficit, che produce più debito. D’altro canto l’Europa sta per entrare in campagna elettorale, e di qui all’autunno, quando si insedieranno il nuovo presidente e la nuova Commissione, a Bruxelles non ci saranno neanche i tavoli dove sbattere i pugni.
C’è però una terza via, tra l’ubbidienza e la ribellione, che il premier incaricato può seguire. Si basa su rigore in patria e politiche espansive su scala europea. Per non essere distruttivo, il rigore deve comportare una riforma della spesa pubblica, unico modo di liberare risorse nell’era del deficit zero. Intanto c’è da sperare che il cambio di governo non fermi i tagli «tecnici» della spending review di Carlo Cottarelli. Ma serve anche qualcosa di più politico: togliere a corporazioni e settori protetti per dare a imprese e lavoratori una drastica riduzione della pressione fiscale. È la via maestra della crescita, ma è anche la più difficile per un governo senza mandato elettorale: di solito viene imboccata da premier freschi di voto nei primi anni della legislatura, perché è impopolare e dà risultati solo a lungo termine.
La seconda leva, è cioè un’azione a livello dell’eurozona, richiede invece di andare con le carte in regola al negoziato già in programma al Consiglio di ottobre. È possibile puntare a un contratto-scambio tra riforme strutturali e aiuti per progetti di investimento, da finanziare anche attraverso emissione di debito garantito a livello europeo: i cosiddetti project bond.
È una partita che Renzi può giocare. Il Pd, aderendo tra qualche settimana al Pse, si appresta a chiedere agli italiani un voto alle europee per far eleggere un tedesco presidente della Commissione Ue: un vero azzardo politico di questi tempi. Ha dunque tutto il diritto di legare questo patto elettorale a una battaglia per ottenere a livello federale quello stimolo alla domanda che è illusorio e dannoso promettere da Palazzo Chigi.
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