ABBATTERE SUBITO IL MURO TRA IMPRESE E LAVORATORI

UNA TERAPIA D’URTO PER SBLOCCARE UN MERCATO DEL LAVORO INFARTUATO, CREANDO IN POCHI MESI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO REGOLARI CON UN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO SNELLO E MENO COSTOSO, E FAVORENDO L’INCONTRO FRA DOMANDA E OFFERTA DI SERVIZI ALLE FAMIGLIE E ALLE COMUNITÀ LOCALI

Scheda che Scelta Civica si appresta a presentare, insieme ad altre su fisco, scuola, università e ricerca, al Capo del Governo – 10 febbraio 2014

Sommario: 1. Sperimentazione biennale, in funzione di Expo 2015 e dell’accelerazione della ripresa economica, di un contratto più snello e meno costoso: starter workers e mini-jobs. ‑ 2. Sfruttamento dei giacimenti occupazionali inutilizzati e riduzione della spesa per gli ammortizzatori sociali. – 3. Occupazione aggiuntiva nel settore dei servizi alla famiglia e alle comunità locali.

 

1. Sperimentazione biennale, in funzione di Expo 2015 e dell’accelerazione della ripresa economica, di un contratto più snello e meno costoso: starter workers e mini-jobs

1.1. I problemi

1.1.1. Le imprese italiane operano in condizioni di massima incertezza circa il futuro, anche a breve termine, per di più con un costo orario del lavoro gravato da oneri nettamente più pesanti rispetto agli altri maggiori Paesi europei e con  rigidità normative che rendono comparativamente ancora più alto il costo delle innovazioni organizzative e del tempo parziale.

1.1.2. Solo un contratto di lavoro ogni sei che vengono stipulati in Italia è a tempo indeterminato, anche perché l’indicazione che si è data fin qui è sempre stata nel senso di utilizzare i contratti atipici temporanei per sfuggire alle rigidità del rapporto regolare a tempo indeterminato. L’investimento sul capitale umano compiuto dall’impresa e dalla persona che lavora ne risulta ridotto, quando non azzerato.

1.1.3. Occorre riportare rapidamente dentro il mercato del lavoro regolare almeno una quota di qualche rilievo dei tre milioni di disoccupati e degli altri tre milioni di “scoraggiati” che si contano oggi in Italia, anche a costo di offrire loro occupazioni a tempo parziale, al fine di porre a disposizione delle imprese una offerta di manodopera potenziale che altrimenti resterebbe latente.

1.2. Contenuti dell’esperimento

Proponiamo di mettere per due o tre anni a disposizione di imprese e lavoratori inoccupati e disoccupati un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a protezione crescente, molto flessibile soprattutto nel primo biennio, sul quale concentrare le misure di abbattimento del cuneo fiscale e contributivo.

Sul piano tecnico giuridico, si tratta di combinare un intervento di natura contrattuale collettiva, in forma di accordo interconfederale promosso dal Governo, volto a consentire per le nuove assunzioni uno shock positivo sul fronte del costo retributivo minimo e della riduzione dei vincoli organizzativi (inquadramento professionale, estensione e distribuzione temporale della prestazione), con un intervento sul piano fiscale volto a incoraggiare inoccupati, disoccupati e “scoraggiati” a riattivarsi nel mercato del lavoro e le imprese ad avvalersi del nuovo strumento, e con la definizione di una protezione della stabilità crescente con l’anzianità di servizio, che predetermini un “costo di separazione” minimo all’inizio, destinato ad aumentare gradualmente .

1.2.1. Il contratto di accesso per i (re)starting workers – Il Governo promuove la stipulazione di un accordo interconfederale che istituisce, per le imprese di tutti i settori e per un periodo di due anni, la possibilità di assumere giovani alla prima esperienza di lavoro, o persone di qualsiasi età disoccupate da più di tre mesi, con la qualifica unica e trasversale di (re)starting worker  (solo in difetto di un accordo stipulato dalle confederazioni che rappresentino la maggioranza dei lavoratori, sarà necessario provvedere per legge). L’accordo prevede
– il carattere a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, con periodo iniziale di prova di sei mesi;
– uno standard retributivo minimo orario assoluto (per esempio: 6,5 euro), al di sotto del quale la negoziazione individuale non può andare;
– libertà di determinazione, in sede di contratto individuale, del contenuto delle mansioni e della relativa retribuzione al di sopra del minimo orario;
– libertà di determinazione, in sede di contratto individuale, dell’estensione e della distribuzione temporale del lavoro nell’arco della giornata, della settimana, del mese e dell’anno;
– al termine del primo biennio, la persona interessata perde la qualifica di starting worker, e (salva la facoltà di recesso del datore, di cui v. infra) deve essere inquadrata secondo le regole contrattuali ordinarie applicabili nell’azienda, nonché retribuita secondo i minimi tabellari collettivi, in corrispondenza con l’inquadramento.

Il legislatore statale, dal canto suo, interviene disponendo che, là dove nel biennio aprile 2014-marzo 2016 il contratto di accesso sia stipulato con uno dei soggetti inoccupati o disoccupati definiti come sopra e secondo quanto previsto dall’accordo interconfederale,

A) in tutti i casi (compresi cioè quelli in cui il nuovo contratto non abbia carattere incrementale rispetto all’organico aziendale),
– decorso il semestre di prova, entro il primo triennio il datore di lavoro può liberamente recedere con un preavviso pari a 5 giorni di calendario per ogni bimestre di anzianità di servizio compiutamente maturato; in tal caso il lavoratore è libero di optare per la cessazione immediata con incasso dell’indennità di mancato preavviso;
– durante il primo triennio di durata del rapporto, nei settori soggetti al regime della Cassa integrazione guadagni il contributo dovuto per questo titolo è ridotto allo 0,5 per cento;
– per il periodo successivo al primo triennio la legge determina il regime applicabile in caso di recesso (SC propone la formula light prevista nel d.d.l. 18 aprile 2013 n. 555, con pura e semplice crescita graduale del costo di separazione anche dopo il triennio, ma si possono immaginare anche soluzioni diverse);
– entro il limite massimo complessivo di 36 mesi il contratto di accesso è ammesso anche in forma di contratto a termine acausale, con una indennità di cessazione del rapporto identica a quella prevista per il contratto a tempo indeterminato per il caso di cessazione senza rinnovo o conversione in contratto a tempo indeterminato;
– nel caso in cui all’atto dell’assunzione la persona interessata godesse di un trattamento di sostegno del reddito, a seguito della cessazione del contratto di accesso essa può tornare a goderne;

B) quando il contratto di accesso abbia carattere incrementale rispetto all’organico aziendale (per la relativa definizione v. il d.d.l. 18 aprile 2013 n. 555),
– per i primi 12 mesi il relativo costo è escluso dal calcolo dell’imponibile IRAP;
– durante il semestre di prova, la contribuzione previdenziale è ridotta al 25 per cento;

1.3.2. I mini-jobs – Lo stesso accordo interconfederale di cui si è detto nel § 1.3.1 (o, in difetto di esso, la legge che lo debba sostituire) può prevedere che qualsiasi soggetto, indipendentemente dall’età e dallo stato di occupazione o disoccupazione, possa essere assunto con lo stesso tipo di contratto e secondo gli stessi standard, ma con orario di lavoro non superiore a 20 ore settimanali, liberamente distribuite nell’arco della settimana. La legge emanata in corrispondenza con l’accordo deve estendere a questo caso la possibilità di pagamento della retribuzione mediante buoni-lavoro per il primo anno di svolgimento del rapporto. Deve inoltre disporre, per questo caso, una drastica semplificazione degli adempimenti burocratici.

In altre parole, in questo ordine di idee il mini-job costituisce un sottotipo del contratto di accesso, prevalentemente caratterizzato come collaborazione di natura accessoria, quindi anch’esso con forte riduzione del costo retributivo e con costi di transazione ridotti al minimo. Anch’esso di regola a tempo indeterminato, ma agevolmente scioglibile almeno entro il primo triennio.

 2. Sfruttamento dei giacimenti occupazionali inutilizzati e riduzione della spesa per gli ammortizzatori sociali

2.1. Il triplice problema:

– rispondere positivamente a tutte le situazioni di skill shortage: in ogni regione italiana ci sono decine di migliaia di posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancato reperimento di persone disponibili e dotate delle caratteristiche professionali necessarie per occuparli; le imprese in fase di espansione stentano a trovare la manodopera necessaria;

– collegare le politiche passive del lavoro con le politiche attive: abbiamo almeno un milione di persone a cui stiamo erogando un trattamento di disoccupazione (per lo più, impropriamente, in forma di Cassa integrazione, oppure, in minor misura, in forma di trattamento di mobilità o di disoccupazione ordinaria) senza alcuna effettiva condizionalità, cioè senza alcun incentivo né alcun servizio efficace per l’inserimento nei posti di lavoro disponibili;

– riqualificare e ridurre la spesa per gli ammortizzatori sociali, destinandone una parte progressivamente crescente alla creazione di occupazione in mercato: oggi spendiamo venti miliardi all’anno per il sostegno del reddito ai senza-lavoro in forme che determinano un forte incentivo per questi ultimi a restare fuori dal mercato del lavoro regolare. Riorientare questo flusso di spesa in direzione del reinserimento nel tessuto produttivo consentirà, per un verso, di ridurre questa voce di spesa, per altro verso di ridurre il tasso di disoccupazione reale.

2.2. Contenuto del progetto

Consiste semplicemente nell’autorizzare le Regioni e Province autonome già opportunamente attrezzate – Lombardia, Piemonte, Lazio, Val d’Aosta, Friuli V.G., Trento e Bolzano – a destinare una quota delle risorse stanziate per il rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga e per i “lavori socialmente utili” (circa un miliardo nella legge di stabilità 2014) alla sperimentazione del contratto di ricollocazione per i soggetti cui l’ammortizzatore è destinato, con attivazione dei percorsi di riqualificazione professionale specificamente mirati alla copertura di skill shortages. Lo strumento del CdR è indispensabile, per consentire di mettere la platea dei fruitori del sostegno del reddito in comunicazione con le agenzie specializzate, che sono gli unici operatori davvero in grado di individuare lo skill shortage e attivare le misure necessarie per consentire al disoccupato di accedervi.

Può essere opportuno suddividere il progetto in una fase sperimentale di rodaggio, della durata di sei mesi, durante la quale ciascuna delle Regioni interessate offre la possibilità del contratto di ricollocazione ai disoccupati cassintegrati o in mobilità spontaneamente disponibili: la partecipazione all’esperimento su base esclusivamente volontaria determinerà un’autoselezione positiva delle persone interessate, con conseguente tasso di successo molto elevato. Sulla base di questa prima fase, si può pensare a una fase di generalizzazione del metodo, nella quale la stipulazione del contratto di ricollocazione con una delle agenzie specializzate accreditate diventi condizione per il godimento del sostegno del reddito.

3. Riqualificazione della spesa sociale, per la creazione di occupazione aggiuntiva nel settore dei servizi alla famiglia e alle comunità locali

3.1. I problemi:

– far emergere interamente la grande domanda latente di servizi alla persona e alla comunità, ponendola utilmente in comunicazione con l’altrettanto numerosa offerta latente di lavoro non professionale o comunque poco strutturato – marginale, ma di dimensioni considerevoli – che pure esiste e per la quale una limitazione dell’apparato protettivo è praticabile e opportuna per diversi possibili motivi: i) per favorire l’inserimento nel tessuto produttivo di persone in difficoltà, oppure ii) perché il prestatore non versa in una situazione di dipendenza economica, oppure ancora iii) perché i soggetti interessati hanno un’altra fonte di reddito prevalente (la pensione), o iv) perché essi hanno una diversa attività prevalente (studenti), oppure ancora v) perché si tratta di soggetti temporaneamente impegnati nella cura di bambini in età prescolare che offrono temporaneamente la stessa attività di cura ad altre famiglie;
– ancora sul versante della domanda, una rilevante necessità irrisolta di servizi alla persona: in particolare, un gran numero di disabili o anziani non autosufficienti hanno bisogno di assistenza domiciliare, sovente non 24 ore su 24, ma soltanto diurna o soltanto notturna, oppure a tempo parziale (per l’aiuto nella cura della persona, oppure per l’approvvigionamento dei beni di consumo necessari per la vita quotidiana, per l’insegnamento dell’uso dello strumento informatico e della rete, o anche soltanto per l’intrattenimento della persona isolata, ecc.); si osserva inoltre una altrettanto cospicua domanda di servizi alla comunità: basti pensare alle necessità – sovente male o per nulla soddisfatte nelle aree urbane – di attivazione notturna di servizi, sorveglianza all’entrata e all’uscita delle scuole, manutenzione del verde pubblico, sorveglianza notturna contro il disturbo della quiete o contro gli autori di graffiti e forme analoghe di piccola criminalità, e altre simili.

3.2. Esperienze di riferimento:

– l’esperienza francese dell’Agence nationale services à la personne (v. in proposito il sito www.particulieremploi.fr/mediers.php), con la quale in Francia ci si è proposti di mettere in comunicazione domanda e offerta di servizi alla persona e alla famiglia, con risultati di notevolissimo rilievo; se oltr’Alpe ci si è limitati ad attivare, con una utilizzazione efficacissima di Internet, servizi efficienti per l’incontro fra domanda e offerta e ad operare per una riduzione drastica dei costi di transazione in questo particolare settore, mediante l’istituzione dello chèque emploi-services universel-CESU, noi ora possiamo spingerci oltre, attingendo anche alle esperienze del nord-Europa;

– l’esperienza finlandese e dei Paesi scandinavi, dove l’ente locale promotore del servizio assume altresì la veste di fornitore dell’attività di servizio, ingaggiando la persona disponibile per lo svolgimento della prestazione e addebitando al soggetto beneficiario soltanto una frazione – talora di entità minima – del relativo costo.

3.3. Contenuto dell’esperimento

Si può mettere in cantiere un duplice modello di intervento degli enti pubblici locali (v. in proposito d.d.l. 7 agosto 2013 n. 1006, artt. 2132-2134):

3.2.1. – un intervento di pura e semplice promozione dell’incontro fra domanda e offerta dei servizi in questione, mediante accreditamento dei soggetti capaci di fornirli, attivazione di canali idonei a facilitare al massimo l’incontro stesso  e riduzione dei costi di transazione mediante i buoni-lavoro: è questo un modello di intervento che appare alla portata di qualsiasi amministrazione locale capace di avvalersi dell’esperienza francese;

3.2.2. – un intervento più evoluto, ispirato alle esperienze dei Paesi nord-europei, ma anche ad alcune esperienze italiane, consistente nell’attivazione di iniziative di selezione e addestramento elementare di persone disponibili e idonee allo svolgimento dei servizi in questione, e nell’ingaggio di queste da parte di Comuni, Province o ASL, con contratto di collaborazione autonoma, in funzione del loro avvio presso la persona o famiglia richiedente, dalla quale verrà riscossa una parte del costo della prestazione: è questo un modello di intervento che offrirebbe una utile alternativa rispetto a quello consueto dell’“appalto di servizi” conferito da Comuni, Province o ASL a cooperative (che in molti casi maschera una sostanziale somministrazione di prestazioni di lavoro, e non sempre in forme più vantaggiose per i lavoratori coinvolti), ma che indubbiamente presuppone una maggiore capacità organizzativa da parte dell’ente gestore. Un esempio di servizio organizzato secondo questo modello nel nostro Paese è quello che ha visto impegnati alcuni Comuni del milanese o dell’Alto Adige nella fornitura di servizi di accudimento di neonati a domicilio (a cura delle cosiddette “vice-mamme” o tagesmütter).

Le esperienze testé menzionate confermano che l’incontro fra questa domanda e questa offerta latente di servizi è possibile anche nel nostro contesto nazionale – senza che ne derivi danno ai lavoratori regolari nel mercato del lavoro ordinario – mediante l’attivazione di un modello di rapporto fuori standard, nella forma della collaborazione autonoma continuativa (cui non si applicano le limitazioni poste dal d.lgs. n. 276/2003), al quale l’ente pubblico promotore e gestore dell’iniziativa possa fare ricorso: i) solo per l’attivazione di determinati servizi ben individuati, ii) solo per il coinvolgimento in quei servizi di persone appartenenti a determinate categorie oggettivamente marginali rispetto al mercato del lavoro ordinario (anziani ancora attivi e mobili, studenti e altri giovani inoccupati, donne inoccupate o espulse dal tessuto produttivo in occasione di una maternità, disoccupati da più di sei mesi, immigrati extracomunitari disoccupati), iii) quando non si tratti di anziani e pensionati, solo con l’attivazione parallela di meccanismi volti a evitare il consolidarsi della collocazione della persona coinvolta nel settore del lavoro non standard, favorendo invece il suo inserimento nel tessuto produttivo ordinario.

Il modello a cui facciamo riferimento può indicarsi come un rapporto di fornitura di collaborazione autonoma, che ha come soggetti l’utilizzatore del servizio e l’ente organizzatore in veste di fornitore da un lato, dall’altro in veste di titolare di un rapporto di collaborazione autonoma continuativa con un prestatore appartenente alle categorie sopra indicate: giovani, anziani e madri di famiglia attualmente non presenti, o presenti con difficoltà, nel mercato del lavoro ordinario. Questo rapporto trilatero è reso possibile, già a legislazione invariata, per un verso dalla norma esplicita che consente agli enti pubblici di avvalersi di collaborazioni autonome coordinate e continuative, a tempo determinato o indeterminato; per altro verso dalla norma – implicita, questa, ma pacificamente riconosciuta in dottrina e in giurisprudenza – che esclude le collaborazioni autonome dal divieto di interposizione.

Potrebbe giovare, nell’ambito delle politiche per l’active ageing, prevedere una esenzione dalla contribuzione previdenziale per i casi in cui in questa forma di servizio alla famiglia o alle collettività locali venga assunto un lavoratore con più di 60 anni. Si pensi, per esempio, a un programma del titpo di quelli attivati nei Paesi scandinavi con la denominazione “60 x 80”, consistenti nella fornitura a un ottantenne da parte del Comune o della ASL dell’assistenza di un sessantenne per una o più ore al giorno per il compimento delle commissioni quotidiane, l’aiuto in alcune funzioni di cura della persona, l’insegnamento dell’uso del computer, o anche soltanto l’intrattenimento.

 

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