FIAT (ELECTRO)LUX: PERCHÉ LA LUCE NON SI SPENGA

I DIFETTI DEL SISTEMA ITALIA CHE DOBBIAMO CORREGGERE SE VOGLIAMO EVITARE CHE ALTRE MULTINAZIONALI SCAPPINO E APRIRE IL PAESE ALLE MOLTE CHE POTREBBERO ESSERE INTERESSATE INSEDIARSI A SUD DELLE ALPI 

Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 282, 3 febbraio 2014 – In corso di pubblicazione anche sul settimanale Panorama 

Lo spostamento in Olanda del quartier generale di Fiat Chrysler e la minaccia di chiusura dello stabilimento Electrolux di Porcia sono due spie di una stessa crisi: l’Italia non soltanto non riesce ad attrarre investimenti esteri, ma non riesce neppure a trattenere sul proprio territorio le multinazionali di antico insediamento. È la crisi di un sistema-Paese incapace di allinearsi agli altri competitors su almeno sette fronti: quelli dell’ordinamento e del carico fiscale, delle amministrazioni pubbliche, del costo dell’energia, del costo dei servizi alle imprese (troppo alto per difetto di concorrenza), di un sistema delle relazioni industriali ancora troppo chiuso all’innovazione organizzativa (per la preminenza che, nonostante tutto, esso ancora attribuisce al modello organizzativo sancito dal contratto collettivo nazionale), di una legislazione del lavoro caotica e illeggibile, dei servizi di formazione e collocamento nel mercato del lavoro.

Siamo consapevoli della necessità di agire immediatamente per correggere o quanto meno neutralizzare ciascuno di questi sette handicap; ma siamo drammaticamente troppo lenti nel farlo. Il Governo Italiano, ascoltando con attenzione le osservazioni e i consigli del Comitato Investitori Esteri guidato con grande competenza da Giuseppe Recchi, ha pubblicato nell’estate scorsa un documento – Destinazione Italia – contenente 50 misure incisive, capaci di riaprire il Paese agli investimenti esteri; a tutt’oggi si è incominciato ad attuarne sette, forse otto. Alcune di quelle più importanti, come il Codice semplificato del lavoro, che potrebbero essere varate subito e a costo zero, sono ferme al palo.

Ma soprattutto dobbiamo voltar pagina rispetto all’ostilità bi-partisan nei confronti delle multinazionali, che caratterizza ancora diffusamente la nostra cultura in nome della difesa dell’“italianità” delle nostre grandi aziende: quell’ostilità che ci ha indotti, per esempio, nel 2005 a fare le barricate contro Abn Amro che voleva investire su Antonveneta, nel 2008 contro Air France-KLM che voleva investire su Alitalia, nel 2011 contro Lactalis interessata a Parmalat; l’elenco potrebbe proseguire a lungo. E dobbiamo renderci conto del messaggio gravemente negativo che abbiamo inviato a tutti i potenziali investitori stranieri nel 2010-2011, quando abbiamo accusato Sergio Marchionne di attentare nientemeno che ai diritti fondamentali dei lavoratori, solo perché chiedeva tre deroghe marginali al contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, per insediare a Pomigliano uno stabilimento che è stato poi premiato come il più avanzato in Europa dal punto di vista tecnologico ed ergonomico.

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