CODICE SEMPLIFICATO: FACCIAMO COME SAN MARINO

MENTRE IL JOBS ACT DEL PD PER ORA È FERMO AGLI ANNUNCI,  LA REPUBBLICA DEL TITANO HA COSTRUITO UN TESTO LEGISLATIVO ADATTO AL SUO CONTESTO ADOTTANDO COME TESTO BASE IL DISEGNO DI LEGGE N. 1006

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti pubblicata da Libero il 17 gennaio 2014

Il contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti è uno dei punti chiave del Jobs Act di Renzi. Il segretario del Pd, cioè, fa propria e rilancia una sua storica battaglia, professor Ichino. Eppure la sua reazione è sembrata un po’ freddina. Come mai?
Non sottovaluto affatto l’importanza della svolta renziana nella linea del PD sul lavoro. Però, quando il segretario del PD, nell’annunciare il nuovo tipo di rapporto di lavoro a tutele crescenti, ha utilizzato le parole “processo verso un contratto ecc.”, ho letto in questa espressione la confessione che non c’è ancora una decisione operativa, che occorre ancora discuterne. Più che il preannuncio di una nuova misura, ho letto in quelle parole un suo rinvio. Mi sembra, invece, che sul capitolo lavoro non sia più l’ora degli annunci: ora occorrono urgentemente i fatti.

Ma la misura preannunciata non è in linea con quanto da lei proposto da tempo?
Certamente va in quella direzione, ma non sappiamo ancora quanto e come: a tutt’oggi il PD non ha diffuso alcun documento preciso sul punto. Credo, comunque, che il modello a cui la proposta del PD si ispirerà sarà più vicino a quello proposto da Tito Boeri e Pietro Garibaldi che al mio.

La differenza essenziale dove sta?
In quel progetto, dall’inizio del quarto anno di svolgimento del rapporto torna ad applicarsi l’articolo 18 per il licenziamento di qualsiasi tipo. Il mio progetto prevede invece una protezione del lavoratore crescente gradualmente col maturare dell’anzianità di servizio, senza scatti: protezione costituita da un’indennità di licenziamento e, a partire dal terzo anno, dall’obbligo per l’azienda che licenzia di offrire al lavoratore un trattamento complementare di disoccupazione, collegato a un servizio di outplacement retribuito a carico della Regione. Ma nel mio progetto dal terzo anno l’articolo 18 si applica soltanto ai licenziamenti disciplinari.

Un gruppo di ex Ds, guidati dall’ex ministro Damiano, ha già messo qualche paletto su articolo 18, cassa integrazione e contrattazione nazionale. Si aspetta una battaglia interna al Pd tra vecchia e nuova maggioranza?
Mi sembra che un confronto tra tesi e impostazioni diverse sia già in corso, in seno al PD.

Come andrà a finire?
Non ho la boccia di cristallo. Certo, da alcuni segni mi par di capire che Matteo Renzi, almeno in questa prima fase, stia privilegiando l’obiettivo della pace interna al partito, anche a costo di sacrificare qualche cosa dell’incisività del suo piano iniziale per il lavoro.

Sul Codice semplificato – altra sua battaglia ripresa da Renzi – c’è un dibattito sui tempi. Nella campagna per le primarie Renzi ne prometteva il varo in tre mesi, oggi  li ha aumentati a otto. Lui dice: un ritardo di cinque mesi non è così grave. Lei teme che questa dilazione comporti il rischio che qualcosa, di quel suo progetto, si perda per strada?
Senta, Renzi ha presentato il progetto del Codice semplificato con me a Firenze il 15 novembre 2012: era un testo compiuto, 70 articoli, coi quali proponevamo di sostituire centinaia di vecchie leggi oggi tutte ancora in vigore. Quel testo può ovviamente essere modificato, adattato; ma ciò non richiede otto mesi: se la volontà politica c’è, basta qualche settimana. Come dimostra l’esempio della Repubblica di San Marino.

Che cosa hanno fatto a San Marino?
A ottobre 2013 il Governo ha deciso di far proprio quel modello del Codice semplificato. Ovviamente occorreva apportare tutta una serie di modifiche, di adattamenti, in relazione a quel diverso ordinamento statuale; ma, essendoci la volontà politica di farlo, in due mesi è stato fatto. E tra qualche giorno il Governo del Titano lo presenterà ufficialmente. Non hanno detto: “lo presenteremo tra otto mesi”. Per un mercato del lavoro infartuato come è oggi il nostro, otto mesi sono un’eternità. E l’annuncio rischia anche di produrre effetti negativi.

Perché?
Perché gli imprenditori possono essere indotti a rinviare le assunzioni, in attesa della disciplina più semplice e meno soffocante.

Sulla detassazione dei rapporti di lavoro, lei scrive che “pur mantenendo i piedi per terra, si può pensare a qualcosa di più incisivo” di quanto annunciato nel Jobs Act. Che cosa ha in mente?
Quello che ho proposto fin dal giugno scorso con i colleghi di Scelta Civica. Abbattimento dell’incidenza del costo del lavoro sull’imponibile IRAP e riduzione della contribuzione pensionistica per i giovani fino a 29 anni dal 33 al 25 per cento.

Ma Saccomanni vi obietterebbe che quell’otto per cento di differenza nella contribuzione genera un buco nei conti dell’Inps per l’anno in corso.
Quell’obiezione nasce da un criterio contabile che non guarda oltre l’anno di competenza. Ma si può ben adottare un criterio diverso, che consideri la corrispondente riduzione del debito pensionistico futuro; e farne oggetto di un agreement bilaterale con l’UE, in cambio di una riforma incisiva qual è quella del Codice semplificato,  nel segno della flexsecurity. A Bruxelles e a Francoforte oggi non chiederebbero di meglio che la proposta di un agreement bilaterale di questo genere da parte nostra. Infine proponiamo, in coerenza con la nuova disciplina del trattamento di disoccupazione e della Cassa integrazione, la distribuzione alle imprese e ai lavoratori del relativo “dividendo”, con la riduzione del contributo Cig dal 3 allo 0,5%.

Resta da spiegare come finanziereste l’abbattimento dell’IRAP.
Quando Scelta Civica ha presentato quella proposta, l’Italia aveva appena confermato ai vertici UE il proprio impegno a dare la precedenza, nella riduzione delle tasse, a chi produce, cioè a lavoro e impresa. Se il Governo non avesse poi compiuto, alla fine dell’estate, la scelta sciagurata di dare invece la precedenza a chi possiede, detassando la casa, sarebbe stato possibile destinare quei miliardi a una politica fiscale di rilancio dell’occupazione.

Perché, secondo lei, nel piano di Renzi quel punto sulla necessità di legiferare in tema di rappresentanza sindacale, che mette in sospetto alcuni sindacati? Perché questo strano asse Renzi-Landini?
La necessità di un intervento legislativo su questa materia c’è. Nelle anticipazioni che Renzi ha inteso fare, avrebbe potuto e dovuto essere più chiaro ed esplicito il carattere sussidiario che la legge qui dovrà avere: dovrà disciplinare la materia soltanto nei casi nei quali essa non sia disciplinata da un contratto collettivo applicabile.

Della proposta del Nuovo centrodestra, infine, che cosa pensa?
Su alcune cose concordo. Altre mi sembrano francamente impraticabili. La prima è l’idea che la legislazione nazionale in materia di lavoro debba limitarsi a ripetere la legislazione europea. In realtà, quest’ultima non disciplina tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: non dice nulla, per esempio, in materia di licenziamenti individuali, di trasferimenti, di malattia del lavoratore, di provvedimenti disciplinari, e così via.

Altri dissensi?
I fatti hanno mostrato che non si può affidare alla contrattazione collettiva aziendale il compito di sostituire in toto il legislatore, come il NCD propone: gli imprenditori e i rappresentanti sindacali aziendali, in genere, conoscono troppo poco il diritto del lavoro per potersi assumere questo compito. Un compito che, oltretutto, aumenterebbe di molto i costi di transazione per le imprese. Per questo mi sembra migliore il progetto del Codice semplificato, che allarga gli spazi della contrattazione ma senza azzerare la legislazione nazionale su questa materia.

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