PERCHÉ LA SPERIMENTAZIONE REGIONALE DEL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE PUÒ COSTITUIRE DAVVERO UNA NOVITÀ DI GRANDE RILIEVO PER IL MIGLIORAMENTO DEI SERVIZI NEL MERCATO DEL LAVORO E PER LA RIDUZIONE E RIQUALIFICAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA IN QUESTO CAMPO
Lettera sul Lavoro pubblicata dal Corriere della Sera il 6 gennaio 2014 – È disponibile sul sito una scheda tecnica sull’istituto del contratto di ricollocazione
Caro Direttore, tra i (non molti, per la verità) meriti di dettaglio della legge di stabilità varata a fine 2013 c’è una disposizione apparentemente di poca importanza, ma che può invece significare moltissimo per il mercato del lavoro italiano nel prossimo futuro: mi riferisco al comma 215, che promuove l’esperimento regionale del “contratto di ricollocazione”.
L’importanza di questo esperimento sta nel fatto che esso avrà per oggetto quattro cose utilissime, finora per lo più sconosciute in Italia: 1) una stretta cooperazione fra uffici pubblici e agenzie private specializzate nell’assistenza intensiva ai disoccupati; 2) la possibilità per questi ultimi di scegliere liberamente l’agenzia da cui farsi assistere, tra quelle accreditate; 3) il pagamento del servizio da parte della Regione soltanto a risultato ottenuto; 4) un controllo efficace circa la disponibilità effettiva del disoccupato, dalla quale, entro limiti ragionevoli, deve essere fatta rigorosamente dipendere l’indennità di disoccupazione.
Queste quattro cose sono oggetto di un vero e proprio contratto tra la persona interessata, l’agenzia privata e il centro per l’impiego pubblico. L’agenzia si obbliga a fornire il servizio di assistenza per la riqualificazione e rioccupazione, che viene retribuito con un voucher regionale pagabile solo a seguito dell’occupazione effettiva del lavoratore per un periodo di almeno sei mesi. L’importo del voucher è determinato in riferimento al grado di difficoltà del reinserimento del disoccupato (stabilito preventivamente dal centro per l’impiego sulla base di parametri oggettivi e facilmente applicabili). La persona interessata si impegna a dedicare quotidianamente alla ricerca del nuovo posto e al percorso di riqualificazione un tempo pari a quello del lavoro cui aspira. In questo percorso sarà affiancata da un tutor, cioè un esperto dell’agenzia che giorno per giorno la indirizzerà e ne verificherà la disponibilità effettiva; e che avrà il compito di denunciarne un eventuale ingiustificato rifiuto del nuovo posto di lavoro o del percorso per accedervi, ai fini della sospensione dell’indennità di disoccupazione.
La novità più interessante di questo metodo – sperimentato con successo in Olanda – sta nel meccanismo di determinazione automaticamente equilibrata del grado della disponibilità che può e deve essere richiesta al disoccupato, in relazione alle condizioni del mercato del lavoro locale. Come si è visto, la figura chiave in questo meccanismo è il tutor, al quale il contratto di ricollocazione assegna il compito di stabilire le occasioni di occupazione, e i percorsi di formazione ad esse mirata, che il disoccupato non può ragionevolmente respingere, tenuto conto di tutte le circostanze. L’agenzia che per attirare più disoccupati applicasse criteri troppo compiacenti nei loro confronti si esporrebbe al rischio di non conseguire il risultato utile della loro ricollocazione effettiva, così lavorando in perdita: il voucher potrà infatti essere incassato soltanto a risultato ottenuto. Per altro verso, se l’agenzia stessa adottasse criteri di valutazione irragionevolmente severi, i disoccupati ne preferirebbero un’altra che, adottando criteri più ragionevoli, riesca tuttavia a ricollocarli in tempi accettabili. In altre parole, il regime di concorrenza che si instaura tra le agenzie accreditate tende a produrre l’equilibrio ottimale, proprio per la persona assistita, tra disponibilità del tutor a tener conto delle sue esigenze e aspirazioni, e prospettiva di un suo reinserimento rapido nel tessuto produttivo.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché la nuova norma stanzia soltanto 15 milioni per questo esperimento nel 2014, a fronte di quasi un miliardo stanziato per le politiche del lavoro “passive”, cioè di puro e semplice sostegno del reddito dei disoccupati, senza alcuna condizionalità né alcuna misura attiva per il loro reinserimento. La speranza è che le Regioni si affrettino comunque ad avviare la sperimentazione del contratto di ricollocazione, destinando ad essa una parte delle ingenti risorse fino a oggi destinate a servizi di formazione professionale di cui nessuno controlla il contenuto e gli esiti. Ci si accorgerà, così, che questo nuovo metodo per affrontare il problema della disoccupazione si ripaga da solo, anzi genera risparmi, insieme a risultati molto migliori per i lavoratori interessati. Perché se è vero che l’assistenza intensiva offerta dalle agenzie specializzate costa cara, è però evidente che “mettere in freezer” i disoccupati per anni e anni a fondo perduto costa molto di più a tutti: ai disoccupati stessi per primi.
Si può poi sperare che, in corso d’opera, un po’ di quel miliardo stanziato dalla legge di stabilità per le politiche “passive” venga spostato su questa misura di politica “attiva”. Anche perché l’Italia ha fame e sete di mobilità della forza-lavoro dalle aziende in declino a quelle in fase di sviluppo: le quali stanno per fortuna ricominciando a prevalere sulle prime, ma oggi paradossalmente incontrano molte difficoltà per trovare la manodopera qualificata di cui avrebbero bisogno.
.