SUL PROGETTO “500 GIOVANI PER LA CULTURA”

GIOVEREBBE A TUTTI CHE, QUANDO SI LANCIANO INIZIATIVE DI QUESTO GENERE, SI QUALIFICASSE CON CHIAREZZA LA NATURA DELL’OCCUPAZIONE OFFERTA: STAGE? TIROCINIO? RAPPORTO DI LAVORO TEMPORANEO?

Intervista a cura di Eleonora Voltolina pubblicata sul sito Larepubblicadeglistagisti.it il 17 dicembre 2013

Nei giorni scorsi è scoppiata la polemica intorno al progetto “Cinquecento giovani per la cultura” attraverso cui il ministero dei Beni culturali vorrebbe reclutare, a seguito di un bando pubblico, 500 laureati under 35 da impiegare per un anno in attività essenziali per la tutela e la riqualificazione del patrimonio archeologico italiano: inventariazione, catalogazione e digitalizzazione di siti e opere. Peccato però che per questa collaborazione i 500 prescelti non verrebbero assunti con un vero e proprio contratto, ma inquadrati come “in formazione”: cioè come stagisti. Ne consegue che non riceverebbero nemmeno una retribuzione con annessi contributi previdenziali, bensì solamente una indennità (tipica appunto dei tirocini), dell’ammontare di 5mila euro lordi per i 12 mesi. Considerando che da bando l’impegno richiesto inizialmente era tra le 30 e le 35 ore settimanali, cioè, ai partecipanti sarebbero venuti in tasca solamente 3 euro al giorno. Ma è dell’ultim’ora un dietrofront del ministero, che giusto ieri ha pubblicato sul proprio sito un decreto direttoriale in cui l’impegno viene drasticamente ridotto: ora si parla di un «monte ore annuo complessivo di 600 ore», equivalenti a 50 ore al mese. Circa 12-13 ore dunque a settimana.
Intanto la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta Civica, un commento sul progetto e sopratutto qualche suggerimento al ministro Bray per riportarlo in carreggiata, evitando la deriva della “opportunità al ribasso” per i giovani.

Professor Ichino, cosa pensa della iniziativa “500 giovani per la cultura”?
Ne penso bene, ma a condizione che venga ingegnerizzata in un altro modo. Potrebbe essere un primo esempio di abbattimento del muro che separa la grande domanda di lavoro per servizi latente nel nostro Paese dalla grande offerta. Ma non lo si fa fingendo un corso di formazione quando in realtà occorre un rapporto di lavoro.

Come si dovrebbe fare, invece?
Si dovrebbero attivare delle forme di collaborazione di utilità pubblica o sociale, liberate dalle rigidità proprie del vecchio impiego pubblico. Nel mio progetto di Codice semplificato del lavoro ne ho proposto un esempio con i nuovi articoli 2131 e 2132: una Regione o un ente locale ingaggia con contratto di collaborazione continuativa e invia in missione presso il soggetto che ha necessità temporanea del servizio, il quale copre una parte del costo, senza vincoli di stabilità né un rigido standard minimo da rispettare. Però almeno si chiama il lavoro con il suo nome.

Perché il ministero organizza un programma di 500 stage evitando di chiamarli stage? Disattenzione o tentativo di dissimulazione?
Un pizzico di insipienza tecnica, un pizzico di ipocrisia. Il fatto è che lo stage ha un senso come strumento nella fase di transizione dalla scuola al lavoro, a condizione che esso sia concepito e organizzato prioritariamente in funzione dell’interesse del giovane stagista. Qui, invece, l’iniziativa si pone principalmente in funzione dell’interesse pubblico a un servizio qualificato. Lo strumento contrattuale deve essere adeguato a questa funzione effettiva.

La prima versione del bando proponeva ad archeologi, archivisti, biblioteconomi anche ultra trentenni un anno di formazione con un compenso di poco superiore ai 400 euro lordi mensili a fronte di un impegno di circa 32 ore settimanali. Ora una seconda versione, tenendo fermo l’inquadramento come “in formazione”, ha ridotto di addirittura due terzi l’impegno richiesto, portandolo a un “monte ore annuo complessivo di 600 ore”,  vale a dire circa 12 ore settimanali. Che senso ha questo balletto di monte ore?
Il senso è evidentemente quello di migliorare la congruità dell’indennizzo rispetto all’orario di lavoro. Forse con una strizzata d’occhio ai giovani interessati, come per dire: “se poi invece di 600 ore ne lavorerai di fatto tre volte tanto, noi non ci offendiamo”.

Vede qualche aspetto di analogia con il famigerato caso dei superstage negli enti pubblici calabresi, che dal 2009 si trascina ancora adesso?
A ben vedere no, perché lì si è trattato e tuttora si tratta di assistenzialismo puro.

Davvero  il ministero non potrebbe procedere con l’utilizzo di forme contrattuali più serie, magari riducendo un po’ il numero degli inserimenti? Non c’è ancora per gli enti pubblici la possibilità di assumere con contratti di formazione-lavoro?
Se non si esce dai vecchi schemi dell’impiego pubblico, con tutte le sue rigidità e iper-protezioni, temo che una soluzione non la si troverà mai. L’unica soluzione praticabile in tempi brevi, secondo me, è quella del progetto di cui ho parlato sopra.

È corretto dal punto di vista della normativa sulle assunzioni negli enti pubblici ciò che il ministro ha prospettato per quanto riguarda il prosieguo di questa iniziativa per i più meritevoli? Cioè: il ministero nel 2015 potrebbe davvero decidere una serie di criteri sulla base dei quali selezionare un certo numero di ex partecipanti e immetterli in ruolo, senza bisogno di un ulteriore concorso? Oppure una prospettiva del genere ha già in sé il germe dei ricorsi?
Nulla vieta di pensare a futuri concorsi, nei quali l’avvenuto svolgimento di una collaborazione fuori ruolo costituisca titolo per un punteggio differenziale.

Cosa  si potrebbe fare, secondo lei e Scelta civica, per rilanciare l’occupazione nel campo della cultura e in particolare della archeologia e della conservazione dei beni culturali?
La cosa più importante sarebbe uno sforzo di progettazione strategica e l’attivazione di strumenti capaci di attrarre su questo terreno risorse private, essendo purtroppo chiara, almeno nell’immediato, l’insufficienza di quelle pubbliche. In attesa che questo piano determini la possibilità di incrementare fortemente la domanda di lavoro in questo settore secondo le forme ordinarie, occorre adottare misure come quelle delineate nel progetto di cui ho parlato prima, per rendere possibile un incontro tra domanda di servizi e offerta, altrimenti impossibile. Ma va detto che l’offerta disponibile non è solo quella giovanile.

A cosa  si riferisce?
Anche tra i cinquanta-sessantenni e le donne di tutte le età esiste una riserva di cervelli e bracci colossale, oggi inutilizzata, che occorre valorizzare.
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