UN METODO, DESUNTO DALLE MIGLIORI ESPERIENZE NORD-EUROPEE, PER CONIUGARE STRETTAMENTE LE POLITICHE PASSIVE DEL LAVORO (SOSTEGNO DEL REDDITO) ALLE POLITICHE ATTIVE (MISURE PER L’INSERIMENTO NEL TESSUTO PRODUTTIVO)
Intervista a cura di Mariangela Pani pubblicata dall’agenzia di stampa Adn-Kronos il 18 dicembre 2013
Alla misura sperimentale del ‘contratto di ricollocazione’ inserita nella legge di stabilità andrebbero 15 milioni nel 2014 e complessivamente 55 mln in tre anni. Si tratta naturalmente di una cifra molto bassa.
È vero. Se la misura resterà questa, si tratterà soltanto di un piccolo incentivo di avvio. Va detto però che le Regioni possono reperire le risorse necessarie riqualificando la propria ingentissima spesa per le politiche attive del lavoro, oggi quasi tutta assorbita da corsi di formazione professionale di cui nessuno misura l’efficacia. E poi, appena si vedrà che l’esperimento funziona ci si accorgerà che esso si finanzia da solo: perché il servizi di outplacement sono costosi, sì, ma costano molto meno che tenere i lavoratori per sei, otto o dieci anni in cassa integrazione, come abbiamo fatto fin qui.
Che valore avrebbe l’introduzione nel nostro mercato del lavoro di un sistema di ricollocazione come quello da lei prefigurato?
Sarà il primo esperimento di collegamento tra politiche passive del lavoro (cioè sostegno del reddito dei disoccupati) e politiche attive (misure per il reinserimento nel tessuto produttivo); inoltre di attivazione della necessaria condizionalità del trattamento di disoccupazione: quello che in Gran Bretagna Thatcher e Blair hanno fatto e perfezionato negli anni ’80 e ’90, Schroeder in Germania negli anni 2000, e noi non abbiamo ancora incominciato a fare.
I finanziamenti andrebbero direttamente alle Regioni?
In questa fase di avvio, si tratterà di una sorta di premio per le prime Regioni che avvieranno l’esperimento. Nessuna può essere obbligata a farlo, trattandosi di materia di competenza esclusiva regionale. L’auspicio è che il successo dei primi esperimenti induca lo Stato, in un secondo tempo, a destinare al finanziamento di questa misura una parte molto più consistente del fiume di denaro – in tutto oltre venti miliardi all’anno, in questo periodo – che spendiamo per il sostegno del reddito dei disoccupati. Invece di spenderlo per mantenerli disoccupati, lo spenderemo per reimmetterli nel flusso delle assunzioni, che è pur sempre rilevante anche in questo periodo di crisi nera.
Rilevante?
Nel 2012 in Italia sono stati stipulati 1,7 milioni di contratti di lavoro regolari a tempo indeterminato. Il problema è che di queste occasioni di lavoro i nostri Centri per l’Impiego ne hanno vista una parte insignificante. Con la cooperazione tra servizio pubblico e agenzie private i Centri per l’Impiego torneranno a operare dentro quel flusso.
Come ‘riconoscere’ le agenzie per il lavoro qualificate a svolgere questo compito?
Occorrerà che le Regioni che vorranno avviare l’esperimento adottino criteri seri di accreditamento, basati sull’esperienza pluriennale delle agenzie specializzate nell’attività di outplacement. Poi, sarà la concorrenza tra di esse a stimolare l’efficacia dei loro servizi.
Il disoccupato come potrebbe orientarsi nella scelta?
I Centri per l’Impiego avranno anche una funzione di informazione circa le caratteristiche di ciascuna agenzia, il settore nel quale essa ha maggiore esperienza, i risultati conseguiti, e così via. Ma se si attiva questo mercato, i canali di informazione sulla qualità delle prestazioni offerte si moltiplicheranno spontaneamente.
I centri per l’impiego sono già pronti a fare il loro mestiere?
La Regione che attiverà l’esperimento dovrà curare bene la preparazione degli addetti. Ma i compiti che spetteranno loro – di prima accoglienza, profiling, informazione, poi di garanzia di trasparenza dei risultati e di “sportello reclami” – sono per lo più perfettamente in grado di svolgerli.
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