PUR DI NON CAMBIARE MESTIERE SIAMO DISPOSTI A SACRIFICARE QUINDICI ANNI DELLA NOSTRA VITA LAVORATIVA – MA NON È AFFATTO VERO CHE UN MILITARE QUALIFICATO NON POSSA VALORIZZARE LA PROPRIA PROFESSIONALITÀ ANCHE NEL SETTORE PRIVATO
Messaggio pervenuto il 14 novembre 2013 – Segue la mia risposta – In argomento v. anche il mio dialogo con un sindacalista della polizia e quello con il vicepresidente del Cocer dell’Aeronautica Militare
Egregio senatore,
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L’altro punto e forse quello più importante, per un militare arrivato al culmine ed alla fine della sua carriera, passare presso un’altra amministrazione non militare è una vera e propria delusione, perché abbiamo fatto la scelta di essere militari, e terminare da militari, ma poi che gli facciamo fare ad un palombaro o ad un incursore o altri specialisti che nella loro vita lavorativa hanno svolto un lavoro specifico ed unico per circa 30anni? le fotocopie? Secondo lei è dignitoso per la persona e per l’essere stato militare ad un certo livello?
Un primo maresciallo nella difesa è un settimo livello bis e comanda uomini e mezzi, nelle altre amministrazioni il settimo livello è un dirigente o funzionario quindi si verrebbe a creare una incompatibilita di livelli.
Ci sono molte cose incompatibili e si creano poi disparità di funzioni e ruoli con i dipendenti che già lavorano in quelle amministrazioni.
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Lettera firmata di un cinquantenne appartenente alla Marina militare
Conosco un palombaro che lavora alle dipendenze di un’impresa privata: mi dice che quest’ultima non riesce a trovare altri palombari. Li assumerebbe subito, anche con retribuzioni elevate. Di skill shortages come questo è pieno il nostro tessuto produttivo: se ne censiscono decine di migliaia in ogni regione italiana. Perché dunque un militare con questa specializzazione non potrebbe valorizzarla anche nel settore privato? Dobbiamo renderci conto del fatto che, espellendo dal mercato del lavoro il militare palombaro, come l’elicotterista, il camionista, il medico, il tecnico esperto di armi o esplosivi e tutti gli altri, non facciamo soltanto il danno di queste persone, impedendo loro di continuare a esercitare la loro professionalità guadagnando un buon reddito, ma facciamo il danno anche del sistema economico nazionale, che priviamo di risorse umane ancora capaci di dare un contributo rilevante alla ricchezza e al benessere di tutti. Dobbiamo abituarci a una disponibilità molto maggiore alla riqualificazione e ripartenza professionale: non possiamo permetterci di sacrificare quindici anni della nostra vita lavorativa sull’altare della immodificabilità della nostra attività. (p.i.)
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