IL DECRETO “STABILIZZAZIONI” IN TERZA LETTURA AL SENATO

 LA CAMERA NON HA MIGLIORATO IL PROVVEDIMENTO, MA NEPPURE PEGGIORATO COME LA SETTIMANA SCORSA SI ERA TEMUTO (SE NON MARGINALMENTE) – RESTA IL FATTO CHE ESSO RIPRODUCE UN MODO VECCHIO DI USARE L’OCCUPAZIONE NELLE STRUTTURE PUBBLICHE A FINI ASSISTENZIALI

Intervento nella discussione generale in terza lettura del disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, svolto in Senato nella seduta antimeridiana del 29 ottobre 2013.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ichino. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti abbiamo memoria del dibattito che si è svolto su questo disegno di legge in prima lettura nelle settimane passate; tutti abbiamo preso nota delle osservazioni critiche svolte in proposito dalle nostre Commissioni Lavoro e Bilancio. Proprio l’esame e il dibattito che ne è seguìto in Commissione e in Aula hanno determinato in quella sede un miglioramento del testo e, in particolare, l’accantonamento di norme che consideravamo sbagliate e alcune correzioni su norme che avrebbero potuto prestarsi a interpretazioni scorrette.

Rispetto all’assetto con il quale il provvedimento è stato trasmesso alla Camera dei Deputati, non possiamo non rilevare che per alcuni punti si è tornati indietro. Mi riferisco, in particolare, all’allungamento del periodo di proroga delle graduatorie per l’accesso alle amministrazioni pubbliche e del periodo in cui possono essere prorogati o rinnovati i contratti a termine in attesa della copertura secondo normali procedure nelle stesse amministrazioni. In proposito, non tanto in funzione del varo di questo provvedimento, che ormai è in dirittura d’arrivo (non c’è più tempo né spazio per correggerlo e migliorarlo), quanto soprattutto in funzione del lavoro che ci attende sui prossimi provvedimenti e in particolare sulla legge di stabilità, vorrei che considerassimo attentamente ancora una volta la sostanza del problema. La platea cui questo disegno di legge si rivolge è costituita da circa 200.000 persone, prevalentemente giovani, di cui 120.000 titolari di contratti a termine alle dipendenze di amministrazioni pubbliche (poiché questo provvedimento non riguarda gli altri 130.000 del settore scuola) e 70.000-80.000 persone risultate idonee in graduatorie di concorsi celebrati negli anni passati. Dunque, si tratta complessivamente di circa 200.000 persone che hanno aspirato fin qui ad essere immesse in ruolo nelle amministrazioni pubbliche; ma noi sappiamo che, se tutto andrà nel migliore dei modi, queste amministrazioni non potranno immettere in ruolo nei prossimi due o tre anni più di 10.000-12.000 di queste persone: non più di una su venti. Se questa è la realtà, se questo è il duro dato con il quale è necessario fare i conti, dobbiamo chiederci che senso abbia prorogare i contratti a termine e le graduatorie per queste 200.000 persone rivolgendo loro una sorta di promessa (quella cioè che prima o poi verrà anche per loro l’agognata immissione in ruolo), sapendo che questa promessa potrà essere mantenuta soltanto per una persona su venti. Dobbiamo chiederci se alle altre diciannove persone su venti per le quali questa promessa non potrà essere mantenuta facciamo un buon servizio inducendole a rimanere aggrappate a questa prospettiva, alla graduatoria in cui sono risultate idonee, o a quel posto di lavoro precario che viene loro rinnovato, oppure se non faremmo loro un servizio molto migliore attivando procedure che consentano di mettersi in comunicazione con il grande flusso di assunzioni che avviene quotidianamente, anche in questo periodo di grave recessione e crisi economica, nel tessuto produttivo generale.

Nella discussione in prima lettura di questo disegno di legge ho ricordato che il tessuto produttivo italiano, anche in questi anni di crisi gravissima, ha prodotto nell’arco di un anno, il 2012, ben 1.700.000 contratti di lavoro a tempo indeterminato. Lo sottolineo per chi non avesse sentito bene, o per chi considerasse questa una battuta, una esagerazione: 1.700.000 contratti di lavoro a tempoo indeterminato, oggetto di comunicazione obbligatoria alle Direzioni Provinciali per l’Impiego, cioè rapporti di lavoro regolari, che danno ai lavoratori che li stipulano il massimo di stabilità cui si possa aspirare oggi nel nostro Paese. Chiedo allora perché mai dovremmo indurre i 200.000 giovani che costituiscono la platea cui si rivolge questo decreto-legge a puntare tutte le loro speranze soltanto su quei 10.000-12.000 posti di lavoro che le amministrazioni pubbliche possono offrire loro, e non dovremmo invece mettere a loro disposizione gli strumenti necessari per immettersi nel grande flusso dei 1.700.000 contratti che ogni anno le imprese offrono loro nel nostro tessuto produttivo.

Questo è l’errore di fondo che noi vediamo nel provvedimento qui in esame. Vediamo in esso il ripetersi di una prassi, di un costume politico che si è protratto nei decenni passati, sempre centrato sull’uso delle amministrazioni pubbliche come polmone assistenziale, unico polmone capace di dare una risposta al bisogno di occupazione. Questa politica ha prodotto molti danni: all’amministrazione pubblica, gonfiandola in modo indebito in interi suoi comparti; ma anche ai lavoratori. L’inserirsi in soprannumero in una struttura, in alcuni casi in situazioni nelle quali c’è scarsa possibilità concreta di mettere a frutto il proprio lavoro – questa è la situazione in molte società controllate dalle amministrazioni pubbliche e in molte delle amministrazioni stesse – determina una situazione in cui il lavoro poco valorizzato non può che produrre una retribuzione più bassa e non consente al lavoratore di migliorare la propria professionalità.

Dobbiamo smettere di usare in chiave assistenziale le amministrazioni; dobbiamo invece avviare in modo molto più robusto le politiche attive del lavoro, quelle che promuovono l’inserimento delle persone nel tessuto produttivo. Per questo in sede di prima lettura abbiamo presentato un ordine del giorno (n. 3.0.301), che è stato accolto dal Governo, volto a promuovere la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione: un contratto che può essere veramente il nuovo strumento capace di offrire al lavoratore la continuità del reddito e, nello stesso tempo, una assistenza di prim’ordine, di alta qualità, nel percorso verso la nuova occupazione. Uno strumento, cioè, capace di offrire prospettive occupazionali e professionali incomparabilmente migliori di quelle che possiamo offrire con strumenti quali quelli a cui abbiamo fin qui fatto ricorso nel settore pubblico, di carattere essenzialmente assistenziale. Per non parlare delle promesse destinate a rimanere per diciannove ventesimi non adempiute.

Termino dicendo che non possiamo certo salutare come positivo il fatto che le modifiche apportate dalla Camera dei deputati non abbiano migliorato il testo, ma semmai, dal punto di vista che ho esposto, marginalmente peggiorato, allungando i termini delle proroghe di contratti a termine e graduatorie. Tuttavia il carattere marginale di queste modifiche non è tale da indurci a cambiare la valutazione complessivamente positiva che abbiamo espresso su questo provvedimento all’esito delle modifiche apportate in prima lettura. (Applausi dai Gruppi SCpI e PD).

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