UN EPISODIO PARLAMENTARE LA CUI IMPORTANZA NON È STATA ADEGUATAMENTE SOTTOLINEATA E VALUTATA
Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 269, 28 ottobre 2013 – In argomento v. anche la relazione introduttiva svolta dal ministro Gaetano Quagliariello il 15 ottobre 2013 e l’intervento per dichiarazione di voto a nome del Gruppo SC del senatore Alessandro Maran, del 24 ottobre.
Mercoledì 23 ottobre – Il Senato esamina, in terza lettura, il disegno di legge che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, secondo l’itinerario che il Governo Letta e la maggioranza che lo sostiene si sono dati come parte essenziale del programma di legislatura. È essenziale che il provvedimento venga approvato dai due terzi degli aventi diritto (214 voti) per evitare il referendum, che segnerebbe di per sé uno scacco grave per il Governo e rischierebbe di azzerarne almeno metà della ragion d’essere politica. Al termine delle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei Gruppi chiedono la parola i senatori del PdL Augusto Minzolini, Ciro Falanga e Nitto Palma, che – con il plauso convinto del senatore Scilipoti – annunciano il proprio voto in dissenso, invitando gli altri colleghi di centrodestra a fare altrettanto. I banchi di questi ultimi, del resto, mostrano molti vuoti. Poiché nel contempo anche i senatori Corradino Mineo e Felice Casson del PD hanno annunciato la stessa intenzione, sia pure per motivi diametralmente opposti, si profila il rischio che manchi il quorum dei 214 voti favorevoli. Potrebbe essere una buccia di banana capace persino di far cadere il Governo Letta.
Lo scrutinio elettronico palese darà il risultato di 218 voti favorevoli: 4 soli al di sopra del quorum. E appare subito chiaro che i voti mancanti, nelle file del PdL, appartengono tutti all’ala dei “falchi” berlusconiani. Qualcuno legge questo episodio così: per la seconda volta in questo mese di ottobre il capo del PdL ha teso un’imboscata al Governo delle “larghe intese”, e per la seconda volta l’imboscata non è riuscita. Donde la conferma che quelle intese sono già un po’ meno larghe: anche al Senato la maggioranza fa già a meno di Silvio Berlusconi e della parte del PdL che egli ancora è in grado di controllare.
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