NEGAZIONISMO: NON SI FA LA STORIA PER LEGGE

PERCHÉ L’ISTITUZIONE DEL REATO DI “NEGAZIONE DI GENOCIDIO” SAREBBE STATO UN CLAMOROSO ERRORE

Intervento che avrei svolto in Senato questa settimana, nella discussione sul d.d.l. n. 54, se i partiti della maggioranza non si fossero convinti della necessità di cambiare profondamente questo disegno di legge (già affrettatamente quanto dissennatamente approvato dalla Camera), che pretenderebbe di sanzionare penalmente chiunque sostenga che un atto di sterminio non sia stato commesso

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Signor Presidente, Colleghi – Circa sei anni fa i tre curatori della Storia della Shoah edita da Utet – Marcello Flores, Simon Levis Sullam, Enzo Traverso – si fecero promotori di un appello, che raccolse l’adesione di circa duecento storici, mirato a impedire l’approvazione della legge che intendeva punire la negazione della Shoah e dei genocidi. Ora il Parlamento, sull’onda delle emozioni suscitate dall’anniversario del rastrellamento nazista del Ghetto di Roma e del funerale di Priebke, si accinge ad approvare senza indugio un testo che, molto più genericamente, condanna “chiunque nega l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio o contro l’umanità”. Credo che prima di compiere questa scelta qualche indugio sia invece necessario, per considerare le ragioni esposte in quell’appello – i cui contenuti con questo mio intervento intendo riproporre. E per evitare un grave errore concettuale, che rischia di tradursi in un grave errore di tecnica legislativa, producendo effetti diametralmente opposti a quelli che ci proponiamo di ottenere.

La norma oggi al nostro esame è ambigua, di difficile interpretazione e di ancor più difficile applicazione. Sulla definizione di genocidio e su quali siano stati i genocidi nella storia, tranne qualche caso, non vi è accordo neppure tra storici o tra giuristi; e ancor meno vi è accordo su quali di essi vadano considerati “crimini di guerra” e “contro l’umanità”. Solo quelli che sono stati sanzionati come tali a Norimberga? O quelli che un tribunale (internazionale, ma forse anche nazionale) ha definito in questo modo? È il giudice a stabilire caso per caso a quale decisione di tribunale o interpretazione di studiosi rifarsi? Potremmo mandare in galera ogni studente che rifiuta di considerare genocidio i fatti di Srebrenica (che molti di noi considerano tale ma che molti giuristi contestano), oppure la feroce repressione della Giunta militare argentina (che tre tribunali di quel paese hanno dichiarato essere stato un genocidio)? L’esercito italiano ha commesso crimini di guerra tra il 1931 e il 1943 in Cirenaica, Etiopia e nei Balcani? Molti di noi ne sono convinti, ma davvero riteniamo che su questo punto sia illecito anche soltanto aprire una discussione? Dovremo ripulire le biblioteche da tutti i libri che lo fanno, a partire da quelli di Montanelli che ha negato per anni l’uso dei gas italiani in Etiopia? Indicare un genocidio come crimine contro l’umanità o semplicemente come massacro, è negarlo? Si riuscirà a perseguire tutti coloro che commettono questa negazione? Siamo certi che la polizia sarà in grado di oscurare tutti i siti che fanno simile propaganda (visto che non riesce a fermare quelli che istigano all’odio di razza e di religione sulla base di leggi già esistenti le quali sono invece più che sufficienti anche per  colpire il negazionismo quando si associa all’incitamento dell’odio etnico, razziale, nazionalista e/o religioso)?

E poi, riusciamo a figurarci che cosa accadrà il giorno in cui il più becero e ignorante dei pennivendoli cercherà e otterrà il suo momento di gloria facendosi incriminare per negazione della Shoah, col risultato di costringere un tribunale a porre sullo stesso piano – perché sullo stesso piano devono stare formalmente in un processo – la sua difesa e l’accusa, il pennivendolo medesimo e illustri studiosi chiamati dall’accusa a testimoniare circa la verità storica? Non ci è bastata l’esperienza dei Paesi in cui sono state applicate le leggi antinegazioniste, dove proprio queste leggi hanno offerto – attraverso la copertura mediatica dei processi cui hanno dato luogo – una tribuna per la propaganda di tesi ignobili che sarebbero state altrimenti completamente ignorate dall’opinione pubblica: perché cadere in questo clamoroso errore?

La verità non può essere fissata per legge – come avviene nei regimi totalitari – o nelle aule dei tribunali, ma solo raggiunta attraverso una ricerca condotta liberamente dagli studiosi del passato, basata su una moltitudine di fonti che includono anche le testimonianze dei protagonisti: è così che la Shoah si è inscritta nella coscienza storica del mondo contemporaneo. Ed è solo così che essa deve rimanervi. Le verità ufficiali sono pericolose, come hanno sottolineato gli storici nei paesi in cui queste leggi sono state promulgate.

Il secondo motivo di contrarietà a questo disegno di legge riguarda la sua efficacia sul piano della cultura e psicologia di massa. Se il nostro obiettivo deve essere quello di contrastare la diffusione di atteggiamenti negazionisti – spesso ingenuamente ripetuti da giovani o persone del tutto ignare di ciò di cui stanno parlando – non può che essere l’educazione la strada maestra per combattere questa deriva per fortuna ultraminoritaria (visto che per la repressione di coloro che usano il negazionismo come strumento di odio o di apologia di reato le leggi già ci sono). Fare una legge crea la perversa convinzione che il problema sia risolto, e quindi possa essere accantonato e rimosso. Mentre occorrerebbe una vera campagna educativa, nelle scuole e nei mezzi di comunicazioni di massa, chiamando a partecipare l’intera società. Il razzismo e il nazionalismo aggressivo si sconfiggono con l’educazione e la cultura. Le manifestazioni di odio e apologia di razzismo possono e devono essere sconfitte con le leggi che già esistono.

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