COME RIFORMARE I SERVIZI PUBBLICI PER L’IMPIEGO PER ATTUARE LA EUROPEAN YOUTH GUARANTEE
Articolo di Francesco Giubileo e Francesco Pastore pubblicato su lavoce.info il 25 ottobre 2013
È in arrivo la riforma dei servizi pubblici per l’impiego, anche per attuare la European Youth Guarantee. I nodi sono la pluralità di attori istituzionali coinvolti, il rapporto con i privati, l’eccesso di burocrazia e l’assenza di servizi per le imprese, specie se piccole. I rischi di fallimento.
I NODI DA SCIOGLIERE
A ottobre si dovrebbe realizzare la tanto attesa riforma dei servizi pubblici per l’impiego (Spi). La riforma è attesa perché dopo la definizione, mai realizzata e forse inutile, dei “livelli essenziali” previsti dalla legge 92/2012 e la contemporanea abolizione (cancellata dalla Consulta) delle province che hanno in carico la gestione dei Cpi, i servizi sono in attesa di sapere che cosa ne sarà di loro. Inoltre, la riforma è parte del pacchetto che è necessario per l’attuazione dello European Youth Guarantee, per il quale il Governo si è impegnato con l’Unione Europea. È bene iniziare a parlarne, magari guardando all’esperienza dei paesi dove tali servizi funzionano meglio.
I nodi da sciogliere per una modernizzazione degli Spi sono almeno quattro:
– la pluralità di attori istituzionali coinvolti;
– il rapporto con gli attori privati, ancora inefficace e inefficiente;
– l’appesantimento burocratico;
– l’assenza di servizi per le imprese.
Per effetto di una distorta lettura del principio di sussidiarietà verticale, l’Italia presenta una pluralità di attori istituzionali nella gestione degli Spi: Stato, Regioni, province e in certi casi anche comuni. Si raggiunge il paradosso che lo Stato è a capo del sistema d’istruzione, le Regioni delle politiche per l’impiego e le province dei centri per l’impiego. Questa separazione è il segreto del fallimento e il decentramento amministrativo, così come realizzato, non ha certo prodotto i risultati sperati.
In altri paesi più efficienti, una sola agenzia nazionale propone e finanzia programmi di politica attiva del lavoro gestiti a livello locale da municipalità (spesso consorziate e paragonabili alle nostre province). Occorre un nuovo modello di rapporto pubblico-privato, dove il primo svolga attività di coordinamento, pianificazione e controllo del territorio e il secondo si occupi del collocamento. È necessario identificare presto un nuovo organo, con una maggiore libertà di azione, che sostituisca le province nel gestire gli Spi.
IL PROFILO DELL’UTENTE
È urgente realizzare, come avviene da decenni in Australia, ma più di recente anche nel Regno Unito e in Germania, un’attività di profiling, vale a dire di individuazione del profilo degli utenti svantaggiati secondo alcune categorie prestabilite. Compiuto in base ad alcuni criteri oggettivi (quali la durata della disoccupazione e il titolo di studio), serve a indirizzare l’utente verso una fascia del bisogno così come è definita nel seguente riquadro.
Classificazione degli utenti ai servizi pubblici per l’impiego
Fascia 1: Assistenza non necessaria, il soggetto può essere collocato dall’attore pubblico oppure è in grado “autonomamente” di trovare lavoro.
Fascia 2: Necessità di una “traiettoria” o di un minimo percorso di assistenza.
Fascia 3: Necessità di una assistenza continua e dedicata.
Fascia 4: Necessità di una assistenza continua, dedicata e, inoltre, la collocazione è possibile solo se sono presenti incentivi alle imprese.
Ognuna di queste fasce dovrebbe ricevere un determinato budget, proporzionale alla difficoltà di collocamento dei destinatari, che verrà indirizzato ai providers delegati al loro collocamento. La somma potrà essere spesa per alcuni servizi o rappresentare un premio di collocamento.
L’inserimento al lavoro è l’obiettivo principale in una logica definita di blackbox: non deve interessare il come, ma solo il risultato ottenuto. Si dovrebbe così ridurre l’orientamento opposto, diffuso in Italia, di fare solo formazione (parking), senza il passaggio al collocamento lavorativo.
Nel Regno Unito, dove è ormai consolidato il principio no cure – no pay è praticamente scomparsa tutta una filiera di attività di accompagnamento al lavoro praticate in passato, che rischiano di essere inutili per il collocamento del soggetto svantaggiato.
LA PERFORMANCE DEL PARTNER PRIVATO
La performance del partner privato dipende molto dal suo network di aziende, più che dai servizi offerti. Certo, per disincentivare i fenomeni di gaming (accordi tra azienda ed ente privato convenzionato per spartirsi il premio), è necessario pagare il compenso almeno sei mesi dopo l’instaurazione del rapporto di lavoro, da verificare tramite fonti amministrative, con la possibilità di inserire bonus aggiuntivi legati alla durata del contratto di lavoro e alla rapidità del collocamento.
Come insegna il caso inglese, per incentivare l’attore privato, vanno realizzati sistemi di rating pubblici degli operatori, sulla base di strumenti statistici/econometrici definiti prima dell’erogazione degli incentivi. Gli utenti sceglieranno l’attore privato che ritengono più adeguato, sulla base delle performance passate, della loro qualifica e del settore di interesse (una “Guida alla scelta”). Molti dei concetti appena esposti sono alla base della nuova “Dote unica del lavoro” che verrà realizzata in Lombardia. L’intervento si ispira prevalentemente al modello olandese, ritenuto tra le esperienze più interessanti di delega al privato.
ONERI BUROCRATICI E SERVIZI PER LE IMPRESE
Un terzo problema riguarda la gestione della parte amministrativa che assorbe un numero impressionate di funzionari e, come nel caso della registrazione della disponibilità al lavoro dei cassa integrati in deroga, toglie tempo a servizi più utili.
Come abbiamo suggerito in un precedente intervento (Un call center per trovare lavoro), si potrebbero delegare i compiti di registrazione e primo contatto a un call center. Le possibilità di realizzare questo progetto a costo zero sono molte: si può sfruttare il Contact center dell’Inps con un servizio dedicato, razionalizzare l’attività dei funzionari nei Cpi con telelavoro, oppure destinare un piccolo budget a un servizio esterno, come fatto in alcune province.
I servizi alle piccole imprese sono il vero punto debole e, senza una riorganizzazione, l’attore pubblico rischia di restare un inutile contenitore di curriculum. Tre funzioni potrebbero consentire ai Cpi di essere un utile interlocutore:
– servizi e assistenza passo-passo per aprire una partita Iva;
– potenziamento della figura di consulenza del lavoro;
– e infine, consulenza in tema di bandi, sgravi e così via.
L’alternativa consiste nel delegare in partnership ai privati lo svolgimento di queste funzioni.
I COSTI E LE PROSPETTIVE
La riforma è potenzialmente a costo zero, ma va affrontata con coraggio. L’eliminazione di alcuni ruoli istituzionali dovrebbe portare a un risparmio di risorse da reinvestire nei servizi alle imprese. In altri termini, occorre riqualificare un numero sufficiente di dipendenti a livello regionale, nazionale e locale e destinarli ad altra attività. I servizi di collocamento dei privati potrebbero essere pagati con i fondi attualmente erogati ai programmi di accompagnamento. Inoltre, nel caso si costituisca un nuovo organo a livello nazionale che sostituisca le varie istituzioni oggi chiamate alla gestione delle politiche attive o degli Spi, si otterrebbe un risparmio di risorse tale da finanziare tutti i servizi qui descritti.
Tra le proposte avanzate dal Governo Letta, di tutto ciò non vi è traccia e il timore è che, seppure attuata, la riforma degli Spi si risolva in una enunciazione di buoni proposti, con risvolti problematici per il successo anche della Youth Guarantee. Sarebbe un peccato, poiché si lascerebbe ancora una volta insoddisfatta l’aspettativa di una maggiore competenza dal lato dell’offerta di lavoro e si farebbe finire una buona parte delle risorse (nazionali e comunitarie) in azioni di orientamento e formazione, che in questi anni non hanno aiutato i beneficiari di ammortizzatori in deroga o i disoccupati di lungo periodo a trovare un nuovo lavoro.
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