UN EMENDAMENTO PER LA TRASPARENZA DEGLI INTERESSI PERSONALI DEI PARLAMENTARI
In un articolo pubblicato da La Repubblica il 19 luglio 2008 Tito Boeri sollecita i politici a una maggiore trasparenza circa i propri interessi personali e propone che il disegno di legge per la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, attualmente in discussione al Senato, sia integrato con una norma che imponga la pubblicazione dei dati circa proprietà, obbligazioni e partecipazioni societarie di deputati e senatori. Rispondo all’appello di Boeri formulando l’emendamento che presenterò nei prossimi giorni (lo si può leggere in coda all’articolo).
Sia Antonio Di Pietro che Silvio Berlusconi ritengono imminente una nuova tangentopoli. Il primo lo ha detto espressamente in questi giorni, commentando l’arresto di Ottaviano Del Turco. Il secondo lo ha fatto capire cercando, senza successo, di imprimere una brusca accelerazione alla sua proposta di reintrodurre l’immunità parlamentare. Difficile stabilire se hanno ragione. Quel che è certo è che una classe politica che dovesse pensare solo a rafforzare gli scudi protettivi della “casta” mentre il paese sprofonda nella stagflazione, sono in corso diverse indagini che vedono coinvolti uomini politici e sono stati intercettati ripetuti episodi di gestione personale del potere, rischierebbe una sonora bocciatura dei cittadini. Sono loro i veri giudici in democrazia. E hanno già dato prova di saper travolgere col voto una classe politica, quella della Prima Repubblica, che aveva edificato attorno al suo operato un sistema di corruzione capillare.
Il compito primario di un sistema immunitario è quello di proteggerci dai processi degenerativi che si mettono in moto all’interno del nostro stesso organismo. La classe politica oggi deve difendersi soprattutto dalla corruzione e dall’uso a fini personali del potere. Il migliore anticorpo che può attivare è la trasparenza sulla situazione finanziaria e sugli interessi economici dei politici. Nei paesi in cui c’è più informazione sugli interessi privati e sull’operato dei politici, si registrano meno episodi di corruzione. Deve essere una trasparenza effettiva nel senso che deve essere possibile per tutti controllare se i politici si sono astenuti dal partecipare a decisioni in cui erano portatori di interessi potenzialmente in contrasto con quelli della collettività.
Oggi in Italia è possibile sapere a quanto ammontano i redditi e i patrimoni dei parlamentari e delle più alte cariche dello stato, ma non sono noti i potenziali conflitti di interesse in cui possono incorrere nell’esercizio delle loro funzioni. Ad esempio, non si conosce la composizione del portafoglio di azioni posseduto da parlamentari e consiglieri regionali e i debiti che hanno contratto (non solo durante la campagna elettorale!). Queste informazioni sono, almeno in parte, raccolte dalle presidenze di Camera e Senato, ma non vengono pubblicate. Farlo ora, subito è il modo migliore per scongiurare una nuova tangentopoli.
Il macroscopico conflitto di interessi del nostro Presidente del Consiglio è già oggi evidente a tutti coloro che vogliono vederlo. Ma ce ne sono tanti altri, di conflitti di interesse, che riguardano decine di deputati, senatori e consiglieri regionali, di cui l’opinione pubblica non è affatto consapevole e di cui non si ha traccia, neanche passando al microscopio gli atti pubblici. Questi conflitti inquinano e ritardano i processi decisionali, facendo lievitare i costi della politica. Proviamo a fare alcuni esempi.
In Italia, soprattutto con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, si è affermata una nuova classe di politici, particolarmente esposti a conflitti di interessi. Si tratta dei politici-managers, imprenditori che decidono di presentarsi alle elezioni. Oggi un deputato su quattro proviene da quelle fila, contro uno su dieci nel 1948. Quali che siano le loro motivazioni, gli imprenditori che si danno alla politica poi non tornano più a occuparsi del loro business a tempo pieno. Rimangono con un piede nel pubblico e con l’altro nel privato, a vita. E’ una condizione in cui è facile incorrere in conflitti di interesse, soprattutto in un paese come il nostro dove l’attività delle imprese private è fortemente regolata. Il sospetto è che l’ibrido piaccia proprio per questo.
I medici hanno un peso rilevante nel nostro Parlamento: cinque deputati su cento provengono dalle loro fila. Sono molti quelli che, anche da parlamentari o consiglieri regionali, continuano ad esercitare la libera professione. Come segnalato dai ripetuti casi di corruzione nella sanità, c’è oggi una eccessiva concentrazione di potere nelle mani di gestori e medici di case di cura accreditate. Sta diventando una vera e propria emergenza nazionale. Qualora, come auspicabile, vengano apportati correttivi alle normative sul sistema di accreditamento delle cliniche private, come si comporteranno i medici-politici? Saranno davvero sereni nel loro giudizio?
Non sono esempi tratti a caso. Le disuguaglianze nei redditi dei parlamentari sono esplose nella Seconda Repubblica grazie al crescente peso parlamentare dei manager-politici e dei liberi professionisti. Nel cumulo dei loro redditi parlamentari ed extra-parlamentari trovano molte complementarietà. Bene sincerarsi che queste sinergie ci siano anche dal punto di vista degli interessi della collettività.
“Ci sono due modi di fare il politico”, scriveva Max Weber nel 1918: “si può vivere per la politica oppure si può vivere della politica”. L’opinione pubblica ha oggi il legittimo sospetto che molti nostri politici, nazionali e locali, interpretino il loro ruolo in questo secondo modo, cercando di rendere il mandato ricevuto dagli elettori una fonte di reddito permanente. Solo per loro. Chi oggi vuole allontanare questo sospetto ha un modo per farlo, subito. Il Parlamento sta per discutere due disegni di legge sulla valutazione e trasparenza delle amministrazioni pubbliche. Basta un piccolo emendamento che imponga di raccogliere e pubblicare le informazioni sui potenziali conflitti di interesse dei parlamentari. Un Parlamento che accettasse questo emendamento avrebbe un titolo in più per chiedere anche ai dipendenti pubblici maggiore trasparenza nel loro operato.
Tito Boeri ha ragione. L’emendamento aggiuntivo che occorre apportare al disegno di legge sulla trasparenza nelle amministrazioni pubbliche è semplicissimo:
“Il contenuto delle dichiarazioni presentate dai deputati e dai senatori a norma dell’articolo 2 della legge 5 luglio 1982 n. 441 viene pubblicato rispettivamente nei siti Internet della Camera e del Senato entro il 31 agosto di ogni anno.”
Lo presenterò nei giorni prossimi. (p.i.)