LA SUA DIFFERENZA RISPETTO AL REDDITO MINIMO GARANTITO, OVVERO “DI CITTADINANZA”, E IL KNOW HOW NECESSARIO PER PRATICARE QUESTA FORMA DI POLITICA ATTIVA DEL LAVORO
Intervista a cura di Paolo Fiore, pubblicata su Affaritaliani, 7 ottobre 2013 – In argomento v. anche la mia intervista a Liberodel 4 ottobre sulla sperimentazione del contratto di ricollocazione, e l’intervista pubblicata su Italia Oggi il 18 luglio 2013
Dal 2014 arriva il “reddito minimo”. Lo ha assicurato il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, parlando di “svolta epocale”. É d’accordo il giuslavorista e senatore di Scelta Civica Pietro Ichino, intervistato da Affaritaliani.it: “Sarebbe, effettivamente, una svolta epocale se riuscissimo a passare dall’attuale regime di assistenzialismo senza regole a un regime di assistenza universalistico”. Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, però, boccia il provvedimento: “Toglierebbe risorse alla Cig”. Ma, per Ichino, è proprio questo il punto: “Un sindacato serio dovrebbe interrogarsi sugli effetti rovinosi che oggi la Cassa integrazione produce”.
L’INTERVISTA
Il ministro Giovannini ha assicurato che nella legge di Stabilità ci sarà il “reddito minimo”. É d’accordo?
Quello di cui il ministro ha parlato non è un reddito minimo garantito, ma un reddito minimo di inserimento. La distinzione tra i due concetti è molto importante: non si tratta di un reddito “di cittadinanza”, garantito a chiunque per il solo fatto che sia cittadino italiano, ma di un sostegno del reddito riservato a persone prive di occupazione e condizionato alla loro disponibilità effettiva per tutto quanto è necessario al fine del loro reinserimento nel tessuto produttivo, oltre che dell’inserimento scolastico dei loro figli.
Il ministro ha definito il provvedimento “una svolta epocale”. Crede che sia così?
Sarebbe, effettivamente, una svolta epocale se riuscissimo davvero a passare dall’attuale regime di assistenzialismo senza regole, basato sull’abuso sistematico della Cassa integrazione guadagni, a un regime di assistenza universalistico e gestito con il necessario rigore: cioè con applicazione efficace della regola della condizionalità del sostegno del reddito ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione. Il problema è che questa condizionalità richiede, per essere applicata efficacemente, un know how che attualmente i nostri servizi pubblici nel mercato del lavoro non hanno.
Come potremmo acquisire questo know how?
La mia proposta consiste nell’incominciare, dove ce ne sono le condizioni migliori, a sperimentare il metodo del “contratto di ricollocazione” stipulato dalla Regione con un’agenzia di outplacement e con la singola persona interessata, disponibile a una applicazione rigorosa della regola della condizionalità. Il servizio di outplacement è pagato con un voucher, per la maggior parte condizionato al successo della ricollocazione (per i dettagli ulteriori devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it). In questo modo tutte le parti si autoselezionano e sono incentivate a cooperare per ottenere il risultato della riqualificazione e rioccupazione in tempi brevi. Via via che l’esperimento produce il risultato, esso può essere esteso, e alla fine generalizzato.
Quali i potenziali effetti positivi e quali quelli distorsivi del reddito minimo garantito?
Il reddito minimo garantito a tutti, cioè “di cittadinanza”, ha un effetto di riduzione marginale della partecipazione delle persone più deboli al mercato del lavoro. Per questo, a quel che mi risulta, questa misura oggi è attivata soltanto in Alaska, dove lo Stato distribuisce in questa forma ai suoi pochissimi residenti il “dividendo” dell’estrazione degli idrocarburi. Il reddito minimo “di inserimento”, invece, proprio perché caratterizzato dalla condizionalità di cui ho detto prima, ha l’effetto esattamente contrario, di stimolare l’inserimento nel tessuto produttivo: il sostegno del reddito, in un certo senso, remunera la ricerca attiva dell’occupazione, essendo ad essa condizionato; non produce dunque l’effetto perverso dell’allungamento dei periodi di inerzia e isolamento dal tessuto produttivo regolare.
Il segretario Cisl Bonanni ha dichiarato che “l’ipotesi di inserire nella legge di stabilità un provvedimento sul reddito minimo garantito è la solita discussione per toglier molte casse integrazioni, soprattutto quelle in deroga”. Cosa ne pensa?
C’è del vero in quel che il segretario della Cisl osserva. Credo però che non solo la Cisl, ma anche qualsiasi altro sindacato serio dovrebbe interrogarsi sugli effetti rovinosi che oggi la Cassa integrazione produce, per il modo sregolato e dissennato in cui viene erogata. Di fatto, in moltissimi casi essa viene utilizzata in situazioni nelle quali non c’è alcuna prospettiva di ripresa del lavoro nell’azienda da cui il lavoratore formalmente dipende. Dunque, viene utilizzata come sussidio di disoccupazione, ma senza alcun collegamento con le necessarie iniziative di ricerca della nuova occupazione, quindi senza alcuna effettiva condizionalità. Col risultato di congelare per anni la situazione, così cacciando il lavoratore in un vicolo cieco, disincentivando il suo reinserimento nel tessuto produttivo. Per questo è importantissimo incominciare a voltar pagina, passando dalla politica del lavoro passiva a quella attiva.
Come?
Non vedo altro modo efficace, se non quello del “contratto di ricollocazione” di cui ho detto prima, che mira a riprodurre qui da noi le esperienze migliori di cui disponiamo nel panorama internazionale.
Ma da noi manca la domanda di lavoro.
Nel corso del 2012, cioè dell’anno peggiore della crisi peggiore degli ultimi ottant’anni, in Italia sono stati stipulati 10 milioni di contratti di lavoro, dei quali 1,7 milioni a tempo indeterminato, ben distribuiti fra nord, centro e sud del Paese: dati risultanti dalle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro, quindi attendibilissimi. Inoltre, in ogni regione italiana ci sono decine di migliaia di skill shortages, cioè di posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di offerta di manodopera dotata della qualificazione necessaria. Certo, occorre aumentarla, e molto, questa domanda di lavoro. Ma occorre anche – e subito – incominciare a costruire dei canali efficaci per mettere in comunicazione questa domanda di lavoro con le i disoccupati disponibili. Innanzitutto evitando di metterli in freezer per anni con la Cassa integrazione.
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