ORA LETTA ABBIA CORAGGIO E SMENTISCA CHI GLI DÀ DEL DOROTEO

C’E’ UN’ITALIA CHE CORRE E UNA CHE ARRETRA – OCCORRE SPOSTARE RISORSE DA QUESTA A QUELLA: DUNQUE, SOSTITUIRE LA CIG CON MISURE PER LA RICOLLOCAZIONE DEI LAVORATORI – E UN ACCORDO CORAGGIOSO CON LA UE PER LA DETASSAZIONE DEI REDDITI DI LAVORO E IMPRESA

Articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi pubblicato sul Corriere della Sera il 6 ottobre 2013 – Sul come passare dalle politiche passive del lavoro, e in particolare dall’abuso della Cassa integrazione, alle politiche attive caratterizzate dalla condizionalità del sostegno del reddito offerto ai lavoratori disoccupati,  leggi la mia intervista a Libero del 4 ottobre 2013

La fiducia al governo Letta ha allontanato dall’Italia alcune nubi di mercato. Lo spread è sceso sotto quota 250. E altre circostanze non sono a noi sfavorevoli. La sfida tra repubblicani e democratici americani su bilancio e debito pubblico (che ha prodotto il cosiddetto shutdown ) ha avuto l’effetto di far affluire capitali verso l’euro (1,36 ai massimi sul dollaro degli ultimi otto mesi). Ne hanno beneficiato anche i nostri Btp, i cui rendimenti sul decennale sono scesi al 4,29 per cento.
Persino il tempo che Angela Merkel impiega in Germania nel costruire una grande coalizione ci appare non così diverso dalle nostre stanche ritualità. Ma rilassarsi è proibito, anche perché il rischio di un nuovo declassamento del nostro debito è tutt’altro che scongiurato. Basterebbe scendere di due gradini (tecnicamente notches) perché gli investitori istituzionali, internazionali e anche italiani, si trovino nell’impossibilità di detenere o di acquistare i nostri titoli pubblici. Con le conseguenze sul costo del debito e sulla spirale fra elevata tassazione e recessione facilmente immaginabili.
Il sollievo è comprensibile dopo una settimana così convulsa, la distrazione colpevole. Nei prossimi giorni il governo dovrà presentare all’Unione Europea prima e al Parlamento poi una legge di Stabilità, la vecchia finanziaria, assai difficile nell’equilibrio precario fra le attese dei partiti e la rigidità dei vincoli di bilancio. Nella discussione preparatoria che ne scaturirà, al di là degli slogan (tanti) e delle buone intenzioni (poche), sarà utile tenere conto di un’economia italiana a due facce. Il quadro complessivo è problematico ma non mancano i segni di fiducia e le aree di forza.
L’Italia ha una bilancia commerciale in attivo: importiamo materie prime e tutta l’energia (gas e petrolio) che consumiamo, ma esportiamo più che a sufficienza per pagare quelle importazioni. Certo, la recessione ha ridotto le importazioni, ma non è solo questo il motivo per cui il saldo commerciale con l’estero è attivo. Le nostre esportazioni crescono (195 miliardi nel primo semestre di quest’anno, dieci in più dell’anno scorso), e non stiamo perdendo quote di mercato, nonostante le difficoltà in cui si muovono le imprese italiane e l’alto costo del lavoro dovuto alle imposte. Nel primo semestre di quest’anno le esportazioni di articoli farmaceutici sono cresciute del 13,6%, la metallurgia +9,1, gli articoli di pelletteria +7,4, prodotti alimentari e articoli di abbigliamento +5,3, gioielleria e strumenti musicali +4,5. In generale, i prodotti delle attività manifatturiere hanno mostrato un incremento dei valori esportati del 4,3%. Le aziende che esportano sono un po’ dappertutto. Rispetto al primo semestre dello scorso anno le esportazioni sono cresciute, ad esempio, del 11,3% in Puglia e del 10,7 in Toscana. Emilia-Romagna e Lombardia sono nella media, ma il Nord-Est è fermo, mentre scendono le esportazioni di Liguria, Friuli e Basilicata.
Quindi ci sono due Italie. Una fatta di imprese produttive, che esportano, e che si sono ben adattate all’euro. Altre che non riescono a farlo, si sono rinchiuse nel mercato domestico, non si rinnovano a sufficienza e sopravvivono solo grazie a mille protezioni. Questa, con luci e ombre, tanti problemi ma anche tanto entusiasmo, è l’Italia fuori dal Parlamento. Possiamo chiedere a deputati e senatori di ricordarsi che questo è il Paese che sono stati eletti a rappresentare? La nostra economia si contrae, anche quest’anno di quasi il 2%. Ma questa contrazione media è il risultato di due situazioni opposte: un’Italia che cresce e un’altra che si restringe, e di molto. Per ricominciare a crescere basterebbe spostare e riorganizzare le risorse in modo da allargare un po’ lo spazio occupato dalla prima. Ma bisogna poterlo fare, e per ciò è essenziale riformare un mercato del lavoro ingessato. La Cassa integrazione, ad esempio, è un ostacolo alla riorganizzazione delle risorse: mantiene i lavoratori legati a un’impresa, anche se questa non riaprirà più, e nel frattempo non li incentiva a cercare lavoro in un’azienda più dinamica. Occorre sostituirla con sussidi alla disoccupazione basati su incentivi a cercare attivamente lavoro. Bisogna ridurre le tasse sul lavoro oggi così alte da rendere difficile per molte imprese fare quel salto di qualità che le renderebbe competitive sul mercato internazionale. Parliamo con chiarezza e credibilità all’Unione Europea chiedendo di permetterci qualche anno di flessibilità sui vincoli fiscali per facilitare queste riforme e le riduzioni graduali di spesa che le devono accompagnare.
Le virtù democristiane di Letta e Alfano hanno evitato al Paese non solo un’incerta campagna elettorale ma anche un’ulteriore deriva delle sue condizioni finanziarie. Nel predisporre la legge di stabilità, l’auspicio è quello che i vecchi vizi della Prima Repubblica non si riproducano nella timidezza a tagliare le spese e nell’arrendevolezza verso lobby e corporazioni. Si è detto che in questi giorni si assiste anche a un’ideale passaggio di testimone fra una generazione e l’altra della politica. Se è vero, ciò dovrebbe avvenire con un deciso cambio di mentalità, una svolta culturale in politica economica che favorisca la competitività e il lavoro dei giovani, la lotta a sprechi e inefficienze, la riduzione sensibile di una tassazione insopportabile. Ci illudiamo? Forse. Il costo di un nuovo fallimento sarebbe molto alto e dimostrerebbe che l’età purtroppo non conta.

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