PERCHÉ È SBAGLIATO CONTINUARE CON LA CIG IN DEROGA – PERCHÉ LA SPERIMENTAZIONE REGIONALE DEL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE PUÒ SEGNARE UNA SVOLTA DECISIVA NELL’EVOLUZIONE DEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO VERSO IL MODELLO NORD-EUROPEO
Intervista a cura di Stefano Taglione, per il Tirreno, 26 settembre 2013 – Sono disponibili sul sito: il testo di un possibile disegno di legge sul progetto di sperimentazione regionale e le slides della relazione illustrativa del progetto, presentata a un convegno svoltosi a Milano il 23 settembre 2013
Le aziende sempre più spesso ricorrono alla cassa integrazione. Se, come nei casi toscani, al termine del periodo di CIG non corrisponde una ripresa imprenditoriale, la CIG non ha raggiunto il suo scopo. Come si può evitare questo epilogo?
Innanzitutto occorrerebbe una maggiore serietà nella fase iniziale dell’attivazione della Cig. È troppo diffusa l’idea che un paio di anni di Cig, prima dello scioglimento del rapporto di lavoro, costituiscano “un diritto” per i lavoratori nelle crisi occupazionali aziendali. In questo modo, invece, li si avvia verso un vicolo cieco.
In che senso?
Si disincentiva la ricerca della nuova occupazione, facendo finta che il vecchio rapporto di lavoro esista ancora. Ma tutti gli studi mostrano che ogni mese che passa dall’inizio della sospensione rende più difficile in reinserimento del lavoratore nel tessuto produttivo.
Per casi simili, in futuro, secondo lei bisognerebbe agire diversamente?
Sì. Stiamo lavorando intensamente proprio in questi giorni a un progetto mirato a incentivare tutte le parti a scegliere il comportamento più utile. L’idea è di consentire alle Regioni interessate di sperimentare l’offerta a tutte le persone disoccupate un “contratto di ricollocazione”, che abbia a oggetto, per un verso, un servizio serio di outplacement, cioè di assistenza intensiva professionale nella ricerca della nuova occupazione, gestito da chi ne ha il know-how, finanziato con il contributo del Fondo Sociale Europeo, pagato solo a risultato positivo conseguito.
E per l’altro verso?
La “condizionalità” del sostegno del reddito: il lavoratore deve essere affidato a un tutor che lo assista in modo professionale e ne controlli quotidianamente la disponibilità per tutto il percorso di ricerca e riqualificazione necessario. Il rifiuto non ragionevole di questa disponibilità determina la riduzione e poi la sospensione del trattamento di disoccupazione o di mobilità. Partecipa solo il lavoratore che accetta questa regola. Per ulteriori dettagli devo rinviare al mio sito.
La Provincia di Livorno aveva organizzato, a questo scopo, dei corsi di formazione per agevolare il ricollocamento dei lavoratori della ex Delphi. Costo un milione di euro. È questa la strada giusta?
I corsi servono soltanto se sono mirati specificamente a ciò che chiede una determinata azienda. Oggi in ogni Regione ci sono decine di migliaia di skill shortages, cioè di posti che sarebbero già disponibili, ma restano scoperti per mancanza di manodopera con le attitudini richieste.
Sarebbe stato meglio “dirottare” le ingenti risorse destinate ad ammortizzatori sociali estesi nel tempo verso misure mirate alla creazione di posti di lavoro?
No: verso misure mirate a rispondere agli skill shortages di cui ho detto prima.
Bisogna porre un limite nel tempo alla Cig in deroga?
La mia proposta, e non soltanto la mia, è nel senso di concentrare tutte le risorse, che oggi disperdiamo in mille rivoli con la Cig in deroga, sulla sperimentazione dei contratti di ricollocazione.
Può succedere che i lavoratori, mentre percepiscono i contributi derivanti dagli ammortizzatori sociali, trovino un’altra occupazione “a nero”. Loro potrebbero giustificarsi di averlo fatto per ragioni di sopravvivenza, perché con 700 euro al mese non riescono a vivere. È una cosa che si può disincentivare? Come?
Sperimentando la condizionalità del sostegno del reddito: proprio l’oggetto dell’esperimento del “contratto di ricollocazione” che spero venga lanciato nelle prossime settimane.
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