L’ORGANO DELL’ASSOCIAZIONE DEI DIRIGENTI INDUSTRIALI DÀ CONTO DEL RISULTATO POSITIVO CONCRETO CONSEGUITO AL MIO ARTICOLO SULLE VESSAZIONI CUI LA BUROCRAZIA STATALE PERIFERICA TALVOLTA SOTTOPONE IL CITTADINO
Articolo di Paolo Foschi, pubblicato su HR On line, settembre 2013 – Il riferimento è al mio articolo La mia odissea per pagare una tassa, pubblicato dal Corriere della sera il 15 luglio 2013, e alla lettera circolare del Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate ai dipendenti del 3 agosto successivo
Lo scorso 15 Luglio, quando l’estate stentava a decollare, il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina “La mia odissea per pagare una tassa“. Così era titolata la lettera in cui il professor Pietro Ichino esponeva il tour de force al quale era stato sottoposto per registrare, all’Agenzia dell’Entrate, un contratto d’affitto. L’appartamento ereditato insieme al fratello era stato affittato e l’aspirante buon cittadino, in tal modo si definisce Ichino, decide di registrare il contratto per poter includere il canone percepito “nella denuncia dei redditi”. Il testo proseguiva a pagina 21, su cinque colonne che occupavano l’intera pagina, tranne un taglio basso su cui più oltre ci si soffermerà. Il richiamo dalla prima pagina ben sunteggiava la vicenda. Testualmente l’occhiello: “Il racconto Registrare un contratto d’affitto è un gimcana che costa tempo e denaro. E dopo infinite visite allo sportello si deve ricominciare da capo on line”; il titolo: “Marca da bollo, notaio, modulo F23, Pin… La mia disavventura per pagare le tasse”; il catenaccio: “Quando una burocrazia da Stato arrogante trasforma i cittadini in sudditi”.
La singolare vicenda, esposta in modo asettico, incontrovertibile e disarmante, non poteva passare sotto silenzio. Tanti lettori, memori forse di essere stati vessati in passato dallo “Stato arrogante”, hanno voluto dire la loro. Sicché l’indomani il quotidiano, con titolo “Meno attese e regole chiare per noi persi tra i burocrati“, dopo aver riepilogato le traversie narrate da Ichino, fra le “centinaia di lettere, interventi, commenti e storie personali” ne pubblicava alcune che occupavano un’intera mezza pagina. Nell’altra metà una immagine corredata da pochissimo testo che annunciava l’inaugurazione del museo delle scienze di Trento, sottolineava la storia sapientemente riepilogata, invitando alla lettura dei testi selezionati.
Il clamore suscitato dalla lettera al Corriere ha fatto sì che il 3 Agosto, quando l’estate era finalmente decollata regalandoci il gran caldo dell’anticiclone africano, Attilio Befera, di fresca riconferma come Direttore dell’Agenzia delle Entrate dal Governo delle “larghe intese”, indirizzasse “Al personale dell’Agenzia” una lunga lettera con oggetto “Indicazioni sullo svolgimento dell’attività di servizio ai contribuenti“. Il testo è stato pubblicato nella newsletter di Ichino preceduto dal commento “Risponde in modo serio e incisivo al mio intervento sulle disfunzioni di un ufficio periferico. Indicando l’antico criterio cui deve ispirarsi anche il comportamento del dipendente pubblico nei confronti del cittadino”. Befera infatti dopo aver citato Italo Calvino (“il bravo scrittore è colui che si sdoppia sempre nel suo lettore”) trasforma la frase in: “il bravo funzionario pubblico è colui che si sdoppia sempre nel cittadino che ha di fronte”. In un Paese permeato di cultura cattolica, per non avventurarsi nella disputa se il detto “non fare agli altri cosa ciò che non vorresti fatto a te stesso” risalga alla tradizione cristiana o confuciana, Befera lo reinterpreta in “una sorta di versione amministrativa della golden rule” che suonerebbe “come riterresti giusto e ragionevole che i funzionari del fisco si comportassero con voi quando voi siete contribuenti?”. Affermare semplicemente che il funzionario pubblico italiano, retribuito dalle imposte pagate dai contribuenti fedeli, debba essere simile all’inglese civil servant definito da Corrado Augias “colui che spende una parte della sua vita al servizio del suo Paese” era forse troppo semplice. Nella parte conclusiva il Direttore dell’Agenzia rammenta poi che la prestazione di lavoro deve essere fornita con la “diligenza del buon padre di famiglia” come dispone l’art. 1176 c.c. Sarebbe stato forse più incisivo citare per intero il primo comma dell’articolo: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. Trasformare il funzionario dell’Agenzia in “debitore” di qualsiasi aspirante buon cittadino era forse troppo.
Il cittadino contribuente fedele, vessato da “una burocrazia da Stato arrogante [che] trasforma i cittadini in sudditi” non può comunque non essere grato al Befera che cogliendo un grido di dolore è intervenuto.
Si è detto che la lettera di Ichino proseguiva, a pagina 21 del Corriere, su cinque colonne che occupavano l’intera pagina, tranne “un taglio basso”, sempre su cinque colonne. Il taglio basso è passato sotto silenzio mentre avrebbe dovuto suscitare ben maggior clamore rispetto al tour de force narrato dall’aspirante buon cittadino Ichino. In breve l’occhiello: “Paradossi Il caso dei dipendenti del ministero della Cultura pagati per «guardare quello che succede in corridoio». Fra taglio e cucito e solitari online”; il titolo: “Quegli uscieri che per mestiere augurano il buongiorno“; il catenaccio: “Borletti Buitoni: «Ho chiesto di spostarli al museo di Palazzo Venezia dove mancano i custodi, non si può»”. Sì perché al Ministero dei Beni Culturali “avendo poco da fare, l’usciere si organizza. Due signore, ad esempio, hanno trovato una seconda attività: cuciono, rammendano, aggiustano. Serve un orlo ai pantaloni? Te lo fanno loro. Bisogna riparare una giacca strappata? Stesso discorso. Un servizio di piccola sartoria interno a disposizione dei dipendenti. Che, magari, per un lavoretto allungano qualche euro o si «sdebitano» con un regalo.” Siccome c’è una postazione di usciere ogni dieci metri, dotata di p.c., per non annoiarsi gli “altri invece passano la giornata incollati al computer. Agenzie, rassegne stampa, siti internet specializzati in beni culturali? Macché. Il passatempo preferito è il Klondike, il solitario di Windows, quello dove devi raggruppare le carte dello stesso seme…”. Il Sottosegretario di Stato riferisce: “Ho chiesto se fosse possibile spostare queste persone al museo di Palazzo Venezia dove c’è carenza di custodi, ma mi è stato risposto che non sapevo quel che dicevo e che spostarli non è possibile per ragioni sindacali”. Il cittadino contribuente fedele dovrebbe chiedersi: ma chi ha mai sottoscritto un accordo sindacale del genere? Come impiegano i miei soldi?
Sono affetto da una inguaribile nostalgia dei film “gialli” americani degli anni quaranta, quelli in bianco e nero, nei quali il capo della polizia ordinava al detective: “Domani mattina sulla mia scrivania un rapporto di 30 righe”. In fondo in fondo, un rapporto di trenta righe sulla vicenda degli uscieri del Ministero dei Beni Culturali, scritto dal Capo di Gabinetto, potrebbe venire buono se il Sottosegretario in un talk show fosse aggredito da un focoso sindacalista sul problema della “disoccupazione giovanile”.
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