GLI AGENTI OCCULTI DELLA POVERTA’

NELLA CLASSIFICA DEL FMI L’ITALIA E’ AGLI ULTIMI POSTI PER L’AVANZAMENTO DELLE RIFORME CHE POSSONO FAVORIRNE LA CRESCITA NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE: IN UNA SCALA DA “A” A “C”, ABBIAMO CINQUE “C” E QUATTRO “B” – CHI RALLENTA QUESTE RIFORME CONDANNA UNA PARTE DEL PAESE ALL’INDIGENZA

Fondo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, pubblicato sul Corriere della Sera dell’8 agosto 2013

L’Italia è ferma da due decenni. In questo periodo il reddito medio degli italiani (dati Eurostat) si è ridotto del 14 per cento, mentre rimaneva sostanzialmente invariato nel resto dell’area euro e cresceva del 12 per cento negli Stati Uniti. Da che cosa dipende questo risultato drammatico? Il Fondo monetario internazionale ha confrontato i progressi compiuti da alcuni Paesi nel riformare le proprie economie (Fostering Growth in Europe, aprile 2012). Ha suddiviso le riforme in due gruppi: quelle che possono tradursi più rapidamente in maggior crescita (riforme del mercato del lavoro; privatizzazioni; liberalizzazioni nel campo dei trasporti, della distribuzione dell’energia, delle professioni, della distribuzione commerciale) e quelle che invece richiedono tempi più lunghi per produrre effetti positivi (formazione del capitale umano, cioè scuola e università; pubblica amministrazione; giustizia civile).

Per ogni tipo di riforma (i dati si riferiscono al 2011-12), il Fondo ha assegnato a ciascun Paese un voto: A se le riforme in quel campo sono state completate, B se il Paese è a metà strada, C se il più rimane da fare. Alcuni Paesi nordici (Svezia e Danimarca, ma anche la Gran Bretagna) sono in cima alla classifica, con quasi tutte A. Vanno abbastanza bene anche gli Stati Uniti (tre B e sei A) e non male neppure il Giappone. Fra i Paesi dell’euro l’Olanda ha otto A e una sola B; la Germania quattro B e cinque A. L’Italia ha cinque C e quattro B. Solo la Grecia (nove C) è piu o meno al nostro livello. C’è una sola area dove l’Italia appare ai primi posti: le pensioni. Per questo possiamo ringraziare il governo Dini la cui riforma, nel 1995, fu votata dal Parlamento solo perché sarebbe entrata in vigore 15 anni più tardi. Ma quella legge aprì la strada a provvedimenti successivi, come la riforma Fornero che ne ha accelerato i tempi di attuazione.

L’Italia è dunque uno dei Paesi in cui una spinta sulle riforme produrrebbe maggior crescita. Sempre il Fondo stima che se raggiungessimo un voto A in tutte le voci, nell’arco dei prossimi 50 anni il nostro reddito potrebbe aumentare del 30 per cento circa: se avessimo cominciato due decenni fa…. La Germania cominciò 10 anni fa, quando il cancelliere Schröder varò l’Agenda 2010, un piano di riforme ambiziose che partì dal mercato del lavoro e si estese con Angela Merkel al campo costituzionale, con interventi utili ad accelerare l’iter legislativo. Fra il 2005 e oggi la disoccupazione in Germania è scesa di sei punti e il reddito medio delle famiglie tedesche è salito di dieci. Se invece di un fortissimo aumento della pressione fiscale, il governo Monti avesse tagliato un po’ la spesa, se i governi che lo hanno preceduto avessero fatto solo alcune delle riforme indicate dal Fondo monetario, la recessione che stiamo vivendo non sarebbe tanto grave. Infatti la caduta del reddito, dal 2010 ad oggi, è stata meno accentuata nei Paesi che la crisi ha colto più avanti sulla via delle riforme.

La lezione per la politica è semplice. All’Italia serve con urgenza uno slancio riformatore che trasformi tutti questi voti C in B e A. Il governo Letta ha già sprecato cento giorni. Tranne un passo avanti sull’abolizione delle province e una tardiva e parziale accelerazione dei pagamenti dei debiti alle imprese, ha sostanzialmente fatto melina. Quanti altri giorni devono passare prima che si cominci a fare qualcosa?

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