IN SENATO LA QUESTIONE DELLA CIG IN DEROGA SI ARROVENTA

LA BATTAGLIA DI SCELTA CIVICA CONTRO L’USO DISSENNATO DELLA CASSA INTEGRAZIONE PRODUCE QUALCHE PRIMO RISULTATO, NONOSTANTE L’INERZIA DI TUTTI GLI ALTRI PARTITI, DALL’ESTREMA SINISTRA ALL’ESTREMA DESTRA

Alcuni degli interventi di Maurizio Sacconi, Anna Cinzia Bonfrisco, del Governo e miei, estratti dal resoconto stenografico della sessione antimeridiana del Senato del 17 luglio 2013, dedicata alla discussione del disegno di legge di conversione in legge del d.-l. n. 54/2013, sul rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga – In argomento v. anche il mio intervento del giorno precedente, nella discussione generale sullo stesso disegno di legge, l’articolo di Italia Oggi del 18 luglio e il commento postato da Mario Monti sulla sua pagina Facebook

SUL CASO DEI LAVORATORI IN CASSA INTEGRAZIONE DA 18 ANNI (*)

[…]

ICHINO (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Signor Presidente, nell’ordine del giorno G4.100, ora in esame, si legge che «nel contesto economico di crisi del mercato del lavoro risaltano gli ex lavoratori delle Case di cura riunite di Bari i quali, dopo 18 anni – ripeto: 18 anni – di ricorso agli ammortizzatori sociali tra cui» – naturalmente – «la cassa integrazione in deroga, non hanno ancora avuto una diversa ricollocazione lavorativa». Sulla base di questa constatazione (a proposito della cassa integrazione come strumento “per tener legato il lavoratore all’azienda da cui dipende”) si impegna il Governo «a mettere in atto tutte le iniziative finalizzate a promuovere presso la Regione Puglia l’individuazione di enti strumentali cui affidare attività riferibili alle competenze maturate» da questi lavoratori nelle Case di cura in 18 anni di non-lavoro.
Mi chiedo quale paziente possa affidarsi alle competenze professionali maturate in 18 anni di cassa integrazione, in deroga o non in deroga che sia.
Questi dati sono la certificazione del fallimento di un intero sistema di ammortizzatori sociali, di un intero sistema con cui si affrontano le crisi occupazionali nel nostro Paese. (Applausi dai Gruppi SCpI, PD e PdL). Se continuiamo a trastullarci con le proroghe di questi strumenti condanniamo il Paese a rimanere in una situazione di cronica inferiorità!
Diciamo allora le cose come stanno: 18 anni di cassa integrazione sono 18 anni di una menzogna, cioè di finzione dell’esistenza di un posto di lavoro che non c’è. Sono quindi 18 anni di abuso di uno strumento che non potrebbe essere utilizzato nel caso specifico, abuso che fa sì che il lavoratore resti in questa posizione per 18 anni invece che essere aiutato a trovare una nuova occupazione. Non nella casa di cura ex-datrice di lavoro, che evidentemente non esiste più: non è quella che può ridargli il lavoro, ma in altri settori. Per questo, occorrono procedure di riqualificazione professionale e incentivi perché il lavoratore si attivi; noi invece mettiamo in atto incentivi perché il lavoratore non si attivi e resti per 18 anni in attesa passiva.
Allora chiedo al Governo: ha senso accettare un impegno di questo genere? A me non sembra. Se vogliamo tirar fuori l’Italia dalla situazione in cui si trova dobbiamo smettere di prendere questi impegni! (Applausi dai Gruppi SCpI, PD, PdL e M5S).

SACCONI, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SACCONI, relatore. Signor Presidente, il caso delle Case di cura riunite di Bari è invero una vicenda, per fortuna, pressoché unica nel Paese. (Commenti dai banchi di SCpI)

DI MAGGIO (SCpI). Non è vero!

SACCONI, relatore. Ed è pressoché unica, perché ha caratteristiche che andrebbero davvero indagate, sotto vari punti di vista, per come quella vicenda è nata, si è sviluppata e si è trascinata nel tempo. (Applausi dei senatori Morra e Zanettin).
Meriterebbe davvero attenzione, ed ho visto applausi provenienti anche da banchi che dovrebbero far riflettere sul percorso e sulle responsabilità di questa vicenda.
In ogni modo, quanto dice il senatore Ichino è assolutamente giusto: è una situazione che non può dare luogo a una infinita proroga degli strumenti tradizionali ma che certamente, dopo 18 anni, merita di essere affrontata con modalità particolari. Infatti, come sempre – e sottolineo come sempre – quando si depositano responsabilità colpevoli delle amministrazioni pubbliche, che hanno così generosamente nel tempo accompagnato questa vicenda, e si sono determinate nelle persone condizioni di attesa di una soluzione che nel frattempo non è stata organizzata nei termini corretti, è ovvio che la funzione pubblica debba guardare a quel caso ed individuare modalità specifiche, proprio per ciò che si è depositato nel tempo rispetto a terzi incolpevoli, che non possono essere associati alle responsabilità pubbliche.
Questa è la caratteristica di questa vicenda, che mi ha visto più volte personalmente molto critico verso di essa. In questo senso, l’accoglimento come raccomandazione di questo ordine del giorno avrebbe potuto sollecitare il Governo ad un’attenzione con modalità diverse da quelle tradizionali.
Ma, ciò detto, per quanto mi riguarda, il massimo di accoglimento poteva essere una raccomandazione nel senso che ho espresso; altrimenti, chiedo al proponente di ritirare questo ordine del giorno, con un impegno a che la Commissione parlamentare competente davvero accenda un riflettore su questa vicenda (questo è ciò che proporrò come Presidente ai commissari).
.

(*) Testo dell’ordine del giorno G4.100, a cui il dibattito si riferisce, presentato dal senatore D’Ambrosio Lettieri (aggiungono la loro firma in corso di seduta i senatori Bruno e Razzi)
Il Senato
in sede di esame del disegno di legge recante la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, recante interventi urgenti in tema di sospensione dell’imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo,
premesso che:
il settore della sanità, gravemente colpito dalla crisi economico finanziaria, ha registrato picchi di sofferenza acutissimi determinati dalla dismissione di diversi ospedali e da una radicale contrazione degli organici, sia medici che infermieristici;
nel contesto economico di crisi del mercato del lavoro risaltano gli ex lavoratori delle Case di Cura Riunite di Bari i quali, dopo 18 anni di ricorso agli ammortizzatori sociali, tra cui la cassa integrazione in deroga, non hanno ancora avuto una diversa ricollocazione lavorativa;
il mancato reinserimento nel mondo del lavoro e la ulteriore riduzione dei fondi a disposizione degli ammortizzatori sociali per il 2013 hanno creato gravissimi disagi agli ex lavoratori delle Case di Cura Riunite di Bari, molti dei quali da mesi non ricevono neanche il sia pur minimo sussidio,
considerato che:
gli ex lavoratori delle Case di Cura Riunite di Bari, in qualità di personale precario presso le aziende sanitarie e gli Irccs pugliesi, avrebbero dovuto, in base alla legge regionale n. 4 del 25 febbraio 2010, essere già stabilizzati in quanto destinatari di una riserva di collocamento dei posti vacanti della dotazione organica della ASL BA, BAT, AOU «Policlinico» di Bari, IRCCS «Giovanni Paolo II» di Bari e IRCCS «S. De Bellis» di Castellana Grotte;
ad oggi la riserva indicata dalla legge regionale si è mostrata insufficiente a ricollocare i lavoratori collocati in mobilità dalle strutture sanitarie private della regione Puglia,
impegna il Governo a mettere in atto, nei limiti imposti dal rispetto delle sfere di competenza statali e regionali, a mettere in atto iniziative finalizzate a promuovere presso la regione Puglia l’individuazione degli enti strumentali cui affidare attività riferibili alle competenze maturate dai lavoratori precari delle Case di Cura Riunite di Bari, prevedendo del caso, apposite premialità in favore delle aziende che riservano quota parte del proprio organico ai citati lavoratori in mobilità.

 

SULLA QUESTIONE DELLA CIG IN DEROGA PER I DIPENDENTI DEGLI STUDI PROFESSIONALI

[…]

PRESIDENTE. Passiamo pertanto all’illustrazione degli emendamenti riferiti all’articolo 4 del decreto-legge, che invito i presentatori ad illustrare.

BONFRISCO (PdL). Signor Presidente, fra gli interventi previsti dall’articolo all’articolo 4, propongo di aggiungere una menzione particolare per gli ordini professionali in genere e per i liberi professionisti in assoluto, che – voglio ricordare – rappresentano una parte rilevantissima del nostro mercato del lavoro e più in generale della nostra economia. Ricordo solo che in Italia gli ordinisti, cioè i professionisti iscritti a un ordine, sono 2,5 milioni: 1,2 milioni di questi svolge regolarmente la libera professione, un altro milione invece è inquadrato nei ruoli di dipendenza, pubblica o privata che sia. Se aggiungiamo a questi i praticanti e i dipendenti degli studi professionali, raggiungiamo la quota di quattro milioni di lavoratori. E allora, va da sé che per questi lavoratori essere riconosciuti all’interno di questo decreto, con uno specifico riconoscimento, assume un significato particolarmente importante, anche in considerazione del fatto che da questo mondo, da questo settore, da tutta questa capacità di lavoro proviene il 12,5 per cento del nostro PIL.

[…]

ICHINO (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Signor Presidente, vorrei che l’Aula si fermasse un momento a riflettere sull’oggetto di questi due emendamenti, ritirati o no che essi siano. Stiamo parlando di cassa integrazione, cioè di una forma di provvidenza volta a tenere legati i lavoratori all’azienda da cui dipendono e fondata normalmente su di un rapporto assicurativo. Di regola, la cassa integrazione è attivata per aziende che pagano un contributo all’INPS, nell’ambito di un rapporto di assicurazione. Ora, questi emendamenti mirano a estendere il trattamento di cassa integrazione a un settore – quello degli studi professionali – che non è soggetto a questo contributo e che, in base alla normativa europea, è equiparato ad un qualsiasi settore imprenditoriale. Nel diritto europeo gli studi professionali sono imprese a tutti gli effetti. Così stando le cose, non si vede per quale motivo si debba estendere a un settore come quello degli studi professionali questa prestazione assicurativa senza che gli studi stessi siano tenuti al versamento del relativo contributo. Un conto è far fronte a una situazione di gravissima emergenza con un provvedimento eccezionale e temporaneo; altro conto è, a ben cinque anni dall’attivazione di questo strumento eccezionale (quindi in situazione che non può più considerarsi eccezionale e temporanea), provvedere, non solo a una stabilizzazione di questo intervento, ma – addirittura – a una sua estensione a settori ai quali è inappropriato estenderlo senza estendere anche la contribuzione. Francamente, questo mi sembra un non senso. Per altro verso, avverto che il Governo dovrà scegliere tra accogliere la trasformazione in ordine del giorno dell’emendamento Bonfrisco e accogliere come ordine del giorno la trasformazione dell’emendamento 4.20, presentato dal Gruppo di Scelta Civica, perché i due ordini del giorno vanno in direzione diametralmente opposta l’uno rispetto all’altro. In conclusione, chiedo che riflettiamo attentamente su questo problema e che non prendiamo posizioni fra loro contraddittorie.

SACCONI, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SACCONI, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non vedo invero questa contraddizione, perché già ora la disciplina degli ammortizzatori in deroga (che è, come noto, una disciplina molto flessibile) consente e ha consentito ad alcune Regioni di comprendere anche i dipendenti degli studi professionali. Quando gli studi professionali, che sono strutture complesse, si trovano di fronte a consistenti cali di fatturato e tuttavia, pensando di poter recuperare la loro precedente condizione, non vogliono rinunciare ai loro collaboratori, ma porli per un tempo limitato in cassa integrazione, in queste condizioni, non vedo motivo per negare l’utilizzo di uno strumento che è stato concepito nel contesto della grande crisi proprio in funzione di quegli ambiti lavorativi e produttivi che non sono protetti dall’assicurazione obbligatoria. Questa è la ragione principale degli ammortizzatori sociali in deroga. Certo, possiamo pensare ad un uso quanto più oculato. Ho parlato per primo, nell’ambito della relazione, di ammortizzatori che sono stati utilizzati con modalità forse troppo generose soprattutto nel corso del 2012, quarto anno consecutivo di crisi, nel quale – mi sia consentito dirlo – c’è stata anche minore attenzione da parte del Governo nel dialogo con le Regioni per una gestione più attenta di questi strumenti. Cosa diversa è l’esigenza di fissare criteri d’impiego di questi strumenti, quale è indicata nell’ordine del giorno – già emendamento da lei già presentato, senatrice Bonfrisco, e che – lo dico subito – non potrà che essere accolto come raccomandazione. Infatti i contenuti definiti nel suo emendamento e, conseguentemente, nel suo ordine del giorno, probabilmente non sarebbero stati accolti negli stessi termini, né del Governo né dal relatore. L’obiettivo che lei si propone, però, è condiviso, e quindi dà luogo a una raccomandazione. Insomma, non vedo ragioni di contraddizione tra la possibilità di accogliere questo ordine del giorno e quella poi di accogliere come raccomandazione quello da lei presentato.

[…]

*ICHINO (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Signor Presidente, vorrei rispondere al relatore, senatore Sacconi, e alla collega Bonfrisco ricordando che, secondo i dati forniti dall’INPS, in sette casi su otto la Cassa integrazione in deroga viene erogata a persone che sono da più di due anni sospesi dal lavoro (cioè, in situazioni di inattività); e ci sono casi in cui questa situazione di inattività si protrae da quattro, cinque, sei, otto, persino dieci anni. Non abbiamo alcuna notizia su come siano ripartiti questi casi tra i settori dell’industria, dell’artigianato e degli studi professionali, ma è più che ragionevole pensare che questo fenomeno sia equamente ripartito fra tutti i settori. Poiché esiste l’ASpI – assicurazione sociale per l’impiego -, cioè un trattamento di disoccupazione che copre per un intero anno la situazione di disoccupazione con contribuzione da parte del datore di lavoro, e poiché questa forma di previdenza si applica anche ai dipendenti degli studi professionali, se ne abbiamo la disponibilità, pensiamo ad un’estensione dell’Aspi; non all’applicazione della cassa integrazione in deroga dove manca totalmente la base assicurativa e contributiva per attivare questa provvidenza.

[…]

PRESIDENTE. Invito il relatore e la rappresentante del Governo a pronunziarsi sull’ipotesi di trasformazione in ordine del giorno dell’emendamento 4.13.

SACCONI, relatore. Signor Presidente, la trasformazione in ordine del giorno è anche più congrua rispetto a una rigida norma di legge, in quanto si tratta di relazioni sindacali che possono essere più opportunamente indirizzate anche attraverso l’accoglimento dell’ordine del giorno, riconoscendo la rappresentanza degli studi professionali.

DE CAMILLIS, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il parere del Governo è conforme a quello del relatore.

[…]

*ICHINO (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Signor Presidente, stiamo parlando di cassa integrazione, quindi di un provvedimento rivolto a sostegno del reddito per lavoratori dipendenti che vengono sospesi dal lavoro per una crisi occupazionale aziendale. Il secondo comma dell’articolo 4 prevede che il Ministro, sentite le parti sociali, emani le istruzioni, le regole, per la ripartizione e l’erogazione della cassa integrazione in deroga. “In deroga”, sì, ma sempre di cassa integrazione si tratta, quindi di un provvedimento per sua natura destinato a lavoratori dipendenti. Cinque anni fa abbiamo introdotto questa possibilità di deroga; ed è accaduto che la cassa integrazione sia stata erogata anche a lavoratori non subordinati, perché per “deroga” si è inteso che la si possa dare senza regole, quindi anche a lavoratori non subordinati. A lavoratori autonomi la cassa integrazione è stata erogata in alcune Regioni, ma ciò evidentemente esula dalle intenzioni originarie del legislatore. Al relatore propongo solo questa osservazione: le parti sociali che possono e devono essere interessate a esprimere un parere sui criteri di erogazione della cassa sono i sindacati dei lavoratori dipendenti. Aggiungere a queste parti sociali i rappresentanti dei liberi professionisti, che non rientrano nel campo di applicazione di questo rapporto assicurativo, equivale a ratificare un abuso, che si è verificato in questi anni, della pratica della cassa integrazione in deroga. Non mi sembra il caso di ratificare questa estensione anomala, inappropriata, di questa provvidenza.

SACCONI, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SACCONI, relatore. Signor Presidente, chiedo scusa ma devo citare una pratica che ho avuto modo di vivere: quella del dialogo con le parti sociali in relazione proprio a questa strumentazione straordinaria utilizzata nel tempo di crisi con fini di coesione sociale e di continuità delle attività produttive: attività produttive di beni come di servizi. Il dialogo che le istituzioni intrattengono con le parti sociali – come è noto – riguarda le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. Tra le organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro, firmataria di contratti collettivi c’è un’organizzazione che rappresenta gli studi professionali non in quanto lavoratori autonomi, ma in quanto datori di lavoro; e in quanto datori di lavoro essi sono consultati proprio ai fini dei criteri di erogazione – così è stato in passato e così ragionevolmente sarà in futuro – perché la individuazione dei modi più opportuni con i quali impiegare queste risorse passa anche attraverso il confronto con i rappresentanti delle imprese produttrici di beni o di servizi, compresi gli studi professionali, che sono datori di lavoro – prima sono stati citati anche i numeri dei loro dipendenti – e stanno vivendo una condizione critica anch’essi, come altri ambiti del nostro terziario. Ora, non comprendo queste preoccupazioni perché appartengono, in ogni caso, alle relazioni che il Governo intratterrà con le parti. Il termine generale «parti sociali» si riferisce a quelle più rappresentative. Io devo onestamente ritenere che le più rappresentative debbano riguardare tutti gli ambiti merceologici – insisto – di beni come di servizi, proprio perché la crisi ha caratteristiche diffuse, generalizzate. Quindi, pur rispettando tutte le opinioni, non vedo la ragione di continuare ad insistere su questo punto che, in ogni caso, come ho detto, non è bene che venga irrigidito con una norma di legge, ma piuttosto che venga accettato come orientamento al Governo nelle forme di dialogo sociale che riterrà di intraprendere.

[…]

 

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