LA SPERIMENTAZIONE PROPOSTA DA SCELTA CIVICA TENDE A OFFRIRE A IMPRESE E LAVORATORI, IN VIA SPERIMENTALE FINO AL 2015, LA POSSIBILITÀ DI ATTIVARE RAPPORTI DI LAVORO DIPENDENTE REGOLARE DOTATO NEL SUO PRIMO TRIENNIO DI SVOLGIMENTO DI UNA FLESSIBILITÀ BEN REGOLATA, MA ADEGUATA ALLA ESTREMA GRAVITÀ DELLA CRISI E AL LIVELLO ALTISSIMO DI INCERTEZZA CHE NE CONSEGUE PER IL PROSSIMO FUTURO
Dichiarazione rilasciata all’Agenzia di stampa ADN-Kronos, 12 luglio 2013
La proposta di liberalizzazione dei contratti a termine per un triennio, avanzata ieri dalle associazioni imprenditoriali, si giustifica in funzione dell’impegno italiano per l’Expo 2015, ma soprattutto come risposta alla situazione di straordinaria incertezza sul futuro prossimo e a medio termine in cui operano oggi le nostre imprese. A queste realissime esigenze si può, però, dare una risposta meglio strutturata, più incisiva e al tempo stesso più coerente con i principi generali del diritto del lavoro europeo e nazionale. La soluzione più corretta è quella delineata nell’emendamento presentato dai senatori di Scelta Civica al decreto-legge n. 76, di cui il Senato ha avviato l’esame in questi giorni. In via sperimentale, fino alla fine del 2015, l’emendamento mette a disposizione di lavoratori e imprese un rapporto di lavoro dipendente che per il primo triennio presenta per l’impresa la certezza di potere, in caso di necessità, sciogliere il contratto con un costo modesto, predeterminato, crescente con il crescere dell’anzianità di servizio, senza i rischi e i costi di verifiche giudiziali, identico nel caso del contratto a termine e in quello a tempo indeterminato. In sostanza, si tratta di questo: per i contratti a tempo indeterminato, tre anni nei quali il controllo giudiziale sul motivo economico-organizzativo di licenziamento è sostituito da una indennità di cessazione, pari a una mensilità per anno di anzianità; nello stesso primo triennio fra le parti il contratto a termine può essere stipulato anche al di fuori delle “causali” oggi consentite, ma in tal caso alla sua cessazione, se il contratto non viene prorogato o convertito in rapporto a tempo indeterminato, deve essere pagata al lavoratore una indennità di cessazione pari a quella prevista per il rapporto stabile. In questo modo, per le imprese il rapporto di lavoro regolare tornerà a offrire, nel suo triennio iniziale, tutta la flessibilità di cui esse oggi più che mai hanno bisogno. E il contratto a tempo indeterminato potrà tornare a essere la regola, e non l’eccezione.
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