RIFORMA ELETTORALE: UN’OCCASIONE UNICA, DA COGLIERE AL VOLO

GUAI SE I PARTITI DELLA MAGGIORANZA NON APPROFITTASSERO DI QUESTO ATTIMO MAGICO IRRIPETIBILE, PROPIZIO PER IL VARO DELLA NUOVA LEGGE, ATTARDANDOSI A DISCUTERE DI PROCEDURE E DI ALTRO

Editoriale di Antonio Polito pubblicato sul Corriere della Sera del 2 giugno 2013

Sembrava un’idea astuta quella di togliere dal tavolo del governo la pistola della legge elettorale, disarmando il Porcellum ma rinviando la riforma a data da destinarsi. Sembrava una buona idea innanzitutto per comprare tempo perchè, come ha detto Alfano al Foglio, “chi propone una riforma organica adesso, quando è chiaro che non c’è accordo, vuole solo sabotare il governo”. Ma anche gli espedienti più brillanti rimangono sempre espedienti. E questo non è tempo per espedienti. Il governo non è nato per garantirsi una durata, ma può durare solo se fa quelle due o tre cose per le quali è stato partorito dalla più eccezionale e irripetibile delle maggioranze parlamentari ed è stato accettato da un’opinione pubblica su tutto il resto spaccatissima. Vive perciò in un momento magico, che non durerà a lungo e non si ripeterà. Se non fa adesso le cose difficili, quando le potrà mai fare? Se non trova adesso un accordo su come farle, come può sperare di trovarlo in futuro?

Questo vale soprattutto per la legge elettorale. Trattandosi della madre di tutte le leggi poiché regola il core business dei partiti, e cioè il sistema che traduce i voti in seggi, può essere cambiata solo in due modi: o con la forza, come fece il centrodestra con il Porcellum nel 2005, oppure sfruttando il velo dell’ignoranza, quell’istante in cui le elezioni sono troppo lontane e il risultato troppo incerto per poter fare calcoli di parte e dunque è più facile seguire l’interesse generale. Quel momento fatidico è questo, e va sfruttato. D’altra parte l’espediente della “clausola di salvaguardia”, e cioè di una riformicchia in attesa della riformissima, ha fatto la fine che si prevedeva: avendo messo a nudo l’ipocrisia del Pdl, che vorrebbe tenersi il Porcellum, e la divisione del Pd, che sui modelli elettorali litiga da prima di nascere, è ormai inservibile. Non resta che prendere il toro per le corna.

Tutti sanno che c’è un solo compromesso possibile tra Pd e Pdl, ed è il sistema francese. Consentirebbe al Pd di avere la legge elettorale a doppio turno che storicamente prediligeva l’Ulivo, e che lo ha servito molto bene nel voto per i sindaci. E consentirebbe al Pdl di avere finalmente una forma di presidenzialismo, ciò che il centrodestra insegue come un Santo Graal dalla “discesa in campo” del ’94. Un compromesso, dunque; ma anche, per la prima volta, un compromesso nobile, perchè la somma di due interessi produrrebbe un sistema istituzionale efficace, al posto del patchwork in cui sta soffocando la nostra democrazia.

Se dunque il governo vuole comprare del tempo (e il varo della super-commissione per la riforma costituzionale di tempo ne regala già troppo, fino a ottobre) lo usi per ottenere dai partiti un accordo di massima sul sistema francese. Il Pd deve convincersi ad accettare l’elezione diretta del Capo dello Stato. E qui ci sono segnali importanti di apertura: da Prodi a Epifani, fino alle dichiarazioni di ieri di Enrico Letta. E il Pdl deve accettare il doppio turno, sconfiggendo le resistenze dei colonnelli senza truppe che preferiscono approfittare dell’anonimato del proporzionale per essere eletti con i voti di Berlusconi, piuttosto che misurare il proprio consenso elettorale nella battaglia dei collegi.

Se i partiti della strana maggioranza trovano un’intesa sulla forma di governo da qui alla ripresa autunnale, allora la riforma elettorale può essere fatta subito, anche sganciandola dalla più complessa e lunga procedura di revisione costituzionale. Altrimenti saremmo all’ennesima manifestazione di “inconcludenza”, contro la quale il presidente Napolitano ha alzato di nuovo la voce nel giorno del compleanno della Repubblica. La sanzione per il governo potrebbe essere la fine della sua ragion d’essere.

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