CHE FARE PER IL LAVORO

UNA SINTESI DELLE MISURE SPECIFICAMENTE NECESSARIE PER LA PROMOZIONE DELL’OCCUPAZIONE GIOVANILE E DELL’OCCUPAZIONE  FEMMINILE, MA ANCHE, PIÙ IN GENERALE, PER RIMETTERE IN MOTO UN MERCATO DEL LAVORO BLOCCATO

Testo integrale dell’intervista a cura di Antonino Leone, in corso di pubblicazione su Sistemi e Impresa, giugno 2013

Professor Ichino, il nostro Paese è posizionato a un livello di disoccupazione insopportabile per le conseguenze sociali che i cittadini vivono. Quali sono le sue proposte per incrementare l’occupazione giovanile e avviare una svolta reale su tale emergenza?
Il tasso di disoccupazione giovanile è del 25 per cento superiore al tasso di disoccupazione generale. Questa differenza è dovuta alle difficoltà peculiari della transizione fra scuola e lavoro. Alle quali si deve porre rimedio con misure specifiche di assistenza intensiva al giovane in difficoltà in questa fase iniziale della sua vita professionale. È quanto è previsto dal programma Youth Guarantee promosso dall’Unione Europea e al quale dovremo dare puntuale applicazione.

Più precisamente?
Occorre che ogni Regione istituisca un vero osservatorio del mercato del lavoro, che non si limiti a riciclare i dati forniti dall’Istat e da altre fonti, ma rilevi puntualmente e direttamente gli skill shortages, cioè i posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di manodopera adatta, e rilevi in modo sistematico i tassi di coerenza fra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di chi la ha ricevuta. Sulla base di questi dati devono poi essere organizzati servizi di assistenza intensiva per chi è in difficoltà nel mercato del lavoro, strettamente connessa con la formazione mirata specificamente alle occasioni di lavoro esistenti. Per esempio valorizzando i servizi di outplacement con un sistema di vouchers, finanziato con il contributo del Fondo Sociale Europeo.

E per la parte del problema che accomuna giovani e lavoratori maturi?
Occorre innanzitutto ridurre drasticamente il cuneo fiscale e contributivo che fa sì che il costo del lavoro per l’azienda sia doppio rispetto alla retribuzione netta che il lavoratore percepisce. Poi occorre consentire che per i primi due o tre anni il rapporto si risolva senza controlli giudiziali sul motivo e con un costo di separazione basso per l’impresa, facendo poi crescere gradualmente questo costo negli anni successivi. Solo così si può ottenere che il contratto a tempo indeterminato torni a diventare la regola, invece che l’eccezione. Io propongo anche una nuova disciplina del contratto a termine, che sostanzialmente lo liberalizza entro i primi tre anni di durata del rapporto, ma lo equipara a quello a tempo indeterminato per quel che riguarda il costo di separazione.

Ci sono già progetti di legge già presentati in questo senso?
Ho presentato, con gli altri senatori di Scelta Civica, un disegno di legge – n. 555/2013 – che contiene tutte queste nuove norme, proponendole non come riforma generale della materia, ma come oggetto di sperimentazione che può essere attivata dall’impresa ma non è obbligatoria. I tempi dell’iter parlamentare potrebbero anche essere molto brevi, se la coalizione di Governo decidesse di far sua questa proposta.

Il tasso di occupazione femminile in Italia è basso rispetto agli altri paesi europei. Nella scorsa legislatura lei ha presentato un interessante disegno di legge.  In questa legislatura come intende intervenire per affrontare tale problematica?
Ho ripresentato quello stesso disegno di legge, sottoscritto da tutti i colleghi del mio gruppo: è il n. 247/2013. Delinea un’“azione positiva” incisiva per l’aumento del tasso di occupazione femminile, che è ancora lontano dall’obiettivo del 60%. Alla misura di natura fiscale, consistente in una detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile,  si aggiunge, per la prima volta, un esperimento condotto secondo un rigoroso metodo scientifico, per misurare con precisione gli effetti dell’incentivo economico.

In questo periodo quasi tutti parlano e si confrontano sull’Imu. Ritiene che sia un argomento prevalente ed importante per uscire dalla crisi rispetto ad altre emergenze o rappresenta il giusto prezzo da pagare per mantenere in vita il Governo Letta?
Su questo punto condivido integralmente i suggerimenti che ci vengono dall’Unione Europea e dalle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia: per rimettere in moto un Paese bloccato, occorre detassare prioritariamente chi produce, ovvero i redditi di lavoro e di impresa. Solo in un secondo tempo andrebbe detassato chi possiede, ovvero ridotte le imposte patrimoniali. Capisco però i motivi squisitamente politici che costringono il Governo Letta a incominciare con la riduzione dell’IMU.

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