I PUNTI DI FORZA DEL NUOVO GOVERNO LETTA (E ALCUNI PUNTI DI DOMANDA)

GIORGIO NAPOLITANO ED ENRICO LETTA HANNO COMPIUTO IL MIRACOLO: METTERE INSIEME, IN UN GOVERNO AD ALTA INTENSITÀ POLITICA, I DUE PARTITI MAGGIORI TRA LORO ASPRAMENTE ANTAGONISTI – CI SONO RIUSCITI CON LA TECNICA DI ACCANTONARE I VOLTI DIVISIVI DEL RECENTE PASSATO E PUNTARE SULLA NUOVA GENERAZIONE

Editoriale per la Nwsl n. 246, 28 aprile 2013

Enrico Letta alla Presidenza del Consiglio: lo si è sempre accusato di non saper compiere scelte politiche incisive, ma in questa occasione si è rivelato la persona giusta al momento giusto. Con lui Giorgio Napolitano compie il secondo miracolo, dopo il salvataggio in extremis dell’autunno 2011: mettere insieme, in un Governo “ad alta intensità politica”, i due partiti maggiori tra loro aspramente antagonisti, in un momento in cui non esiste alcuna possibile scelta alternativa per la salvezza del Paese. Ed Enrico Letta attua il disegno riuscendo ad accantonare i sessantenni e settantenni dei due partiti avversi, i volti-simbolo dello scontro, e puntando sui politici con dieci o vent’anni di meno. Giovane lui stesso (47 anni), il suo exploit dà finalmente la percezione di una politica capace di rinnovarsi senza trasformarsi in antipolitica.
Gaetano Quagliariello ministro per le Riforme istituzionali: 53enne, uno degli uomini migliori del PdL. La sua scelta per questo ruolo significa che c’è almeno un pre-accordo tra le forze che danno vita a questo Governo sulle linee della riforma del sistema di governo e del sistema elettorale, probabilmente nel senso del modello francese. Se anche si riuscisse a fare solo questo, sarebbe davvero moltissimo, date le circostanze.
Emma Bonino agli Esteri: è una potente ventata di aria fresca in un comparto di primaria importanza di questo nuovo Esecutivo; la risposta più intelligente e lungimirante che potesse essere data all’istanza di sperimentazione di schemi politici nuovi proveniente dal M5S. Avrebbe potuto essere un buon Presidente della Repubblica, ma probabilmente darà il meglio di sé proprio come capo della Farnesina, riparando i gravi guasti di immagine prodotti dal ministro uscente (il riferimento non è, ovviamente, al brevissimo interim di Monti) e avviando il necessario ricambio nelle sue strutture centrali e periferiche.
Enzo Moavero agli Affari Europei: 58 anni, senza alcun dubbio la persona più competente per quest’altro ruolo cruciale, già da lui svolto nel Governo Monti. Non è affatto un’esagerazione affermare che la sua conferma in questo incarico costituisce una garanzia decisiva per la nostra immagine a Bruxelles e per la continuità della nostra partecipazione da protagonisti alla costruzione dell’Unione Europea.
Annamaria Cancellieri alla Giustizia: il buon senso al potere. Una scelta di sostanziale continuità con la buona gestione del ministro uscente. Nessuna apertura a chi intendesse chiedere leggi ad personam in questo comparto. Ma la sua scelta significa anche questo: la sperimentazione delle nuove forme di organizzazione del lavoro giudiziale andrà avanti e consentirà di ottenere risultati che nessuno ancora osa sperare, pur a legislazione invariata.
Cécile Kyenge all’Integrazione (che, tradotto dal politichese, vuol dire “politiche dell’immigrazione”): 48enne, di origine congolese, medico oculista, impersona in modo incisivamente perfetto il consolidamento della svolta, già compiuta dal Governo Monti con il ministro Riccardi, rispetto ai tre anni e mezzo di xenofobia nella nostra politica dell’immigrazione. Ci attendiamo da lei, finalmente, il civilissimo riconoscimento della cittadinanza per gli stranieri che nascono in Italia.
Enrico Giovannini al Lavoro e Welfare: 55enne presidente dell’Istat, membro del gruppo dei saggi incaricato dal Presidente della Repubblica di “facilitare” l’intesa programmatica fra i partiti dell’unica maggioranza oggi possibile, costituisce una buona soluzione per superare in modo costruttivo le due candidature a questo ministero, fra loro distruttivamente contrapposte, di Renato Brunetta e Stefano Fassina (avevo sperato in Sergio Chiamparino, ma capisco che qui oggi sia indispensabile una figura meno immediatamente politica). Giovannini non è propriamente un esperto di lavoro e relazioni industriali; però conosce il valore e possiede gli strumenti del metodo sperimentale per gli interventi necessari in questo campo, che è l’unico metodo praticabile per superare i blocchi ideologici. Sa bene, comunque, quali sono gli errori da correggere della legge Fornero sul mercato del lavoro; ma dovrà resistere alle pressioni regressive di PD e PdL, difendendo le scelte fondamentali compiute con questa legge in tema di ammortizzatori sociali e di superamento del dualismo fra protetti e non protetti: il problema va risolto completando e semplificando il disegno, non tornando indietro rispetto ad esso. Lo stesso vale sul terreno della riforma pensionistica, per il capitolo active ageing.
Massimo Bray ai Beni Culturali: 54enne, direttore responsabile della rivista Italianieuropei e dirigente dell’Enciclopedia Treccani, persona colta e di grande intelligenza. Uomo molto legato a Massimo D’Alema, oltre che a Giuliano Amato, per questo motivo Ernesto Galli Della Loggia se la prende con lui sul Corriere della Sera di oggi; a torto, perché non considera la necessità di scelte come questa, rispondenti anche (ma non soltanto) a esigenze di equilibrio fra componenti politiche, in un Governo “ad alta intensità politica” quale vuol essere quello che sta nascendo. Per questo aspetto, la scelta di Bray rappresenta in modo emblematico il metodo seguito da Napolitano e Letta: voltar pagina rispetto alle liti tra il PdL di Berlusconi, Scaiola e Brunetta, e il PD di D’Alema, Prodi e Bindi, non può voler dire voltar pagina rispetto al PdL e al PD tout court. A dire il vero, avrei preferito di gran lunga, in questo ruolo, la ex-presidente del FAI Ilaria Borletti; ma anche Bray può fare molto meglio del suo predecessore.
Maria Chiara Carrozza all’Istruzione e Università: 47enne capolista PD in Toscana, già rettore della Scuola Sant’Anna di Pisa, esperta di neuro-robotica. Saprà (e, prima ancora, vorrà) affrancarsi dai pregiudizi diffusi nel suo partito, oltre che nel sindacato, circa la necessità della valutazione obbiettiva della didattica e della ricerca? Saprà (e, prima ancora, vorrà) vincere le resistenze  fortissime dello stesso PD e della Cgil nei confronti dell’unica strategia efficace per il rilancio del nostro sistema dell’istruzione, cioè quella  centrata sull’autonomia degli istituti e su di una forte responsabilizzazione dei rispettivi capi e apparati?
Carlo Trigilia alla Coesione Territoriale (che in italiano comune vuol dire “politiche per il Mezzogiorno”): 61enne, sociologo di origini siciliane, molto stimato da Giorgio Napolitano anche per il suo aver preso le distanze dal meridionalismo piagnone e assistenzialista. Anche questa è una scelta eccellente.
Giampiero D’Alia alla Funzione Pubblica: 46enne, l’ho conosciuto nella passata legislatura come una persona schietta, di grande finezza politica e simpatia personale, nella sua veste di capogruppo dell’UdC al Senato. Ma queste doti di per sé non bastano per districarsi in quella immane giungla che è l’impiego pubblico; qui occorre anche competenza specifica e grande determinazione. Saprà – e vorrà – circondarsi delle persone che hanno le idee chiare sul come tagliare le sette teste del drago? E saprà tenere a debita distanza i gattopardi?
Beatrice Lorenzin alla Salute: 42enne, già coordinatrice nazionale dei giovani PdL. Un volto nuovo del centrodestra, che ispira fiducia; un’altro soffio di aria fresca. Sarà brava in questo ruolo molto impegnativo? Le buone premesse ci sono. Vedremo. Quel che è certo è che anche la sua scelta risponde perfettamente al paradigma seguito da Napolitano e Letta nella formazione di questo Governo, per rafforzare l’anima nuova dei due partiti maggiori, e con essa la loro capacità di rispettarsi a vicenda e cooperare nella grave emergenza.

Solo un mese fa l’idea di un Governo come questo sarebbe apparsa pura fantascienza. Invece è una realtà; e potrebbe segnare una svolta di grande rilievo rispetto alla faziosità rovinosa e agli scontri ideologici che hanno caratterizzato la nostra politica nell’ultimo quarto di secolo. I tre partiti che lo sostengono – scrive oggi Sergio Romano sul Corriere della Sera – “hanno un uguale interesse ad avviare una fase costituente. […] Hanno programmi economici e sociali che, una volta ripuliti degli strati di retorica con cui vengono enunciati, sono meno diversi di quanto non appaia” (corrispondono, infatti, al “sentiero stretto” obbligato su cui l’Italia deve camminare almeno per qualche anno, se vuole proseguire nel suo cammino di integrazione nell’Unione Europea). “Li dividono ancora, purtroppo, il timore che uno di essi raccolga più degli altri i frutti della collaborazione e la voglia di rompere il matrimonio prima che questo accada. Si guardino attorno e scopriranno che le migliori grandi coalizioni europee sono quelle in cui questi timori, nell’interesse del Paese, sono stati messi a tacere”. E tutti i partiti che a quelle grandi coalizioni hanno dato vita ne hanno tratto beneficio, rafforzando le proprie radici come struttura portante della nazione. Anche quando nella fase immediatamente successiva è toccato loro passare all’opposizione.
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