Lettera pervenuta il 1° aprile 2009. V. anche il precedente intervento dello stesso Autore, sul disegno di legge del Governo in materia di sciopero nel settore dei trasporti.
La proposta di legge volta alla “regolazione del conflitto nel settore dei trasporti pubblici” ha l’obiettivo di “attivare forme di democrazia sindacale drasticamente alternative allo strumento dello sciopero” e – ne dovrebbe conseguire – anche forme diverse di relazione con l’impresa e/o con le associazioni di categoria datoriali.
A me sembra però che tali forme di democrazia sindacale, e conseguenti relazioni industriali (si ipotizza) vengano realizzate esclusivamente attraverso le modalità di indizione dello sciopero da parte dei sindacati.
Questo avverrebbe attraverso una naturale selezione, secondo i principi della legge presentata, dei soggetti sindacali. Infatti, il legame: certificazione della rappresentanza oltre il 51%, oppure “previo referendum”, e migliori relazioni sindacali, pur avendo una sua logica, non mi appare così certo.
Anche in questa ipotesi quello che non mi convince nella proposta di legge è l’estrema attenzione alle modalità di indizione dello sciopero e – se posso – la disattenzione, su quali modelli di relazione sindacale andrebbero costruiti con le imprese. Manca, devo dire come sempre, quali obblighi porre in capo alle imprese nelle dinamiche e negli obblighi di corrette relazioni industriali. Per esempio: se una impresa decide in modo unilaterale, non è tanto e solo un problema di sanzione economica, ma di concreta distorsione nelle relazioni sindacali.
Le relazioni nel mondo del lavoro non soggette alla disciplina della 146/90 e della 83/00 si basano su una complessa architettura di norme giuridiche e contrattuali, interconfederali, di primo e secondo livello. A quelle organizzazioni sindacali è data la possibilità, senza particolari limitazioni, di esercitare una azione di conflitto in tempi e forme quasi immediate. Esiste quindi equilibrio tra relazioni sindacali, potere dell’impresa, esercizio del conflitto.
Nelle imprese soggette alla 146 questo equilibrio deve realizzarsi in altre forme, anche per tutelare altri diritti, oggettivamente più deboli e passivi.
Come si può però ricostruire un diverso equilibrio nelle imprese ove il conflitto non può essere esercitato in tempi brevi? E come impedire che diventi uno strumento improprio di misurazione della rappresentatività o una forma sbagliata di condizionamento delle relazioni sindacali o, addirittura, in una degenerazione dei rapporti tra ceto sindacale, dirigenti delle impresa pubbliche e politica?
Resto convinto che non solo di norme sul diritto di sciopero bisognerebbe parlare, ma di un diverso assetto delle relazioni sindacali e del modello di rappresentanza che si applichi con rigore alle imprese interessate dalla legge 146/90.
Perché nessuna legge prevede che le imprese soggette alla legge sullo sciopero siano riconosciute e catalogate e che il complesso delle relazioni industriali tenga conto che non si può, da parte del sindacato usare il conflitto come nei settore privati?
Quindi norme che prevedano procedure specifiche, per le vertenze contrattuali nazionali e aziendali e che stabiliscano, non dico obblighi di rinnovo, ma almeno percorsi che riducano, sia i comportamenti strumentali dei datori di lavoro, che i ricorsi al conflitto, oltre che a modalità partecipative, di informazione e di contrattazione esigibili.
Non intendo parlare d’altro rispetto alla proposta di legge, ma solo sostenere che è parziale.
Riconosco invece che i modelli di relazione sindacale, soprattutto in questi settori, possano esistere solo se basati sul principio della rappresentanza certificata. Questa lacuna normativa porta inevitabilmente ad una frammentazione ed inquinamento della rappresentanza sindacale.
Va stabilita, a mio giudizio, una distinzione tra il diritto di fondare un sindacato ed il diritto di esercitare un ruolo di rappresentanza. In questo lo stesso Statuto dei Lavoratori può aiutarci.
Così come ritengo che sia opportuna una distinzione tra la costituzione di un sindacato e la sua titolarità ad indire uno sciopero come nel settore dei trasporti.
Questo dovrebbe avvenire attraverso una certificazione del riconoscimento della rappresentanza fondato su modalità elettive, d’iscrizione e derivanti dallo Statuto dei Lavoratori. Fattori che ad oggi sono di fatto o inesistenti, o autocertificati o derivanti da valutazioni soggettive del datore di lavoro.
Anche in questo caso andrebbe previsto quale impresa rientra nell’ambito della 146/90, chi e quando dovrebbe indire le elezioni della rappresentanza.
Mi lascia invece molto perplesso la proposta del referendum preventivo in quanto, nella realtà, nessuno oggi sarebbe in grado di conoscere, fatto salvo il livello aziendale, i lavoratori coinvolti.
Inoltre nessuno si pone il quesito di quanto tempo servirebbe per indire un referendum in relazione all’oggetto di quel conflitto?
E se nel frattempo il datore di lavoro, esercitando il suo potere decisionale o conferitogli da una norma, rendesse di fatto inutile, perché superato, l’oggetto del referendum?
E come differenziare lo sciopero di settore, a volte corporativo, dallo sciopero generale?
Se, ad esempio, la Cgil indicesse uno sciopero nazionale di tutti i settori, per quanto attiene ai trasporti dovrebbe ricorrere al referendum preventivo?
E se al conflitto esercitato per misurare impropriamente la rappresentanza si sostituisse il referendum?
Certo l’utente non ne avrebbe danno, ma nessuno potrebbe impedire un continuo ricorso strumentale al referendum.
Mi convince invece la proposta di compensare l’utente in caso di sciopero nel mancato utilizzo del suo abbonamento. Aggiungendo una penalità per le imprese che cancellano il servizio anche laddove l’effetto dello sciopero non ne è la causa oggettiva e riducendo i corrispettivi che l’ente pubblico assegna per finanziare l’effettuazione del servizio pubblico.
L’invito che rivolgo è quindi quello di cercare un equilibrio dei diritti costituzionali che non divenga, come la modifica delle norme attuali paventa, solo lo strumento per intervenire sullo sciopero, ma che, partendo da questo, si abbia la capacità di cambiare il sistema complessivo delle relazioni sindacali esistenti. Così che si possa migliorare la qualità complessiva delle relazioni industriali, della contrattazione e non solo intervenire sulla quantità e sulla modalità del conflitto.
Nino Cortorillo
Segretario Generale FILT Lombardia
Milano, 1° aprile ’09