RICORDO DI TERESA MATTEI

UNA FIGURA STRAORDINARIA, CHE IMPERSONA I VALORI DELLA REPUBBLICA, MA ANCHE UNA SUA CONTRADDIZIONE ORIGINARIA NON ANCORA DEL TUTTO RISOLTA

Intervento svolto in Senato nella seduta antimeridiana del 24 aprile 2013, in occasione della commemorazione di Teresa Mattei, che fu la deputata più giovane all’Assemblea Costituente e che dei membri di quell’Assemblea era rimasta l’ultima ancora in vita, insieme a Giulio Andreotti e a Emilio Colombo

Teresa Mattei è per molti aspetti una figura straordinaria della storia della nostra Repubblica. Ne rappresenta l’anima democratica e progressiva e al tempo stesso ne impersona una contraddizione, sulla quale oggi più che mai è necessario riflettere.
Della nostra Repubblica Teresa Mattei rappresenta, innanzitutto, in modo esemplare le profonde radici libertarie e ugualitarie: nel 1938 si fece espellere da tutte le scuole del regno per il suo rifiuto di assistere alle lezioni sulla difesa della razza; ma poi nel 1955 si fece espellere anche dal partito comunista, cui era iscritta da tredici anni, per il suo rifiuto dello stalinismo che ancora largamente permeava la direzione di quel partito.
Ma il nome di Teresa Mattei è legato anche alla guerra civile dalla quale negli anni ’40 la nostra Repubblica è nata. In particolare a due episodi tragici della Resistenza: il suicidio di suo fratello Gianfranco in una cella di via Tasso, per sottrarsi alle torture dei nazi-fascisti (quelle torture che Teresa stessa dovette poi patire) e l’uccisione di Giovanni Gentile, suo professore all’Università di Firenze, sul cancello di casa. Teresa contribuì attivamente al successo di quell’agguato, che forse ha nuociuto alla nascitura Repubblica più di quanto le abbia giovato. Altre esperienze, nel grande panorama mondiale – dal Sud-Africa alla penisola Iberica, al sud-America – mostrano che ci si può liberare anche dei regimi più feroci senza bisogno di usare ferocia. E mi azzardo a ipotizzare che la nuova Italia democratica avrebbe tratto assai più beneficio che danno dal continuare ad annoverare tra i suoi cittadini un filosofo della statura di Giovanni Gentile, ancorché reduce della Repubblica di Salò.
Ricordo questi due contrapposti episodi di morte, che hanno segnato fortemente la vita di Teresa Mattei, perché essi entrambi rappresentano, certo in modo molto diverso tra loro nella genesi ma non diverso nell’esito, una guerra civile che nel nostro Paese non è mai definitivamente cessata, un odio che ha continuato a covare sotto la cenere generando fiammate distruttive, in nome del quale sciaguratamente si è sparso sangue ancora fino a pochi anni or sono. Se vogliamo liberarcene, dobbiamo riconoscere che in qualche misura quella incapacità di dialogo ancora oggi avvelena la nostra vita politica. Due giorni fa ce lo ha ricordato ancora una volta Giorgio Napolitano, nel suo lucido e severo discorso di insediamento a seguito della rielezione a Capo dello Stato. Domani, nella ricorrenza civile del 25 aprile dedicata alla Liberazione, sarà bene che a questo tema dedichiamo qualche riflessione.
In un suo recente ultimo appello ai giovani Teresa Mattei, madre di quattro figli e grande paladina dei diritti dei più piccoli, diceva: “Siete la nostra speranza, il nostro futuro   […] Cercate di fare voi quello che noi non siamo riusciti a fare”. Qui in Senato   non siamo proprio tra i più giovani; ma questo appello è rivolto anche a noi.   L’ultima donna costituente ci passa il testimone della costruzione di un Paese  veramente libero e giusto; ma la storia stessa della sua vita ci dice che libertà   e giustizia non possono mai essere costruite sulle grandi semplificazioni   ideologiche che generano l’odio tra fazioni, sulla delegittimazione e   dannazione politico-civile dell’avversario. Se siamo insieme qui in   Parlamento non è per continuare tra di noi “la guerra civile con altri mezzi”,   ma per cercare ogni giorno di cogliere la verità che in qualche misura sempre   si esprime nelle parole e negli atti della parte avversa.

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