SI TRATTA DI UN EPISODIO GRAVISSIMO, MA È ASSAI POCO PLAUSIBILE CHE LA RIFORMA DELLE PENSIONI SIA STATA LA CIRCOSTANZA DETERMINANTE DELLA TRAGEDIA
Intervista a cura di Marco Alfieri e Antonio Vanuzzo, pubblicata sul sito Linkiesta il 6 aprile 2013
«Il fatto che una delle persone coinvolte fosse un esodato difficilmente può essere stata la circostanza determinante nella tragedia di Civitanova Marche». Ne è convinto Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, che sgombra il campo da facili demagogie, spiegando a Linkiesta: «Se egli non rientrava tra i “salvaguardati” questo significa che egli non avrebbe comunque avuto diritto alla pensione, neppure con la vecchia normativa, prima del 2015. Le sue difficoltà attuali non sarebbero state minori senza il decreto Salva-Italia». Il giuslavorista poi ribadisce: «L’immagine di un mercato del lavoro in cui manca totalmente la domanda di manodopera è falsa».
Che cosa pensa del triplo suicidio di Civitanova Marche, in cui è coinvolto un esodato?
Penso che si tratti di un episodio gravissimo, probabilmente conseguenza anche di una situazione di difficoltà economica. Ma il fatto che una delle persone coinvolte fosse esodata difficilmente può essere stata la circostanza determinante.
Come mai ne è così sicuro?
Gli esodati sono persone che hanno perso il posto per effetto di accordi aziendali che prevedevano l’erogazione di un “incentivo all’esodo” pagato dall’impresa e un pensionamento abbastanza vicino nel tempo. Il problema è sorto quando il decreto Salva-Italia del dicembre 2011 ha allontanato di qualche anno l’età del pensionamento. Però tutti gli esodati del 2010 e del 2011 che con le vecchie norme avrebbero avuto la pensione nel 2012, 2013 e 2014 sono stati salvaguardati. È stato, cioè, garantito loro il pensionamento secondo la vecchia normativa. Ora, io non so nulla della situazione pensionistica del 62enne esodato suicida di Civitanova, ma se egli non rientrava tra i “salvaguardati” questo significa che egli non avrebbe comunque avuto diritto alla pensione, neppure con la vecchia normativa, prima del 2015. Le sue difficoltà attuali non sarebbero state minori senza il decreto “Salva-Italia”. Sarebbe stato comunque uno dei due ultracinquantenni italiani su tre che oggi vivono senza un’occupazione retribuita.
Resta il fatto che era disoccupato. E la situazione del mercato del lavoro italiano non è certo rosea.
È una situazione difficile, che è andata peggiorando costantemente negli ultimi anni. Ma l’immagine di un mercato del lavoro in cui manca totalmente la domanda di manodopera è un’immagine falsa, che nasce dal difetto grave dei servizi per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. In realtà, secondo i dati tratti dalle comunicazioni obbligatorie delle aziende alle Direzioni provinciali per l’impiego, anche in ciascuno di questi anni di gravissima crisi economica il mercato del lavoro italiano ha prodotto due milioni di contratti di lavoro subordinato regolare a tempo indeterminato. E il 12 per cento di queste assunzioni a tempo indeterminato, 240.000 nell’ultimo anno, ha riguardato persone con più di 50 anni di età. Non è vero, dunque, che per un ultracinquantenne trovare lavoro sia impossibile. Il problema è che in Italia il lavoro si trova soltanto se si dispone di una rete professionale, parentale o amicale che consenta di trovarlo.
Dal vostro osservatorio quali sono gli effetti ad oggi prodotti dalla riforma Fornero?
La norma del decreto Salva-Italia sulle pensioni ha, certo, causato difficoltà a numerose persone prossime al pensionamento e alle imprese che contavano sulla possibilità di liberarsi di persone in questa situazione. Ma ha anche prodotto un primo significativo aumento del tasso di occupazione nella fascia degli ultracinquantenni: ed è proprio quello di cui abbiamo bisogno. Il tasso di occupazione italiano attuale in questa fascia di età è assolutamente troppo basso: solo un italiano su tre con più di 50 anni di età è attivo nel mercato del lavoro. Se invece ci riferiamo alla legge sul mercato del lavoro che è entrata in vigore nel luglio scorso, il discorso è molto più complesso. Quella legge ha sicuramente allargato gli spazi per i licenziamenti individuali, ma con un probabile effetto sostitutivo rispetto a quelli collettivi. Ha anche ridotto la possibilità effettiva di assunzione con contratti di collaborazione autonoma continuativa, col rischio che si perdano centinaia di migliaia di posizioni di lavoro di questo genere, se non si provvederà rapidamente a mettere a disposizione di imprese e lavoratori un modello di contratto di lavoro subordinato ordinario meno costoso e meno gravato da bardature normative.
Quali sono i primi provvedimenti da prendere per riattivare la creazione di posti di lavoro in Italia?
Innanzitutto occorre attivare la sperimentazione di un contratto di lavoro subordinato meno costoso e più flessibile, che consenta la sostituzione di centinaia di migliaia di collaborazioni autonome fasulle senza uno choc di costo e di rigidità per le imprese. Poi, occorre che venga emanato rapidamente il Codice del lavoro semplificato, uno strumento già maturo sia sul piano tecnico, sia su quello politico: che cosa si attende a vararlo? Infine occorre che si attivino buoni servizi di outplacement per tutti coloro che perdono il posto di lavoro, orientandoli verso gli skill shortages, cioè le decine di migliaia di posti di lavoro che in ogni regione italiana restano permanentemente scoperti per mancanza di offerta di manodopera adeguatamente qualificata.
Come?
Questo sarebbe possibile già ora, a costo zero per lo Stato e le Regioni, se si facessero funzionare meglio gli osservatori regionali del mercato del lavoro; se si coinvolgessero in modo sistematico le agenzie private che hanno il know-how necessario per l’outplacement e si istituissero gli incentivi economici giusti perché esse funzionino al meglio delle loro possibilità. Basterebbe, per questo, riqualificare un quarto della spesa regionale per servizi per l’impiego gravemente insufficienti e per formazione professionale di fatto inutile, e utilizzare quel 60 per cento dei contributi del Fondo Sociale Europeo che attualmente sprechiamo, o semplicemente non otteniamo per mancanza di progetti adatti.
In ogni caso rimane la difficoltà di trovare un lavoro per 55-60enne…
È vero. Il capitolo dell’invecchiamento attivo richiede misure particolari: flessibilizzazione dell’età di pensionamento, con combinazione possibile tra part-time e mezza pensione e forti incentivi economici e normativi per l’assunzione degli ultra cinquantenni. Laddove il problema resti irrisolto la soluzione deve consistere in un trattamento di disoccupazione che incentivi la partecipazione al mercato del lavoro e non in un prepensionamento. Sono le misure che ho proposto in un disegno di legge presentato nell’ottobre scorso e ripresentato all’inizio di questa legislatura.