GARANTIRE PIU’ FLESSIBILITA’ PER L’IMPRESA E ALLO STESSO TEMPO MAGGIOR SICUREZZA PER I LAVORATORI E’ POSSIBILE
In corso di pubblicazione su L’Imprenditore – mensile della Confindustria, aprile 2009
L’idea centrale del progetto è di consentire la sperimentazione in Italia di un sistema di protezione del lavoratore di tipo nord-europeo: il massimo possibile di flessibilità per l’impresa coniugato con il massimo possibile di sicurezza per il lavoratore. Più precisamente: consentire che, nelle aziende disposte ad assumersi il costo di una assistenza integrale al lavoratore nel mercato, ivi compreso un trattamento di disoccupazione di livello danese, si applichi anche una disciplina dei licenziamenti di tipo danese.
Al disegno di legge – che ho presentato al Senato il 25 marzo scorso ‑ si è obiettato da sinistra che esso darebbe troppa libertà alle imprese; da destra, che esso sarebbe, per esse, troppo costoso. La risposta alla prima obiezione è che questa libertà alle imprese viene data a fronte di una loro piena responsabilizzazione per la sicurezza dei lavoratori che perdono il posto. La risposta alla seconda obiezione è che l’ingessatura dei rapporti di lavoro determinata dal nostro vecchio diritto del lavoro costa molto più di quanto costi un sistema moderno ed efficiente di assistenza ai lavoratori nel mercato. Anche – e non in via secondaria – per la mortificazione del merito che essa sistematicamente comporta.
Ma vediamo più da vicino le componenti del costo effettivo del licenziamento, secondo il progetto. La prima componente è costituita dal preavviso (fungibile a scelta del lavoratore con una indennità di licenziamento): un mese per anno di anzianità di servizio, con un minimo di tre e un massimo di dodici, per tutti i collaboratori che traggano dal rapporto più di metà del proprio reddito di lavoro. Questa voce di costo può apparire sproporzionata per i rapporti di lavoro che siano durati meno di tre anni; ma il costo si riduce molto, fino ad azzerarsi, per l’impresa capace di avvisare con un congruo anticipo il proprio dipendente della necessità della cessazione del rapporto. Anche il dipendente che è in azienda soltanto da un anno o due ha sovente bisogno di due o tre mesi per trovare con calma una nuova occupazione; se il preavviso è veramente tale, cioè al lavoratore viene dato un tempo congruo per la ricerca della nuova occupazione prima che la vecchia cessi, questa voce di costo del licenziamento si riduce di molto, fino ad azzerarsi. Si tratta, a ben vedere, soltanto di un modo civile di attuare la separazione. Altro è il discorso nel caso in cui il lavoratore sia da molti anni in azienda, perché in quel caso occorre compensare adeguatamente una dispersione di professionalità specifica molto maggiore.
La seconda componente è costituita dal costo del trattamento di disoccupazione e dei servizi di assistenza dovuti al dipendente licenziato che non trovi immediatamente una nuova occupazione. Il progetto prevede che trattamento economico e servizi vengano erogati da un ente bilaterale o consortile, costituito e finanziato dal gruppo di imprese che liberamente si associano per dar vita all’esperimento. Si attiva in questo modo un forte incentivo all’efficacia dei servizi: più rapida sarà la ricollocazione del lavoratore licenziato, minore sarà l’esborso a carico dell’ente per il trattamento di disoccupazione. Va detto, comunque, che, per i primi mesi, il trattamento complementare sarà pari alla differenza tra il 90% dell’ultima retribuzione e il trattamento generale ordinario di disoccupazione (60%), o il trattamento speciale (80%): si tratterà dunque di un importo tutto sommato modesto. Nell’ipotesi peggiore, comunque, il costo complessivo del trattamento erogato non supererà due annualità di costo aziendale della prosecuzione del rapporto di lavoro (per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it). Per altro verso, l’ente gestore del trattamento avrà, in forza del “contratto di ricollocazione”, un vero e proprio potere direttivo e di controllo sull’attività svolta dalla persona che gli viene affidata e sulla sua ragionevole disponibilità alla nuova occupazione, con possibilità di risolvere il contratto in caso di inadempimento grave.
Quanto al costo delle iniziative di riqualificazione professionale, esso potrà e dovrà essere coperto almeno in larga parte dai finanziamenti regionali e dai contributi del Fondo Sociale Europeo.
Nella fase iniziale, ovviamente, il nuovo assetto non comporterà alcun costo, perché in questa fase si avranno soltanto assunzioni e non licenziamenti (il progetto prevede che il nuovo assetto non si applichi ai dipendenti assunti in precedenza). A regime, tenuto conto anche del prevedibile aumento del turn-over, si calcola che il costo medio per le imprese interessate si aggirerà intorno allo 0,5% del monte-salari dei nuovi assunti. Questo onere è compensato dalla riduzione al 30% dell’aliquota contributiva a carico dell’impresa per l’assicurazione pensionistica obbligatoria per tutti i new entrants.
Per le piccole imprese, oggi non soggette al regime dettato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il progetto pone a carico dell’Erario un contributo in favore degli enti bilaterali o consortili pari al costo medio previsto di cui si è appena detto, quindi allo 0,5% del monte-salari dei neo-assunti. Qui, pertanto, le imprese che sceglieranno di sperimentare il nuovo regime sopporteranno un costo aggiuntivo per il finanziamento dell’ente bilaterale o consortile soltanto nel caso di un suo difetto di efficienza, che faccia lievitare indebitamente i costi di ricollocazione dei lavoratori licenziati.
A fronte di questi costi, le imprese che, stipulando il “contratto di transizione”, sceglieranno di partecipare all’esperimento beneficeranno dell’esenzione dal controllo giudiziale sul licenziamento per ragioni economiche od organizzative, individuale o collettivo. Resterà il controllo giudiziale sul licenziamento disciplinare, così come sui possibili motivi discriminatori del licenziamento; ma sarà superato il regime di sostanziale inamovibilità che caratterizza oggi, salvo che nelle situazioni di grave crisi, i rapporti di lavoro soggetti all’articolo 18 dello Statuto. Più precisamente, sarà superato un regime nel quale di fatto si applica la regola giurisprudenziale per cui il licenziamento è ammesso soltanto quando il bilancio è stabilmente in rosso. E tutti ne trarranno vantaggio: perché l’aggiustamento industriale deve poter avvenire prima che l’impresa entri in crisi; deve prevenire, dove possibile, la crisi.
Ne trarranno vantaggio anche le nuove generazioni di lavoratori. Non soltanto perché non saranno più esposte al rischio grave cui le espone il regime attuale di vero e proprio apartheid tra protetti e non protetti, ma anche perché nel nuovo regime la perdita del posto non comporterà più – come è accaduto fino a oggi – il rischio di perdita del reddito, cioè di una vera e propria catastrofe personale e familiare, bensì coinciderà con l’apertura di una fase di investimento efficace sul loro stesso “capitale umano” e di avviamento a una nuova azienda dove il loro lavoro potrà essere valorizzato meglio di quanto non lo fosse in quella di provenienza.