NEL CONTESTO ATTUALE L’UNICO GOVERNO POSSIBILE NASCE DALL’ “ARBITRATO POLITICO” DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA – SE IL NUOVO PRESIDENTE NON SARÀ RICONOSCIUTO COME ARBITRO ANCHE DAL PDL, NON AVREMO ALCUN GOVERNO E LA LEGISLATURA MORIRÀ IN CULLA
Intervista a cura di Claudio Cerasa, pubblicata sul Foglio il 6 aprile 2013 – In argomento v. anche l’intervista al Corriere della Sera del 28 marzo
Roma. Le larghe intese, già, ma con chi? Anche ieri pomeriggio è capitato che diversi esponenti del Pd, dovendo ragionare sul percorso da seguire per arrivare a una candidatura condivisa del prossimo presidente della Repubblica, hanno ripetuto ad alta voce che il profilo su cui scommettere in vista dell’imminente rinnovo del Quirinale (18 aprile) non potrà essere troppo legato a una parte politica ma dovrà essere frutto di una larga intesa con il maggior numero di forze parlamentari. Già, ma in che senso? E con quali forze? I numeri del pallottoliere dicono che il centrosinistra non è in grado di eleggere autonomamente il prossimo presidente della Repubblica, e di conseguenza la coalizione di Bersani sarà costretta a giocare di sponda con almeno uno dei gruppi presenti in Parlamento. Fino a qualche giorno fa il segretario aveva dato l’impressione di voler scommettere su un candidato utile a sfondare il fronte dei grillini (Prodi?) ma negli ultimi giorni Bersani ha cominciato a osservare con più attenzione una strada diversa, che per forza di cose si allontana dall’universo grillino e si avvicina inesorabilmente (scandalo!) al mondo del centrodestra. Il primo segnale di questo cambio di passo si è materializzato due giorni fa a Palazzo Chigi, quando il segretario ha discusso con Mario Monti anche di questo tema. Bersani ha incassato una disponibilità di massima per far convergere i voti di Scelta Civica (60) con quelli del centrosinistra (490) ma ha posto un paletto: il nome deve essere condiviso da uno schieramento ampio. In che senso? “In un momento delicato come questo – spiega al Foglio Pietro Ichino, senatore montiano – occorre un presidente capace di operare a garanzia della Costituzione e non di una parte politica soltanto. In questo senso il nuovo presidente non potrà essere votato senza che abbia alcuni requisiti: deve avere prestigio sul piano internazionale, per rassicurare i nostri interlocutori e i nostri creditori nel mondo, deve essere una persona non faziosa, e deve conoscere bene i segreti della politica per svolgere in modo efficace la funzione delicata che la Costituzione attribuisce al capo dello stato”. Ok. E i nomi? Ichino ha qualche proposta. “Dobbiamo metterci in testa – continua il senatore montiano – che anche se il Quirinale è una partita diversa da quella relativa alla costituzione del nuovo governo in realtà è strettamente collegata con quella. E se si vuole davvero un esecutivo in questa legislatura bisogna mettere le cose in chiaro e dire la verità”. Verità numero uno: “Allo stato attuale un nome come Romano Prodi rischia, non per colpa sua, di non rappresentare le ampie intese auspicate da Giorgio Napolitano, perché Prodi è stato il leader del centrosinistra in ben due tornate elettorali, di cui una relativamente recente, e questo è un dato oggettivo che difficilmente può essere neutralizzato dal prestigio internazionale e dalla non faziosità personale del professore bolognese”. Verità numero due: “Nomi come quelli di Giuliano Amato o come quello di Massimo D’Alema potrebbero rappresentare una soluzione condivisa, anche se tra i due sono convinto che sia il primo ad avere quel profilo più di garanzia”. Verità numero tre: “Il nome di Emma Bonino è un nome oggettivamente da tenere in considerazione perché insieme ad altri pregi avrebbe quello di rompere un monopolio maschile ormai sempre meno sopportabile”. A questo ragionamento, Ichino ne aggiunge un altro utile a capire qual è l’altra partita che si gioca attorno alla scelta del prossimo presidente della Repubblica. E se Bersani crede che attraverso una nomina condivisa con il centrodestra (inciucio!) sia possibile far partire un governo, Ichino ha un’impressione diversa. “Come ormai si è visto in questa legislatura – aggiunge – il governo difficilmente può nascere se non come ‘governo del presidente’, cioè come frutto di un sostanziale arbitrato politico affidato al capo dello stato. L’importanza della scelta del presidente della Repubblica è legata a una questione di fatto: scegliere il capo dello stato oggi significa scegliere anche il capo effettivo del prossimo esecutivo. Sarebbe curioso se il centrosinistra non capisse che inseguire i grillini per l’elezione del nuovo capo dello stato significa molto semplicemente anche correre il rischio di bruciare ogni possibilità di formazione di un nuovo governo e di accordo con il Pdl sulla riforma elettorale: col risultato di costringerci a tornare al voto subito, con la legge attuale e senza avere neppure la possibilità, per esempio, di tentare un realistico un accordo per la riforma elettorale (Il mio first best sarebbe il modello francese, compreso il semipresidenzialismo, ma mi rendo conto che è più realistico attestarsi su di un second best possibile: il ritorno al Mattarellum). Sarebbe dunque un duplice disastro, dal quale lo stesso centrosinistra sono convinto che verrebbe rapidamente travolto”.
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