CHE COSA È “DI DESTRA” OGGI E CHE COSA NO

LA RISPOSTA DI UN ECONOMISTA AL FONDO IN CUI PANEBIANCO, SUL CORRIERE DELLA SERA, INDICA COME ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLA DESTRA RISPETTO ALLA SINISTRA LA VALORIZZAZIONE DELL’INDIVIDUO, DELLA PROPRIETÀ E DEL MERCATO

Editoriale di Franco Bruni, professore di economia politica all’Università Bocconi di Milano, pubblicato sulla Stampa del 26 marzo 2013 – Il fondo di Angelo Panebianco era uscito sul Corriere della Sera del giorno precedente

In questa fase della politica italiana si riflette sul significato di “destra” e “sinistra”. Il governo Monti aveva messo fra parentesi la differenza, con la sua “strana maggioranza” e con l’idea che, mentre aggiustava l’emergenza economica, il bipolarismo avrebbe cercato nuove basi comuni per funzionare meglio e convergere su progetti di difficili riforme. Poi Monti, salito in politica anche in seguito alla mancata configurazione di quelle nuove basi e di quella necessaria convergenza, è arrivato a chiedere di lasciar perdere l’asse di riferimento destra-sinistra. Il suo appello non ha avuto successo, né di critica né di pubblico. Si è confuso col generico rilancio di un “centro” che in Italia evoca balene dal colore conradiano, irremovibili e tutt’altro che pronte alle riforme. Col risultato delle elezioni, i sacerdoti del bipolarismo si sono uniti solo nello sforzo di difenderlo contro l’aggressione di Grillo, ben più temuta della composta riflessione critica di Monti.
Fatto sta che idee chiare sul significato di destra e sinistra non abbondano, soprattutto in politica economica, anche se non manca la voglia di farsene. E’ dunque benvenuta l’opinione di uno studioso autorevole come Panebianco (Corriere di lunedì 25) che propone tre “precise connotazioni” della destra, sulle quali rifondarla e contrapporla meglio alla sinistra.
La prima sarebbe l’”individualismo come valore”. Delle tre è la meno economica ma è evidente il suo rilievo per la politica economica, al quale mi riferisco. L’evoluzione dell’economia moderna pare confondere le idee a chi più tiene all’individualismo: perché i legami che ci rendono tutti interdipendenti si fanno più evidenti e pare impossibile perseguire l’interesse dei singoli senza curarsi molto dell’interesse comune. Al successo delle produzioni private servono sempre più buoni servizi pubblici. Le imprese migliori sono quelle che sanno “far sistema” con le altre e con i coordinatori pubblici di economie sempre più complesse e interconnesse. D’altra parte il collettivismo, i suoi sprechi e le sue irresponsabilità, sono altrettanto in crisi di credibilità. I tempi moderni cercano una nuova mescola fra individuo e collettività: temo che la destra economica non riuscirà a rifondarsi cercando di rinfocolarne la contrapposizione.
La seconda connotazione della destra menzionata da Panebianco è il considerare “la proprietà privata un diritto fondamentale, fonte di libertà anziché colpa da espiare”. Ciò non pare negato oramai nemmeno in Russia e in Cina. Ma proprio da questi paesi ex-marxisti vengono le manifestazioni più evidenti di come la concentrazione e la diseguaglianza delle ricchezze possano giungere al punto di minacciare la stabilità politica, l’evoluzione democratica, l’ordine pubblico. Inoltre le industrie e i commerci moderni e globali domandano compartecipazione di pubblico e privato, di decisioni di mercato e indirizzi pubblici, nazionali e sovranazionali. Dal fornaio di Smith siamo passati ai giganti delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell’industria automobilistica, della ricerca energetica e farmaceutica. Giganti che non fanno né il bene proprio né quello collettivo perseguendo il primo isolatamente: devono inquadrarsi in reti e progetti dove più che contrapporre pubblico e privato, vanno coordinate le responsabilità di tanti decisori, pubblici e privati, facendo in modo che ciascuno abbia giusti incentivi, premi e punizioni, per contribuire ad avventure economiche molto “miste”, come si diceva nell’antica Italia dell’Iri. Sicché anche la proprietà privata non è più un buon faro per vivificare la destra e contrapporla alla sinistra.
La terza connotazione sarebbe la convinzione, che “il vil commercio, i mercanti e non i Savonarola, sono i costruttori di società decenti”. Anche qui, per quanto di buon senso sembri l’idea, non ci siamo. Abbiamo imparato che i mercati non esistono più in natura, sono costruzioni sofisticate fatte di regole che permettono ai mercanti di interagire. Senza regole i mercati collassano e i mercanti vanno a gambe all’aria. Su ciò l’insegnamento più duro ci è venuto dalla crisi finanziaria mondiale ancora in corso. Costruire regole e coltivare l’etica degli affari è diventata una questione di sopravvivenza dell’economia: non è una cosa di sinistra. Non solo: la complessità degli affari d’oggi giorno, fra operatori di culture molto diverse, rende più difficile ancorché indispensabile potersi fidare delle persone e dei sistemi che le costringono a comportarsi correttamente. Chi fa investimenti internazionali è sempre più attento a preferire i Paesi dove è basso il tasso di corruzione e migliore il funzionamento della giustizia. Gli uomini d’affari che considerano il rigore delle leggi e dei comportamenti come un ostacolo divengono meno numerosi e influenti, salvo quelli che delle mafie più forti fanno un punto di quasi esplicito appoggio. Non ci vorrà Savonarola ma il commercio che si compiace della sua “viltà” è fallimentare. Non può servir da bandiera per ridefinire e rilanciare la destra.
Sicché i tre punti di Panebianco, pur essendo tradizionali punti di riferimento culturali e linguistici della destra economica, non mi pare fungano da “precise connotazioni” di programmi concreti di una destra rinnovata, da sottoporre senza populismo (cioè senza semplificazioni suggestive ma ingannevoli) al giudizio degli elettori.
Come economista e come cittadino ho dubbi sul significato e l’utilità dei concetti di destra e sinistra. Ma concordo sul fatto che se riuscissimo a utilizzarli bene la competizione politica si semplificherebbe, la formulazione delle proposte da contrapporre e giudicare diverrebbe più chiara. Sarebbe più difficile che nuove, informi balene bianche miste a grilli parlanti si insinuino nel cicaleccio della politica. Ma se davvero vogliamo ridare significati operativi utili a destra e sinistra, dobbiamo chiedere altri sforzi all’accademia dei politologi. Che credo possa contare sulla collaborazione degli economisti, ampia e senza pregiudizi.
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