IL DISEGNO DI LEGGE PER LA DETASSAZIONE SELETTIVA DEI REDDITI DI LAVORO DELLE DONNE

UN’“AZIONE POSITIVA” INCISIVA PER L’AUMENTO DEL TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE, ANCORA LONTANO DALL’OBIETTIVO DEL 60% – ALLA MISURA FISCALE SI AGGIUNGE, PER LA PRIMA VOLTA, UN ESPERIMENTO CONDOTTO SECONDO UN RIGOROSO METODO SCIENTIFICO, PER MISURARE CON PRECISIONE GLI EFFETTI DELL’INCENTIVO ECONOMICO

Disegno di legge presentato alla Presidenza del Senato il 21 marzo 2013 – Esso riprende integralmente, salvi i necessari aggiornamenti, il contenuto del d.d.l. 28 aprile 2010 n. 2102, redatto e presentato al Senato da Enrico Morando e da me

DISEGNO DI LEGGE N. 247

d’iniziativa dei senatori Ichino, Lanzillotta, Olivero, Mauro, Della Vedova, D’Onghia, Giannini, Maran, Merloni, Romano, Susta

presentato alla Presidenza del Senato il 21 marzo 2013

Misure fiscali a sostegno della partecipazione al lavoro delle donne

 

RELAZIONE

Onorevoli Senatori – La promozione del tasso di occupazione femminile è non soltanto un obbligo che la Repubblica si è assunta verso l’Unione Europea a Lisbona dieci anni or sono   e nel cui adempimento si sta registrando un gravissimo ritardo – ma anche una leva di importanza cruciale per la crescita civile ed economica del nostro Paese. La crisi economica in atto, che sta causando un evidente arretramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione femminile nel mercato del lavoro, non fa che sottolineare l’urgenza di un intervento dell’ordinamento finalizzato all’incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro.
I dati Istat disponibili più recenti sull’occupazione femminile (gennaio 2010) confermano un generale arretramento di tutti gli indici di rilevazione (tasso di occupazione, tasso di disoccupazione, tasso di attività e tasso di inattività), particolarmente grave nel Mezzogiorno. Il tasso di occupazione femminile si attesta oggi nel nostro Paese al 46,1 per cento, a un livello largamente inferiore non solo rispetto all’obiettivo finale   tasso di occupazione al 60 per cento entro il 2010   fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 (c.d. strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione), ma anche rispetto all’obiettivo intermedio del 57 per cento per il 2005. Questo dato ci colloca agli ultimi posti in Europa e in posizione molto arretrata anche su scala mondiale. Un dato significativo è costituito, peraltro, anche dalle forti differenze territoriali che si registrano in Italia, dove nel Mezzogiorno il tasso d’occupazione femminile è fermo al 30,8 per cento, contro il 55,6 per cento del Nord-Ovest e il 56,9 per cento del Nord-Est. In altri termini, le donne del Sud, anche le più giovani, in molti casi hanno smesso di cercare lavoro, con ciò sfuggendo anche alle rilevazioni del tasso di disoccupazione.
Tutti i dati disponibili nel panorama internazionale, inoltre, mostrano come al più alto tasso di occupazione femminile regolare si accompagni un tasso più alto di natalità.
Le politiche per la ripresa economica nel nostro Paese non possono dunque prescindere da azioni volte a rompere il circolo vizioso che relega la maggior parte delle donne italiane nel sistema del lavoro domestico escludendole da quello del lavoro professionale. È divenuto più che mai urgente trasformare l’enorme giacimento di capitale umano femminile presente nel nostro Paese, largamente inutilizzato o sottoutilizzato, in un fattore fondamentale per la ripresa dello sviluppo, della competitività, del benessere sociale, con ciò passando dal tipico equilibrio “vetero-mediterraneo” attuale, caratterizzato dalla bassa partecipazione femminile, a un equilibrio più virtuoso, che consenta la liberazione di questo potenziale latente di energie e competenze.
Il “dividendo sociale” di questo investimento è evidente: più donne occupate nel tessuto produttivo regolare significa più democrazia, più sviluppo, aumento del tasso di natalità, famiglie più dinamiche e sicure economicamente, meno bambini in condizioni di povertà.
A tal fine il presente disegno di legge, che riproduce quello n. 2102/2010 presentato nel corso della 16ma legislatura dai senatori Enrico Morando e Pietro Ichino, propone, in via sperimentale, una semplice misura di incentivazione fiscale che mira direttamente a promuovere il lavoro delle donne, in funzione del raggiungimento dei traguardi fissati dalla citata strategia di Lisbona. A sostegno di questa scelta va osservato come la domanda e l’offerta di lavoro femminile siano assai più elastiche rispetto a domanda e offerta di lavoro maschile: il che consente di confidare in un effetto della riduzione dell’imposta assai rilevante sui livelli occupazionali. La misura non può essere qualificata come discriminatoria in ragione del genere dei lavoratori, dal momento che essa è – tutt’al contrario   esplicitamente mirata a superare un assetto socio-economico produttivo di effetti discriminatori a carico delle donne: essa può e deve dunque essere qualificata come “azione positiva” volta a raggiungere un obiettivo al cui perseguimento la Repubblica italiana è vincolata dall’Unione Europea.
La norma punta esplicitamente a far sì che, a parità di reddito percepito, il prelievo IRPEF su quello della contribuente lavoratrice donna sia significativamente inferiore a quello esercitato sul reddito identico del lavoratore maschio.
Venendo ad illustrare più dettagliatamente gli aspetti della misura proposta, va precisato che essa consiste in una forte riduzione del prelievo fiscale sui redditi da lavoro a favore di tutte le donne alla prima occupazione, siano esse lavoratrici dipendenti, economicamente dipendenti o autonome (art. 1).
In particolare, si prevede per tale platea l’applicazione di aliquote IRPEF ridotte per i cinque periodi d’imposta successivi all’avvio dell’attività lavorativa, estesa anche alle donne che riprendono a lavorare dopo almeno tre anni di inattività (art. 2).
Il taglio – concentrato in prevalenza sul primo scaglione di reddito, per il quale il prelievo è portato a zero (no tax area fino a 15mila euro) – è tale da comportare una riduzione d’imposta per tutti i redditi di lavoro, di qualunque natura ed importo. L’entità della riduzione in rapporto al reddito netto attuale è resa tuttavia più intensa per i redditi fino a 28mila euro, cioè per la fascia di reddito in cui si concentra a tutt’oggi il maggior numero di contribuenti donne. In particolare, si prospetta un incremento del reddito disponibile che raggiunge il 30 per cento per i redditi fino a 15mila euro, e il 24 per cento per i redditi compresi tra 15mila e 28mila euro, per scendere al 15 per cento per i redditi fino a 55mila euro e ridursi ulteriormente per i redditi maggiori.
Per le donne residenti nelle aree o occupate nei settori in cui il tasso di partecipazione al lavoro delle donne è inferiore per almeno il 25 per cento al tasso medio nazionale riferito a tutti i settori economici, in aggiunta al regime speciale di imposizione previsto dall’articolo 2, è prevista l’applicazione di una specifica detrazione forfetaria d’imposta sul reddito personale, articolata secondo tre fasce di reddito, entro il limite dei 40mila euro annui(art. 3). Questa ulteriore detrazione, mirata a riconoscere una tutela più intesa alle donne in posizione di particolare svantaggio, territoriale o professionale, è in linea con la qualificazione di “lavoratore svantaggiato per genere” di cui al vigente regolamento comunitario in materia di aiuti di Stato (regolamento CE/800/2008).
La norma di cui all’articolo 4 è invece rivolta a promuovere una ricerca empirica – affidata alla Banca d’Italia – per la valutazione degli effetti di politiche di sgravi fiscali selettivi a favore delle donne.
I risultati della ricerca, al termine del periodo di applicazione del regime speciale di tassazione dei redditi da lavoro delle donne di cui agli articoli 2 e 3, potranno essere messi a base delle decisioni che il Parlamento dovrà o vorrà assumere circa lo sviluppo ulteriore della sperimentazione.
La norma di copertura finanziaria è volta a coprire oneri stimati, alla luce dell’attuale andamento delle nuove assunzioni e delle dichiarazioni di inizio attività delle donne, in un massimo di 4,5 miliardi di euro per il primo anno di applicazione e progressivamente decrescenti a decorrere dal secondo in relazione agli effetti di gettito, tributario e contributivo, determinati dalle assunzioni aggiuntive rispetto a quelle che si determinerebbero in assenza della disciplina di incentivazione.
Le fonti di copertura a tal fine individuate sono due: la prima, nasce dalla imposizione di uno speciale tributo sul valore assoluto della leva finanziaria degli istituti di credito. La seconda, nasce dalla applicazione della legge n. 15 del 2009, relativa alla riforma e riqualificazione della Pubblica Amministrazione.
Non sono due scelte casuali: noi vogliamo promuovere una crescita stabile e socialmente sostenibile attraverso l’impiego della principale risorsa disponibile oggi sottoutilizzata: le energie, la voglia di fare, l’intelligenza di milioni di donne in età potenzialmente attiva, oggi così scoraggiate da non partecipare alle forze di lavoro. E pensiamo che sia giusto farlo chiamando a coprire i relativi oneri i due principali fattori di “appesantimento” dell’apparato produttivo del Paese: una pubblica amministrazione che costa troppo, in rapporto ai servizi che fornisce, e un sistema del credito i cui protagonisti – troppo grandi per fallire – hanno esposto l’intero sistema economico a gravissimi rischi sistemici a causa delle abnormi dimensioni della loro leva finanziaria.
Di qui la scelta che indichiamo all’articolo 5. All’inizio, la copertura potrà venire dalla imposizione sul valore assoluto della leva finanziaria. Poi, quando quest’ultima avrà raggiunto dimensioni meno rischiose, cominceranno ad esplicarsi gli effetti delle politiche di riduzione della spesa corrente della pubblica amministrazione, con ciò garantendo il mantenimento nel tempo dei livelli adeguati di copertura finanziaria.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1 (Finalità)

1. Al fine di promuovere e sostenere la partecipazione al lavoro delle donne, in funzione del raggiungimento degli obiettivi di occupazione femminile fissati dalla strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione, alle lavoratrici dipendenti, economicamente dipendenti e autonome alla prima occupazione, è riconosciuto in via sperimentale il regime speciale di imposizione sui redditi personali di cui alla presente legge.

Art. 2 (Regime speciale di imposizione sui redditi)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre del quinto anno successivo, alle donne alla prima occupazione titolari di redditi di cui agli articoli 49, comma 1, 50, comma 1, lettere a), c-bis), e l), 53, 66 e 67, comma 1, lettere i) e l), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applicano, in deroga all’articolo 11 del medesimo decreto, limitatamente ai citati redditi di lavoro e per i cinque esercizi di imposta successivi all’avvio dell’attività lavorativa, come definito ai sensi del comma 2, le seguenti aliquote per scaglioni di reddito:
a) fino a 15.000 euro, 0 per cento;
b) oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 21 per cento;
c) oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 36 per cento;
d) oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41 per cento;
e) oltre 75.000 euro, 43 per cento.
2. Ai fini dell’accesso al regime impositivo speciale di cui alla presente legge, l’avvio dell’attività lavorativa è individuato dalla data di prima iscrizione ad una gestione di previdenza obbligatoria ovvero, in caso di donne già iscritte ad una gestione previdenziale con posizioni inattive da almeno tre anni, dalla data di ripresa dei versamenti contributivi. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le modalità di accertamento e qualificazione della posizione previdenziale della lavoratrice.

Art. 3 (Lavoratrici residenti nelle aree svantaggiate)

1. Alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 1, residenti in aree territoriali o occupate in settori o professioni caratterizzati da un tasso di partecipazione al lavoro delle donne inferiore per almeno il 25 per cento al tasso medio nazionale riferito a tutti i settori economici, si applica, per i medesimi esercizi di imposta, in aggiunta al regime speciale di imposizione di cui all’articolo 2 della presente legge e alle detrazioni di cui all’articolo 15 del testo unico del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, una detrazione forfetaria aggiuntiva pari a:
a) 400 euro, se il reddito complessivo non supera 15.000 euro;
b) 350 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 30.000 euro;
c) 350 euro, se il reddito complessivo è superiore a 30.000 euro ma non a 40.000 euro. In tal caso la detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 40.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 30.000 euro.
2. In caso di incapienza, totale o parziale, l’importo della detrazione non goduta è corrisposto in forma di erogazione diretta alla lavoratrice, a condizione che il reddito del nucleo familiare di appartenenza, valutato secondo l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, sia pari o inferiore a 35.000 euro annui con riferimento a nuclei con tre componenti. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di accesso al beneficio di cui al presente comma 1.

Art. 4 ( Sperimentazione di sgravi fiscali selettivi sui livelli occupazionali femminili)

1. In via sperimentale, a decorrere dal 1 gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2019, la Banca d’Italia cura una ricerca empirica volta a determinare gli effetti di sgravi fiscali selettivi sui livelli occupazionali femminili, in relazione alle condizioni del mercato del lavoro regionale e alle altre circostanze soggettive e oggettive suscettibili di assumere rilievo in proposito.
2. Ai fini di cui al comma 1, sono stanziati 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, destinati alla simulazione sperimentale di uno sgravio fiscale di entità non superiore alla metà dell’imposta gravante su ciascuna persona, su un campione di 5.000 donne, rappresentativo della popolazione.
3. Entro il 28 febbraio 2020, la Banca d’Italia comunica al Ministro dell’economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali i dati relativi alla sperimentazione di cui al comma 1. Il medesimo Ministro procede, d’intesa con Ministri dello sviluppo economico, dell’economia e delle finanze, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, nonché le associazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ad una verifica degli effetti e dell’efficacia della sperimentazione. Gli esiti della verifica sono trasmessi al Parlamento, al fine di valutare l’eventuale prosecuzione della sperimentazione o l’adozione di disposizioni finalizzate all’attuazione e all’estensione degli sgravi fiscali oggetto della sperimentazione.

Art. 5 (Copertura finanziaria)

1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge si provvede, entro il limite di 4,5 miliardi di euro in ragione d’anno, mediante le maggiori entrate e i risparmi di spesa di cui ai commi 2, 3 e 4 del presente articolo.
2. Sul valore assoluto della leva finanziaria di ciascun istituto di credito, definita dal rapporto tra il totale dell’attivo di bilancio e il patrimonio di base, per la quota eccedente il rapporto 10 e fino al rapporto 15, è dovuta un’imposta pari all’1 per mille. Per la quota eccedente il rapporto 15, e fino al rapporto 25, è dovuta un’imposta pari al 2 per mille. Per la quota eccedente 25, è dovuta un’imposta pari al 3 per mille.
3. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuna amministrazione pubblica è tenuta ad adeguare le proprie attività agli indirizzi, ai requisiti e ai criteri formulati dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. A decorrere dalla stessa data:
a) in mancanza di una valutazione corrispondente agli indirizzi, requisiti e criteri di credibilità definiti dalla medesima Commissione, possono essere applicate le misure sanzionatorie previste dall’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di responsabilità dirigenziale, ed è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di corrispondere ai propri dirigenti la componente della retribuzione legata al risultato; il dirigente che contravvenga al divieto per dolo o colpa grave risponde per il maggior onere conseguente;
b) è fatto divieto di corrispondere al dirigente il trattamento economico accessorio nel caso in cui risulti che egli, senza adeguata giustificazione, non abbia avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti in esubero che rifiutino la mobilità, la riqualificazione professionale o la destinazione ad altra pubblica amministrazione, entro un ambito territoriale definito e nel rispetto della qualificazione professionale;
c) è fatto divieto di attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici o strutture che siano stati individuati per grave inefficienza, improduttività, o sovradimensionamento dell’organico.
4. Dall’attuazione del comma 3 devono derivare risparmi per 1.000 milioni di euro per l’anno 2014 e per 2.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015. I risparmi devono essere conseguiti da ciascuna amministrazione secondo un rapporto di diretta proporzionalità rispetto alla consistenza delle rispettive dotazioni di bilancio. In caso di accertamento di minori economie, si provvede alla corrispondente riduzione, per ciascuna amministrazione inadempiente, delle dotazioni di bilancio relative a spese non obbligatorie, fino alla totale copertura dell’obiettivo di risparmio ad essa assegnato.

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