VARO DEL CODICE DEL LAVORO SEMPLIFICATO, CONIUGAZIONE STRETTA DEI SERVIZI DI RICERCA DELL’OCCUPAZIONE CON QUELLI DI FORMAZIONE MIRATA AGLI SBOCCHI EFFETTIVAMENTE ESISTENTI
Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti pubblicata su Libero il 22 marzo 2013
Troppe norme e troppo complicate: questa una delle critiche rivolte alla legislazione italiana sul lavoro; e la riforma Fornero non sembra aver migliorato la situazione, anzi. Perché è così difficile semplificare?
Le radici di questa situazione affondano fino alla seconda metà degli anni ’60. Allora, durante la gestazione di quello che sarebbe stato poi varato nel 1970 come Statuto dei lavoratori, la Cisl perse la propria battaglia in difesa del ruolo della contrattazione collettiva rispetto all’intervento legislativo. Il risultato fu, nel corso dei quattro decenni successivi, una alluvione di provvedimenti legislativi, che si sono in larga parte sovrapposti alla contrattazione collettiva nelle materie che avrebbero dovuto esserle riservate. In molte occasioni la negoziazione collettiva nazionale si è svolta su due tavoli: quello contrattuale vero e proprio e quello improprio, destinato a produrre la miriade di “leggine contrattate”.
C’è un modo per voltar pagina?
Sì: adottare un Codice del lavoro semplificato, che sostituisca interamente la legislazione di fonte nazionale con poche decine di articoli semplici, comprensibili dalle decine di milioni di persone che devono applicarli tutti i giorni. E traducibili in inglese: oggi la nostra legislazione del lavoro non lo è. Per il resto, d’ora in poi il legislatore dovrebbe sempre attenersi alle linee-guida dettate dall’Unione Europea con il Decalogue for Smart Regulation emanato a Stoccolma nel novembre 2009.
Un altro problema più volte denunciato è lo scarso coordinamento tra domanda e offerta di lavoro. Da dove si dovrebbe partire per cominciare a monitorare meglio il nostro mercato e favorire l’incontro tra domanda e offerta?
Occorrerebbe che ogni Regione istituisse un vero osservatorio del mercato del lavoro, che non si limitasse a riciclare i dati forniti dall’Istat e da altre fonti, ma rilevasse puntualmente e direttamente gli skill shortages, cioè i posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di manodopera adatta, e rilevasse in modo sistematico i tassi di coerenza fra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di chi la ha ricevuta. Sulla base di questi dati dovrebbero poi essere organizzati servizi di assistenza intensiva per chi è in difficoltà nel mercato del lavoro, strettamente connessa con la formazione mirata specificamente alle occasioni di lavoro esistenti. Per esempio valorizzando i servizi di outplacement con un sistema di vouchers, finanziato con il contributo del Fondo Sociale Europeo.
La legislatura è da poco iniziata: che cosa si dovrebbe fare subito per provare ad arginare l’emorragia continua di posti di lavoro?
Ridurre drasticamente il cuneo fiscale e contributivo sulle buste-paga: i risultati del vertice europeo della settimana scorsa ora ce lo consentono. Varare al più presto il Codice del lavoro semplificato, che è pronto da tempo ed è maturo per essere varato, sia sul piano tecnico sia sul piano politico: costituirebbe un segnale importantissimo per gli operatori internazionali; e la semplificazione legislativa potrebbe preludere alla semplificazione amministrativa. Mettere a disposizione di imprese e lavoratori, per le nuove assunzioni, in via sperimentale, un modello di rapporto di lavoro a tempo indeterminato molto meno costoso e meno rigido di quello attuale, che consenta di regolarizzare le centinaia di migliaia di collaborazioni autonome messe in crisi dalla legge Fornero, senza choc di costi e di rigidità.
Bersani ha deciso di aprire al Movimento 5 Stelle. Come giudica questo tentativo e quali ricadute potrebbe avere sui temi del lavoro?
Sbaglierò, ma ho l’impressione che sia un tentativo destinato a chiudersi negativamente molto presto.
In particolare il segretario del Pd ha spiegato di voler rendere il lavoro stabile più conveniente del lavoro precario…
L’unico modo per farlo efficacemente è la sperimentazione di cui ho parlato prima.
Per lei accordi sul lavoro con il Movimento 5 Stelle rientrano nel campo della fanta-politica?
Su questa materia il M5S non è affatto monolitico. Per esempio, sull’articolo 18 dello Statuto la capogruppo del M5S alla Camera la pensa sostanzialmente come me.
Quali sono le condizioni minime in assenza delle quali a un governo è preferibile andare al voto?
Il rigoroso rispetto programmatico dei nostri impegni europei. Il vertice di Bruxelles della settimana scorsa ha dimostrato come sia questa l’unica via attraverso la quale possiamo aspirare ad allargare i nostri margini di manovra per le politiche antirecessive. Mentre, al contrario, se assumiamo una posizione ambigua, la nostra posizione al tavolo europeo si indebolisce e quei margini sono destinati a restringersi.
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