I DANNI PRODOTTI DALL’EMENDAMENTO SALVA-PREMIER

PARALIZZA IL DIALOGO SULLE RIFORME ISTITUZIONALI, INTRALCIA GRAVEMENTE L’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA, TOGLIE CREDIBILITA’ ALL’INIZIATIVA SUL TERRENO DELL’EFFICIENZA DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

18 giugno 2008

     L’innesto nel decreto-sicurezza dell'”emendamento-Berlusconi”, mirato chirurgicamente a impedire la conclusione del processo in cui il Capo del Governo è imputato di corruzione giudiziaria, al costo di un gravissimo intralcio generale per il funzionamento della giustizia penale, pone un’ipoteca pesante sulla possibilità di un dialogo fecondo tra maggioranza e opposizione circa le riforme istituzionali. Il Paese ne ha pur sempre urgente bisogno, ma ora le difficoltà si raddoppiano.      Quell’emendamento è un’enormità, in primo luogo, sul piano del metodo: quand’anche esso fosse davvero mirato a far funzionare meglio la giustizia, sarebbe inconcepibile il fatto che un intervento legislativo di questo genere e di questa portata venga innestato, sotto forma di emendamento estemporaneo presentato in Parlamento all’ultimo momento prima del voto, su di un decreto-legge dedicato a tutt’altra materia.
     Ma ciò che è più abnorme in questo emendamento è il suo contenuto: il Capo del Governo – che, con la lettera al Presidente del Senato, ne ha assunto esplicitamente la paternità – non esita a bloccare per un anno decine di migliaia di procedimenti penali in corso (molti dei quali dovranno ricominciare da capo, in tutti i casi in cui anche un solo giudice del collegio verrà sostituito), al fine sostanzialmente confessato di  salvarsi da una condanna imminente. I suoi ministri e parlamentari tornano a parlare di “giustizia a orologeria”; ma non dicono che il tanto temuto processo milanese avrebbe potuto e dovuto concludersi già da molto tempo, se non fosse stato ritardato con ogni mezzo dalle pratiche ostruzionistiche della difesa dello stesso imputato.
     Questa vicenda produce infine, anche se indirettamente, un danno grave sul piano delle politiche di rigore che il Governo Berlusconi ha annunciato in materia di efficienza delle amministrazioni pubbliche. Abbiamo osservato tante volte che la sorte di queste politiche dipende in gran parte dalla percezione diffusa dell’imparzialità dei criteri con cui i sacrifici vengono imposti e distribuiti, dalla capacità del Governo di garantire che tutti faranno fino in fondo la propria parte. Questa garanzia può e deve essere data in primo luogo dall’autorevolezza del Governo sul piano etico-politico; ma con quale autorevolezza  il ministro Brunetta tornerà a parlare ai tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici di trasparenza totale, di dedizione al dovere, di criteri oggettivi di valutazione, di controllo imparziale dei risultati, quando il Capo del suo Governo si è mostrato pronto a sacrificare l’efficienza di un intero comparto dell’amministrazione sull’altare dei propri interessi personali?

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