KRUGMAN INSEGNA: LA FASCIA MEDIA NON NASCE DA SOLA, LA CREA UNA POLITICA REDISTRIBUTIVA
Articolo di Marco Leonardi, ricercatore di economia politica presso il Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare nell’Università degli Studi di Milano, pubblicato il 13 giugno 2008 su il Riformista.
Paul Krugman ha parlato festival di Trento di democrazia e mercato, ma il suo lavoro più interessante di questi ultimi anni è l’ultimo libro, The Conscience of Liberal. È il suo primo libro da commentatore politico più che da economista. Ed è un libro straordinariamente interessante anche per l’Italia. Non per l’argomento, che riguarda l’aumento delle disuguaglianze negli Stati Uniti ma per l’approccio politico ad un tema così importante, ma questo lo vedremo all’ultimo.
Gli economisti, e Krugman è tuttora uno dei più brillanti economisti al mondo, sono abituati a pensare che tutto quel che succede sia opera delle forze di mercato o comunque sia spiegabile in termini di eventi economici. E così l’aumento delle disuguaglianze è spiegabile dall’effetto delle nuove tecnologie e dalla globalizzazione del commercio. Le nuove tecnologie elettroniche sostituiscono i lavoratori a basse qualifiche e premiano i lavoratori più istruiti che le sanno utilizzare a loro vantaggio; il commercio internazionale manda oltreoceano le produzioni ad alta intensità di lavoro e penalizza chi produce nei paesi già sviluppati beni a basso valore aggiunto. Se c’è poi una polarizzazione della politica tra destra e sinistra è perché ad un’economia sempre più diseguale corrispondono interessi materiali (e politiche che li difendono) sempre più diseguali.
Il Krugman politico di questo libro rovescia il nesso di causalità: non è la disuguaglianza economica che causa la polarizzazione della politica, ma l’inverso. Un fenomeno politico preciso, lo spostamento del partito repubblicano a destra da Ronald Reagan in poi, ha scardinato le istituzioni economiche che limitano gli aspetti più estremi della disuguaglianza economica. Queste istituzioni sono i salari minimi che garantiscono a tutti un reddito vitale e i sindacati che difendono i diritti dei lavoratori. Entrambe queste istituzioni hanno perso di importanza nel tempo non perché l’economia è cambiata e non abbiamo più bisogno di salari minimi o di sindacati, ma per precisa volontà politica. Ed è sempre la politica che cambia i valori condivisi per cui oggi in america sembra lecito che un grande manager guadagni 370 volte un suo operaio.
Krugman lo dice testualmente: “la classe media non emerge automaticamente in un’economia, deve essere creata dall’azione politica”. E la classe media in America (ma anche in molti paesi del mondo industrializzato si assiste allo stesso fenomeno) non esiste più. Non esiste più in un senso ben preciso: i frutti della crescita non sono distribuiti equamente, la concentrazione del reddito aumenta nelle mani di pochi e solo alcuni si salvano da questa gigantesco spostamento di ricchezza. Alcuni di questi lavorano in occupazioni dei servizi protette dal cambiamento tecnologico e dalla competizione globale (occupazioni anche di reddito modesto come i camerieri, le badanti e le imprese di pulizia) e favoriti da una domanda sempre crescente di servizi alla persona da parte delle classi più abbienti. Si crea quindi una polarizzazione dei redditi e dei lavori con molti fortunati tra i più ricchi e pochi fortunati tra i più poveri (poveri ma protetti!), e un grosso buco in mezzo fatto di occupazioni dal reddito medio oggi in discesa e non più sicuro come prima.
La soluzione di Krugman? Non certo il protezionismo dei mercati, ma l’intervento dello Stato con la redistribuzione fiscale a favore di chi più soffre nell’evoluzione dei mercati globali e una politica che affermi la necessità di una crescita distribuita in modo più uguale: un nuovo New Deal che dia maggiore sicurezza a partire da un sistema sanitario universale e assicurazione contro i rischi finanziari che sono molto aumentati nell’era della globalizzazione.
Ma perché questo libro è interessante per un italiano? In fin dei conti in Italia le disuguaglianze non sono così accentuate, il sistema sanitario è universale, i sindacati sono forti e i salari garantiti per chi lavora. Eppure anche in Italia le disuguaglianze sono molto grandi soprattutto tra garantiti e non garantiti, tra giovani e vecchi, e la globalizzazione preoccupa molti. In America lo spostamento a destra del partito repubblicano è avvenuto nell’arco di vent’anni giocando la carta della sicurezza nazionale dal terrorismo e delle differenze di razza. E noi oggi abbiamo il problema della sicurezza dal crimine comune e dell’immigrazione.
In altre parole questo libro è interessante per un italiano perché affronta il problema della disuguaglianza e della globalizzazione dei mercati rivendicando il primato della politica. E perché chi lo scrive è uno dei maggiori intellettuali liberal d’America, quel che in Italia chiameremmo un democratico ed un democratico molto partigiano. Il tema della disuguaglianza e della protezione dalla globalizzazione sono temi naturali per il centrosinistra. Il centrosinistra come i liberal americani sono nati per affermare l’uguaglianza ex ante dei cittadini e la necessità di aiutare chi si trova in difficoltà ex post. La globalizzazione è molto asimmetrica, favorisce alcuni a discapito di altri, impone flussi di merci e di uomini che fino a poco tempo fa non sembravano possibili, soprattutto implica lunghi periodi di transizione da un equilibrio ad un altro in cui chi è penalizzato deve essere assicurato e risarcito.
Ma perché in Italia il tema della protezione dalla globalizzazione è stato preso da chi propone valori tradizionali nella società e protezione nei mercati dei prodotti? E da chi non si sogna neanche di voler affermare la necessità di una crescita più uguale? Una prima spiegazione è che in Italia la sinistra ha una lunga storia di valori e ideologia politica di cui ha tardato a liberarsi. Nella fretta di liberarsene ora ha creduto di poter prender a prestito il pensiero di altri. Krugman non ha nessuna vergogna a dichiararsi un difensore della classe media e dell’uguaglianza perchè i liberal d’America da sempre sono a proprio agio con i concetti di mercato e di individuo. Il nostro centrosinistra deve ancora fare (rapidamente!) un pezzo di strada sulla via del liberalismo per poter poi credibilmente presentarsi per quel che deve essere: il difensore della maggioranza della popolazione e della crescita sostenuta e ugualmente distribuita.