REPUBBLICA: LA CULTURA DELLE REGOLE È LA VERA INFRASTRUTTURA CHE CI MANCA

DIALOGO SUL SENSO CIVICO DIFFUSO E SUL LAVORO NELLA CITTÀ “PIÙ VECCHIA” D’ITALIA

Intervista a cura di Massimo Minella, pubblicata sull’inserto genovese de la Repubblica il 19 febbraio 2013

Un paese in declino, in cui le regole si rispettano poco. Un paese che rischia di avvilupparsi su se stesso e che deve fare i conti una riforma del lavoro che divide e fa soffrire. Un paese, spiega Pietro Ichino, senatore del Pd e docente universitario candidato al Senato in Toscana e in Lombardia con lista “Scelta Civica” di Mario Monti, che dovrebbe ripartire puntando sulle sue eccellenze, a cominciare dall’economia del mare. Stasera il professor Ichino parteciperà alla sala congressi di Bi. Bi. Service, in via XX Settembre 41, al convegno “Lavoro, lavoro, lavoro: che cosa ci impedisce da lavorare?”.

Professor Ichino, lei ha parlato di un grave difetto di “cultura delle regole» nel nostro paese. Che cosa intende dire?
Oggi si riescono a rilevare indici che misurano anche fenomeni sociali complicati. Tra questi, gli indici di civicness, cioè di senso civico diffuso. E per questo aspetto l’Italia è drammaticamente nella parte più bassa delle graduatorie, non soltanto europee ma anche mondiali.

Come abbiamo potuto spingerci fino a questo punto?
Non abbiamo capito che la cultura delle regole costituisce una “infrastruttura” essenziale per lo sviluppo economico del paese. La abbiamo svalutata, talvolta persino irrisa.

Lei si prepara a partecipare a un convegno a Genova, la città più anziana d’Italia. Il quesito è doveroso: come affrontare il tema delle pensioni di anzianità, con il loro definitivo superamento?
Nell’autunno 2011 abbiamo dovuto compiere in due settimane il percorso che avremmo dovuto compiere gradualmente in quindici anni, dopo la riforma Dini del 1995. Ora, tutte le nostre energie devono essere dedicate a incentivare sul piano economico e normativo il reinserimento dei cinquantenni e dei sessantenni nel tessuto produttivo, soprattutto nel settore dei servizi. Nel centro e nord-Europa si è sviluppata una vera e propria cultura dell’active ageing, delle misure che possono favorire l’invecchiamento attivo, adattando l’organizzazione del lavoro alle esigenze di chi incomincia a non essere più nel pieno delle forze.

Ma se il lavoro non c’è proprio, per i cinquantenni?
Non è così: la percentuale di contratti regolari stipulati con persone oltre i 50 anni di età va dal 10 al 14% per cento sul flusso totale, a seconda delle regioni e delle province. Non è una percentuale irrisoria, in rapporto alla quota di popolazione che ha questa età. Il problema è che in questa fascia di età il rischio della trappola della disoccupazione di lunga durata è molto più alto.

Restiamo al tema degli esodati. Anche i lavoratori della Fincantieri sono in parte coinvolti.
Abbiamo “salvaguardato” tutti coloro che si sono dimessi nel 2010 o 2011 con la prospettiva di ottenere la pensione entro il 2012, 2013 o 2014. Per quelli che si attendevano la pensione più in là, dal 2015 in poi, dobbiamo porre in essere tutte le misure possibili di agevolazione per il ritorno al lavoro. Ma se queste non produrranno l’effetto, la soluzione non può essere il prepensionamento: significherebbe svuotare la riforma del dicembre 2011. La soluzione deve consistere in un trattamento di disoccupazione, cioè un sostegno del reddito condizionato alla disponibilità al ritorno al lavoro. L’ASpI offre il 70 per cento dell’ultima retribuzione: non è un sostegno disprezzabile.

Le sue posizioni hanno suscitato però reazioni molto critiche.
Se vogliamo salvare una delle cose buone fatte da questo governo, ancorché siano state fatte in modo brusco per sopperire a un’inerzia lunga quindici anni, dobbiamo andare avanti. Non possiamo continuare con la politica dei prepensionamenti che dovranno pagare i nostri figli.

La crisi dell’Ilva si sta abbattendo anche sull’economia genovese per il blocco dei prodotti a Taranto. Come uscire da questo lungo empasse?
Nell’immediato occorre dare piena attuazione al decreto-legge emanato dal Governo per sbloccare il processo produttivo e la mobilitazione dei prodotti.

Ma tutto sembra paralizzato, come mai?
Quello dell’Ilva è un caso di grave conflitto fra poteri dello Stato, una situazione davvero preoccupante.

Genova vuole consolidare la sua leadership nell’economia del mare (porti, armamento, cantieristica, nautica), ma finora i governi che si sono succeduti in questi decenni non hanno mostrato grande attenzione a questa materia. È doveroso dare centralità all’economia del mare?
Sì, questa è una delle grandi scelte di politica industriale di cui il nostro paese ha bisogno. E non riguarda solo Genova, ma tutto l’asse costiero che va da Savona alla Spezia e a Carrara.

Anche il governo ha le sue responsabilità. L’idea di tassare la nautica è stata devastante.
Lo riconosco, è stata una mossa infelice. L’intendimento di quell’imposta era apprezzabile: era sostanzialmente un’estensione a questi beni della patrimoniale. Tuttavia, nei fatti, proprio per le caratteristiche del bene trattato, ha prodotto più danni che benefici anche per l’Erario. Questo va pragmaticamente riconosciuto, traendone le conseguenze.
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