Articolo di Luca RICOLFI pubblicato da La Stampa il 15 giugno 2008.
Con la cortese autorizzazione dell’Autore lo propongo qui per mostrare i molti punti di contatto tra il disegno di legge presentato dal PD il 5 giugno scorso e la parte più rilevante del programma annunciato dal neo-ministro della Funzione pubblica. Su questi punti, se ai proclami Renato Brunetta farà seguire fatti coerenti, credo che il difficile impegno in Parlamento e nel Paese possa e debba essere bi-partisan. (p.i.)
Il ministro Brunetta vola nei sondaggi. La sua idea di combattere gli sprechi e le inefficienze della Pubblica Amministrazione piace agli italiani, ed è un bene che sia così: la riduzione della spesa pubblica improduttiva, infatti, è l’unica vera carta che il governo ha in mano per far ripartire la crescita. Se il governo fallisce su questo, non ci saranno risorse né per ridurre le tasse, né per modernizzare le infrastrutture, né per completare lo stato sociale, ossia per asili nido, ammortizzatori sociali, politiche contro la povertà.
Ce la farà Brunetta ?
Spero proprio di sì, ma penso che sarà dura, molto dura. E non solo perché il ministro incontrerà resistenze di ogni tipo, a partire da quelle dei sindacati e degli enti locali, ma perché il problema degli sprechi ha alcune asperità intrinseche, che la mera volontà politica non basta a smussare.
Asperità numero 1: la dimensione quantitativa degli sprechi. Se per “spreco” intendiamo un impiego di risorse superiore a quelle necessarie per ottenere un dato risultato, e inoltre per risorse “necessarie” intendiamo quelle che occorrerebbero adottando le pratiche delle amministrazioni più virtuose, l’amontare degli sprechi della Pubblica Amministrazione risulta di almeno 80 miliardi di euro l’anno (la stima più prudente fra quelle prodotte dall’Osservatorio del Nord Ovest). Tremonti aveva promesso un taglio di spesa improduttiva di 5 miliardi di euro l’anno, Veltroni di 15, il ministro Brunetta sembra pensare a circa 10. Questo significa che, per azzerare gli sprechi, al ritmo Tremonti occorrerebbero almeno tre legislature, al ritmo Veltroni ne basterebbe una, al ritmo Brunetta ce ne vorranno due, ossia più o meno un decennio.
Asperità numero 2: la distribuzione settoriale e territoriale degli sprechi. L’entità degli sprechi varia in modo impressionante a seconda del settore e del territorio. Le stime sui dati più recenti disponiblili (fermi al 2005) suggeriscono che il peso della spesa improduttiva sulla spesa totale sia circa il 18% nella sanità, il 25% nella scuola, il 32% nell’assistenza (false pensioni di invalidità), il 35% nella giustizia civile. Quanto alla distribuzione territoriale degli sprechi esistono enormi differenze non solo fra Centro-nord e Mezzogiorno, ma anche all’interno di queste due macro-aree: tendenzialmente Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia sono i territori più virtuosi del Centro-nord, mentre Sicilia, Calabria e Campania sono i tre territori più inefficienti del Mezzogiorno. In concreto questo significa che, per essere equi ed efficaci, i tagli di spesa non possono essere uniformi, ma devono essere differenziati per settore e territorio: un impegno che Tremonti aveva assunto in campagna elettorale, ma che è estremamente difficile da attuare sul piano politico.
Asperità numero 3: il limitato potere di riorganizzazione delle amministrazioni. Giustamente si osserva da più parti che occorre trovare dei meccanismi che premino i bravi amministratori e puniscano quelli cattivi, fino al limite di vietare la rielezione dei politici che hanno portato al dissesto una struttura. Ma troppo spesso si dimentica che i gradi di libertà dei dirigenti sono minimi: un preside di scuola, tanto per fare un esempio concreto, non può liberarsi di un insegnante incapace o assenteista se quest’ultimo è di ruolo, ma non può neppure confermare un bravo supplente annuale se la graduatoria prevede un altro nominativo. E’ questo, immagino, che avesse in mente Tremonti quando nel suo famoso libro (La paura e la speranza) spiegava che è impensabile raddrizzare la Pubblica amministrazione senza “abrogare le conseguenze del ’68”. Probabilmente Tremonti esagerava e provocava, come è nel suo stile, ma la sua osservazione è sostanzialmente corretta: se vogliamo punire i politici che non risanano i conti, bisogna che prima diamo loro il potere di agire.
Naturalmente il ministro Brunetta queste cose le sa perfettamente, anche perché è fra i pochissismi politici che, dopo essere stati eletti, non hanno smesso di studiare e produrre analisi della società italiana. Se le ricordo ugualmente è perché il successo della “lotta agli sprechi” dipende anche dal modo in cui ci posizioneremo noi cittadini, dalla nostra scelta di sostenere la riforma o solidarizzare con quanti le si opporranno per conservare i propri privilegi.
Se gli daremo una mano, il ministro Brunetta ce la farà. Se non gliela daremo, probabilmente manterrà la promessa di andarsene, forse rimasticando l’antico detto: “governare gli italiani non è difficile, è inutile”. A noi resterà l’amarezza di non aver colto un’occasione che è certamente stata la prima – nessuno finora aveva mai provato a fare sul serio – ma potrebbe anche rivelarsi l’ultima.
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