SULLA QUESTIONE DEL REDDITO MINIMO PROPOSTO DA JUNKER

IL PRESIDENTE DELL’EUROGRUPPO PROPONE UN REDDITO MINIMO PER I DISOCCUPATI, CHE HANNO RAGGIUNTO LA MEDIA DELL’11 PER CENTO – QUESTA MISURA PUÒ PERÒ PRODURRE EFFETTI CONTROPRODUCENTI SE NON È ADEGUATAMENTE ACCOMPAGNATA DA SERVIZI E CONTROLLI

Lettera pervenuta il 13 gennaio 2013 – Segue la mia risposta

.Caro professore, il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, esponente del Partito Popolare Europeo, giovedì scorso ha espresso la propria preoccupazione per la crescita della disoccupazione in Europa. I dati indicano una percentuale media dell’11% di disoccupati nei Paesi membri. L’esponente Popolare in seguito all’analisi citata propone l’introduzione del Salario Minimo in tutti i Paesi dell’Eurozona che ancora non hanno introdotto questa misura sociale. Non pensa che la nuova formazione che sta nascendo per iniziativa di Mario Monti, dichiaratamente in linea con il PPE, dovrebbe far propria la proposta lanciata da Juncker?

Lettera firmata

Occorre innanzitutto occorre distinguere due misure tra loro molto diverse:
– il salario minimo costituisce uno standard minimo di retribuzione oraria, che deve essere inderogabilmente rispettato nei rapporti di lavoro; questa misura non è evidentemente di alcun aiuto per i disoccupati;
– il reddito minimo di cittadinanza è invece una forma di sostegno del reddito finalizzata alla protezione di chi ha difficoltà di inserimento nel tessuto produttivo; il presidente dell’Eurogruppo Juncker si riferiva evidentemente a questo tipo di misura, e non alla fissazione di un salario minimo, quando giovedì scorso ha proposto un intervento a favore dei disoccupati dell’area dell’euro.
La mia opinione, che so essere condivisa anche dagli altri esponenti della nuova formazione politica che sta nascendo con la Lista Monti che si occupano delle politiche del lavoro, è che qualsiasi intervento di sostegno del reddito a persone disoccupate debba essere strettamente coniugato con un intervento di controllo sulla disponibilità effettiva del beneficiario per la ricerca dell’occupazione e di assistenza intensiva in tale ricerca (cosiddetta “condizionalità” dei trattamenti di disoccupazione). Solo in questo modo si evita che il sostegno del reddito abbia l’effetto di allungare i periodi di disoccupazione (come sovente accade oggi in Italia con i trattamenti di integrazione salariale e quelli di mobilità). Di questo abbiamo avuto una dimostrazione evidente nel corso della sperimentazione che si è svolta in alcuni comuni italiani su questo terreno nell’ultimo quindicennio.
Quella del reddito minimo di cittadinanza è una tematica di grande importanza, comune sia alle politiche sociali sia di tradizione popolare sia di tradizione socialista, che deve entrare anche nell’agenda di politica sociale e del lavoro italiana. Ma dobbiamo avere chiaro che il problema più difficile da risolvere su questo terreno non è tanto quello del reperimento delle risorse finanziarie necessarie, quanto quello dell’acquisizione del
know-how necessario perché la condizionalità del trattamento e l’assistenza intensiva prestata al beneficiario siano effettive, e non solo sulla carta. Solo in questo modo il reddito minimo di cittadinanza diventa un potente strumento di inclusione e di sicurezza sociale; altrimenti esso rischia di alimentare la piaga della disoccupazione di lunga durata.   (p.i.)

 

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