CITTADINANZA, SCUOLA, QUALITÀ DEL CAPITALE UMANO, ASSIMILAZIONE E MULTICULTURALISMO, IRREGOLARI E CLANDESTINI, DISOCCUPAZIONE
Scheda tecnica, 7 gennaio 2013
L’immigrazione è una componente strutturale della nostra società. Anche gli ultimi dati del Censimento 2011 documentano che la capacità di crescita della popolazione italiana è dovuta alla immigrazione e ai nati in Italia da genitori stranieri. Nel medio termine, le opportunità di ripresa della nostra economia, così come la tenuta del nostro stato sociale, dipendono in maniera significativa dalla capacità di attrarre, stabilizzare e integrare gli immigrati e i loro discendenti. Guardare all’immigrazione come se fosse un fenomeno eliminabile o comunque reversibile significa non avere senso della realtà. Il carattere necessario dell’immigrazione non significa però che non debbiamo cercare di governarla al meglio, affrontando i problemi e quindi
valorizzando gli apporti. Molti dei problemi posti dal governo dell’immigrazione e dei processi di integrazione – quelli relativi alla legalità e all’ordine pubblico, così come quelli che riguardano l’accesso al lavoro o ai diritti fondamentali –evidenziano problemi generali della società italiana, che come tali richiedono risposte di sistema. Ma ci sono anche temi di carattere
specifico, sui quali sono possibili politiche pubbliche più giuste e più efficaci, utili per far crescere il paese e alcune a costo zero.
1. Problema cittadinanza. È regolata ancora dalla legge 91/1992, che guarda all’Italia ancora come se fosse soprattutto un paese di emigrazione, non di immigrazione. L’acquisizione della cittadinanza per nascita sul territorio (ius soli) e per residenza (ius domicili) sono più difficili di quanto lo fossero nella legge liberale del 1912, e di quanto accada a livello europeo. Non
si prevede infatti che i nati in Italia possano ottenere la cittadinanza prima del compimento dei 18 anni, né che possano farlo i minori arrivati da piccoli che abbiano compiuto un ciclo scolastico nei nostri istituti. Molti progetti di legge che prevedevano uno sconto sugli anni di residenza richiesti (10) e la concessione della cittadinanza ai minori nati e/o istruiti in Italia prima del raggiungimento della maggiore età sono stati discussi, ma non approvati. È urgente riprendere il cammino tracciato da questi progetti. Si tratta di un provvedimento che risponde a un senso di equità ampiamente diffuso tra la popolazione italiana, e al tempo stesso favorirebbe un’ integrazione più efficace. Costituirebbe infatti un ulteriore vaglio, la tappa finale di un processo (rinnovo dei permessi di soggiorno, carta di soggiorno) che prevede già verifiche della volontà di integrarsi da parte degli
immigrati e soprattutto trasmetterebbe alle comunità immigrate un messaggio da parte delle istituzioni italiane: la disponibilità ad integrarli.
Questa può essere, peraltro, anche la occasione per rivedere le norme sulla trasmissione della cittadinanza per discendenza (ius sanguinis) all’estero, da parte di chi abbia lasciato definitivamente il nostro paese. Infatti, in un contesto che, da una parte,
vede discendenti (spesso remoti) di emigrati italiani con scarsi rapporti con la patria degli ascendenti e, dall’altra immigrati naturalizzati, che possono volere tornare nel paese di origine e lì avere propri discendenti, diventa importante stabilire non solo nuove regole per l’acquisizione della cittadinanza, ma anche nuove regole che definiscano i requisiti per il mantenimento della cittadinanza all’estero dopo la prima generazione. Si potrebbe prevedere la richiesta di iscrizione all’AIRE per la seconda generazione al compimento del 18esimo anno di età accompagnata da un test linguistico; si potrebbe prevedere la perdita
della cittadinanza per la terza generazione a meno che non si attestino chiari segnali di legami persistenti con l’Italia come ad es. periodi di studio o lunghi soggiorni. In parallelo si dovrebbero sia semplificare le procedure di voto per i temporaneamente residenti all’estero, sia rivedere tutto il meccanismo della rappresentanza politica delle circoscrizioni estero.
2. Problema scuola. Si riscontrano spesso risultati peggiori, ritardi, abbandoni tra gli studenti di origine immigrata, fenomeni negativi che sono più accentuati tra i ragazzi che si sono ricongiunti con le loro famiglie quando erano già adolescenti. E’ opportuno rivedere il timing dei ricongiungimenti, favorendo i ricongiungimenti precoci (ennesima ragione per rivedere quantità e qualità dei nostri nidi), evitare immissioni di studenti stranieri in corso di anno scolastico, organizzare scuole estive ad hoc per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, incentivare la co-tutorship (alunni più bravi e/o più grandi che aiutano chi è in difficoltà).
3. Problema capitale umano. L’Italia non solo ha un capitale umano relativamente più povero (carriere scolastiche meno ricche e risultati più scarsi nell’apprendimento) rispetto alle economie avanzate con le quali vogliamo confrontarci, ma non attrae immigrati con alto capitale umano: obiettivo invece desiderabile, visto che la disponibilità di capitale umano è un incentivo all’innovazione e alla crescita. Abbiamo recepito l’istituto della carta blu EU che favorisce seppure con alcuni limiti l’ingresso di immigrati istruiti, ma non basta: i paesi che attraggono immigrati con alta istruzione sono quelli già ricchi di capitale umano, con economie che richiedono alte competenze. È ovvio che dobbiamo tendere a diventare un paese capace di attrarre capitali, siano essi finanziari o umani, ma un obiettivo così complesso richiede un grande cantiere di lunga durata. Oggi, sul tema specifico del capitale umano degli immigrati, si può agire soprattutto puntando sulla fase della formazione universitaria e post-universitaria, prospettando percorsi facilitati alla cittadinanza per gli studenti stranieri più brillanti, e rafforzando lo strumento dei prestiti di onore anche per gli studenti non comunitari.
4. Problema assimilazione o multiculturalismo. Come molte questioni collegate all’immigrazione anche la scelta tra strategie di assimilazione o di favore al mantenimento della cultura del paese di origine è diventata purtroppo una scelta di campo. È ovvio invece che le due strategie debbono coniugarsi. Chi immigra in Italia deve essere informato su alcuni principi fondamentali della nostra costituzione (libertà religiosa, parità di genere, rispetto dei minori, etc.) e sulla necessità di conformarvisi. A livello europeo si sta rafforzando una strategia che mira a rafforzare il nesso tra politiche di immigrazione e di integrazione attraverso la selezione di un’immigrazione economicamente e culturalmente più integrabile. Lo si fa (selettività
delle frontiere) dando priorità agli skilled come si è già detto attraverso la carta blu e i vari sistemi a punti che vagliano l’utilità economica degli aspiranti. Lo si è fatto con l’allargamento dell’Unione che ha ulteriormente facilitato l’ingresso di immigrati europei. Lo si fa ponendo richieste di accettazione di valori o addirittura di competenze linguistiche avanzate già al rilascio del permesso di soggiorno (slittamento delle frontiere). Il rischio di queste strategie è un’impropria valutazione delle esigenze reali delle proprie strutture produttive e una svalutazione a priori del patrimonio linguistico e culturale che portano con se gli immigrati. Si tratta di un patrimonio che al contrario va valorizzato per farne una risorsa comune (pensiamo alle varie forme di economia etnica, all’utilità di avere cittadini compenti nelle lingue di nostri partner economici a livello internazionale).
5. Problema residenti irregolari. La maggioranza degli immigrati regolari oggi residenti in Italia sono passati per una fase di irregolarità diretta o del familiare al quale si sono ricongiunti. Una certa quota di irregolarità è inevitabile in tutti i processi migratori, ma in Italia la via della irregolarità è di fatto la strada principale. Anche i flussi programmati sono in larga misura coperti da immigrati che già lavorano irregolarmente in Italia. Occorre quindi rendere il sistema più elastico consentendo la trasformazione di permessi di soggiorno dati per altri motivi in permessi di lavoro o ritornando, dopo un’attenta revisione, all’istituto del permesso di soggiorno per motivi di ricerca di lavoro (presente nella Turco-Napolitano e poi abrogato).
6. Problema disoccupazione. Gli immigrati sono più attivi, e quindi più occupati ma anche più disoccupati della media italiana. Nella crisi il carattere di polmone del lavoro immigrato ha accentuato la fase espulsiva. Giusto quindi aver prolungato, riportandoli a quanto previsto dalla Turco-Napolitano i tempi di tolleranza della disoccupazione per il mantenimento del titolo di soggiorno regolare. Su questo fronte si potrebbe fare di più lasciando maggiore discrezionalità alle autorità competenti che possono valutare anche redditi e solidarietà familiari. La perdita del lavoro e l’assenza di prospettive incentiva anche i rientri in patria, oggi più facili per i comunitari che sanno di non avere problemi di ritorno in Italia una volta superata la crisi. Sarebbe opportuno dare anche ai lavoratori non comunitari che rientrano in patria a causa della crisi, dietro attestazione di validità dell’opera svolta da parte del datore di lavoro, una priorità negli ingressi futuri.