I DECRETI BERSANI HANNO PRODOTTO ALCUNI RISULTATI IMPORTANTI, MA HANNO ANCHE INCONTRATO GRANDI RESISTENZE IN CIASCUNA DELLE CATEGORIE INTERESSATE DI LIBERI PROFESSIONISTI
Intervista a cura di Enrico Marro, pubblicata sul Corriere della Sera del 22 marzo 2009
Secondo l’Antitrust la riforma Bersani degli ordini professionali non ha portato a una reale liberalizzazione del settore né a una effettiva concorrenza a vantaggio degli utenti. Eppure era stata presentata come una rivoluzione. Che cosa non ha funzionato?
Un aumento della libertà di concorrenza tra liberi professionisti c’è stato ed è ben percepibile. Certo, non tutto quello che la riforma si proponeva. Come era prevedibile, ciascuna categoria oppone resistenza. Resistono, soprattutto, alcune restrizioni indebite all’accesso ad attività professionali e una scarsa trasparenza dei mercati di queste attività. Ma, soprattutto, gli organi collegiali dei vari ordini restano espressione esclusiva degli interessi della categoria e non degli interessi della collettività.
Se una riforma entra in parlamento in un modo e ne esce annacquata al punto da non poter essere più efficace, non è meglio disconoscerla? Non è meglio rinunciarvi anziché creare aspettative che poi andranno deluse?
È vero, c’è un rischio di effetto boomerang: quando una riforma è inefficace essa può generare un atteggiamento di rassegnazione, la convinzione che la riforma sia impossibile. Sovente si ha la sensazione che i grandi “gattopardi” annidati negli apparati ministeriali lavorino sui decreti attuativi delle leggi-delega proprio con questo intendimento. Però non è vero che le riforme Bersani abbiano fatto soltanto un buco nell’acqua: alcuni primi risultati, anche se parziali, si sono visti.
Per esempio?
In materia di tariffe: l’abolizione della tariffa minima costituisce una innovazione molto incisiva, di cui si sono già visti alcuni effetti positivi, anche se non tutti quelli che possono essere ottenuti. Occorre proseguire su quella strada con determinazione, perché la tariffa minima non aiuta i professionisti più deboli, mentre favorisce le rendite di posizione dei più forti. E gli organi collegiali degli ordini devono smettere di agire come se fossero dei “sindacati unici nazionali” della categoria, ad iscrizione obbligatoria: essi devono agire soprattutto nell’interesse della collettività.
L’Antitrust chiede al governo un nuovo intervento legislativo per una vera riforma. Condivide le cinque richieste dell’Autorità?
Le condivido totalmente per quel che riguarda il perfezionamento dell’abolizione delle tariffe minime, la liberalizzazione della pubblicità e la composizione degli organi collegiali degli ordini: è indispensabile che questi vengano integrati in modo che gli interessi della collettività siano rappresentati in misura prevalente rispetto agli interessi della categoria. Su lauree abilitanti e tirocinio il discorso è un po’ diverso da settore a settore.
Visto che la resistenza delle corporazioni alla riforma è così forte, non sarebbe meglio un intervento drastico come l’abolizione pura e semplice degli ordini?
In alcuni casi decisamente sì: per esempio nel caso dei giornalisti. In molti settori, comunque, si dovrebbero eliminare le barriere di accesso, e affidare all’organo collegiale soltanto il controllo sulla rigorosa applicazione di un codice deontologico e l’irrogazione delle sanzioni per chi lo viola.