“C’E’ UN MOTIVO FORTE CHE DOVRABBE SPINGERE TUTTI AD AVERE LO STESSO CORAGGIO RIFORMISTA DEL PROGETTO DI ICHINO: NELLE SITUAZIONI DI CRISI E INCERTEZZA LE IMPRESE TENDONO A LICENZIARE PER PRIMI I PRECARI E A NON ASSUMERE SE NON CON RAPPORTI DI LAVORO PRECARI”. MAI COME OGGI E’ STATO ALTO IL COSTO PAGATO DAI GIOVANI PER IL DUALISMO DEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO
Articolo di Giorgio Santini, Segretario confederale della Cisl e reponsabile delle Politiche del Lavoro, pubblicato su il Riformista del 21 marzo 2009
Il nostro mercato del lavoro espone molti lavoratori, in particolare giovani, a prospettive occupazionali assai incerte, spesso indipendentemente dai loro talenti. Il progetto di “contratto di transizione” presentato da Pietro Ichino è apprezzabile in quanto rivolto a superare il dualismo tra lavoratori più e meno tutelati.
Non si tratta, di un vero e proprio “contratto unico” poiché viene proposto per tutti coloro che lavorano in posizione di sostanziale dipendenza economica (che cioè ricavano dal rapporto più del 50% del proprio reddito di lavoro), prevedendo anche tipologie contrattuali diverse, ma con uno stesso standard di protezione della stabilità lavorativa: un tentativo di unificare, quindi, per tutte le tipologie contrattuali, la tutela nei confronti dei licenziamenti.
L’approccio è graduale e non impositivo. L’introduzione del nuovo regime non avviene d’imperio, ma attraverso la stipulazione di un contratto collettivo per far accedere le aziende, solo per le nuove assunzioni, al nuovo regime, prevedendo nel contempo una forte valorizzazione della bilateralità tra imprese e organizzazioni sindacali.
Il progetto persegue diverse finalità tutte condivisibili: promuovere una “buona occupazione” tendenzialmente più stabile, semplificare l’eccessiva proliferazione di contratti flessibili, abbinare flessibilità e tutele nell’ottica della flexsecurity nordeuropea, responsabilizzare pienamente aziende e lavoratori nella gestione dei rapporti di lavoro, parificare, con lungimiranza, le aliquote contributive delle diverse tipologie lavorative.
Ma non si possono ignorare alcune problematicità. Dal punto di vista politico la principale consiste nel superamento, benché solo per i nuovi assunti, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti di carattere economico-organizzativo; anche se la proposta, diversamente dal passato, parte da nuove tutele nei confronti dei licenziamenti, quali sostegno al reddito e rapida ricollocazione lavorativa e quindi, nei fatti, cerca esplicitamente di svuotare la questione. Dal punto di vista contrattuale, il progetto introdurrebbe un’ulteriore frammentazione, di fatto un doppio regime tra nuovi assunti e vecchi, anche se destinato nel lungo periodo a esaurirsi. Inoltre, sul piano dei costi, sono dubbie le convenienze ad aderire per le imprese medio-grandi, che già dispongono di ammortizzatori sociali robusti.
Vi sono miglioramenti possibili: ad esempio “il contratto di transizione”, secondo la singolare dizione del testo, è stipulato da «un gruppo di imprese e una o più organizzazioni sindacali», non è quindi né un accordo aziendale né un contratto di categoria, ma qualcosa di intermedio, tra l’altro senza il vincolo della rappresentatività per la parte sindacale. Questo fatto si giustifica essendo l’accordo riferito alle nuove assunzioni e può essere funzionale a far decollare il nuovo sistema senza ostruzionismi. Tuttavia una migliore definizione della natura del contratto di transizione appare necessaria.
Il limite di venti anni di anzianità presso la stessa azienda per avere la piena tutela dell’art.18 anche in materia di licenziamenti per motivo economico-organizzativo, è alto. Un dimezzamento garantirebbe ugualmente il requisito del consolidamento della fiducia reciproca tra lavoratore e impresa che è alla base della proposta.
Nel progetto la gestione bilaterale del sostegno al reddito e della ricollocazione dei lavoratori sostituirebbe totalmente l’assicurazione contro la disoccupazione; meglio sarebbe prevedere un sistema misto con risorse pubbliche e risorse della bilateralità. Infine, ai lavoratori percettori del sostegno al reddito erogato dall’ente bilaterale sembra non spettare la contribuzione previdenziale per il periodo non coperto dall’assicurazione attuale (sei mesi): questo potrebbe aver portato a sottovalutare i costi della proposta, che dovrebbero invece essere considerati.
Ma c’è un motivo forte che dovrebbe spingere tutti ad avere lo stesso coraggio riformista del progetto di Ichino. Nelle situazioni di crisi e incertezza le imprese tendono a ridurre il personale, iniziando dai contratti temporanei; e anche quando progressivamente si dovesse uscire dalla crisi esse avranno maggiori difficoltà a impegnarsi in assunzioni a tempo indeterminato con le tradizionali garanzie di stabilità. È concreto il rischio che, quando riprenderanno le assunzioni, risulti prevalente, ancor più dei livelli attuali, il lavoro temporaneo, riproponendo situazioni di incertezza e difficoltà.
Un possibile percorso per dare concretezza al progetto potrebbe consistere nel completare l’estensione degli ammortizzatori sociali, sia pure “in deroga”, a tutti i lavoratori dei settori e delle tipologie contrattuali oggi esclusi. Si potrebbe affrontare, nella seconda parte del 2009, l’introduzione progressiva e graduale del nuovo contratto di transizione specificamente per evitare il rischio che le imprese, all’uscita dalla crisi, utilizzino per le assunzioni, soprattutto contratti a termine.
Giorgio Santini