LA PARTE DEL DOCUMENTO PRESENTATO DA MARIO MONTI COME PROGRAMMA PER LA PROSSIMA LEGISLATURA CHE PRESENTA LE MAGGIORI CONSONANZE CON LE MIE PROPOSTE
Capitolo 3 estratto dal memorandum Cambiare l’Italia, riformare l’Europa, proposto da Mario Monti, 23 dicembre 2012
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3. COSTRUIRE UNA ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO, DINAMICA E MODERNA
La riforma delle pensioni e il nuovo mercato del lavoro
La riforma delle pensioni ha dato al Paese il sistema più sostenibile e avanzato in Europa. Il Governo è intervenuto sotto la pressione dell’emergenza per correggere anomalie e distorsioni accumulate nel tempo. Non possiamo permetterci di sprecare questo risultato. Guardando avanti, al primo posto delle priorità vi è l’esigenza di un’efficace informazione ai singoli lavoratori circa le pensioni che essi possono ragionevolmente attendersi di ricevere, in modo che possano meglio pianificare il loro futuro e i loro risparmi. A ormai quasi vent’anni dalla loro introduzione nel nostro sistema i fondi pensione integrativi non sono decollati. Va quindi dato un nuovo impulso alla previdenza complementare favorendone anche la crescita dimensionale con incentivi ai processi di fusione tra i fondi.
Dal canto suo la riforma del mercato del lavoro rappresenta un passo avanti fondamentale del nostro Paese verso un modello di flessibilità e sicurezza vicino a quello vincente realizzato nei Paesi scandinavi e dell’Europa del nord. Non si può fare marcia indietro. Bisogna proseguire sulla strada tracciata per migliorare. Per questo serve monitorare l’attuazione delle nuove norme per individuare correzioni possibili e completare le parti mancanti, ad esempio quelle relative al sistema di ammortizzatori sociali, al contenuto di formazione dell’apprendistato o alle politiche attive del lavoro e all’efficacia dei servizi per l’impiego.
La modernizzazione del mercato del lavoro italiano richiederà inoltre di intervenire per:
– una drastica semplificazione normativa e amministrativa in materia di lavoro. Un corpus di regole più semplice, più snello, che non sia una barriera ma una carta da giocare con chi vuole investire e creare lavoro nel Paese. Senza perdere niente in garanzie di sicurezza dei lavoratori o tutela dei diritti;
– il superamento del dualismo tra lavoratori sostanzialmente dipendenti protetti e non protetti;
– ridurre a un anno al massimo il tempo medio del passaggio da un’occupazione all’altra rendendo più fluido e sicuro il passaggio dei lavoratori dalle imprese in crisi o comunque meno produttive a quelle più produttive o comunque in fase di espansione;
– coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale dei lavoratori nel mercato del lavoro;
– spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva, favorendo il collegamento di una parte maggiore delle retribuzioni alla produttività o alla redditività delle aziende attraverso forme di defiscalizzazione, come avvenuto nell’accordo firmato dalle parti sociali nell’ottobre scorso.
Lavoro: più e meglio. Incrementare i tassi di occupazione giovanile, femminile e degli anziani. Negli ultimi dodici mesi la disoccupazione della zona euro non ha cessato di salire. In Italia i disoccupati sono oltre l’11% della popolazione. Serve mettere in campo tutto il possibile per creare più posti di lavoro, in particolare per le categorie più colpite dalla crisi: giovani, donne, lavoratori anziani. E anche mettere in gioco schemi consolidati.
Per i giovani occorre un Piano per l’Occupazione giovanile con incentivi a sostegno della formazione e dell’inserimento nel mercato del lavoro e con forme di detassazione per chi assume lavoratori tra i 18 e i 30 anni.
Per l’occupazione femminile, occorre una detassazione selettiva dei redditi di lavoro e la promozione di servizi alla famiglia, alle persone non autosufficienti e alle comunità locali, sia in funzione dell’aumento della domanda di lavoro femminile, sia in funzione della liberazione dell’offerta potenziale di lavoro femminile. Bisogna ampliare il congedo parentale.
Un altro fronte su cui occorre intervenire è quello dei lavoratori over 55, dove le misure di innalzamento dell’età di pensionamento ultimamente adottate dovrebbero essere consolidate e completate con misure volte a promuovere l’invecchiamento attivo, a incentivare l’assunzione di persone anziane, ad offrire agli over 55 disoccupati e non ancora in possesso dei requisiti per la pensione un sostegno del reddito collegato alla loro disponibilità al lavoro.
Un Welfare State per il nostro tempo. La persona è il primo capitale da proteggere.
L’Europa e la sua agenda di disciplina delle finanze pubbliche e riforme strutturali sono nemiche del welfare state? No.
Lo Stato sociale è il cuore del modello sociale europeo e della sua sintesi tra efficienza ed equità, mercato e solidarietà. Di per sé l’Europa non limita i modi in cui si possono perseguire fini sociali, ma impedisce di finanziarli con una illimitata creazione di debito. E ci impone di capire che il modello che abbiamo costruito si sta incrinando sotto il peso del cambiamento demografico e della sempre più difficile sostenibilità finanziaria. Abbiamo due alternative.
O cercare di conservare il welfare state com’è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente. O provare a rendere il sistema più razionale e aperto all’innovazione. Nel settore dell’assistenza sanitaria bisogna garantire il diritto alla tutela della salute in un nuovo contesto, organizzando il sistema sanitario secondo i principi di appropriatezza delle cure, costo/efficacia, riduzione al massimo degli sprechi, gestione manageriale basata su una valutazione trasparente dei risultati. Senza contrapporre sanità pubblica e sanità privata, perché ombre e luci, meriti e sprechi, esistono in entrambe. Il servizio sanitario nazionale resta una conquista da difendere e rafforzare attraverso innovazione, efficienza e professionalità. Bisogna sempre più potenziare l’assistenza domiciliare dei parzialmente sufficienti e dei non autosufficienti, una soluzione che permette di coniugare risparmi di spesa e una migliore condizione del paziente.
E dare attuazione alla riforma dell’ISEE per rendere più obiettivo e trasparente l’accesso alle prestazioni agevolate di oltre 20 milioni di italiani, con una particolare attenzione alle famiglie numerose e per quelle con figli molto piccoli. Senza dimenticare che la sanità e la sicurezza sociale sono la più grande industria di servizi del Paese. Promuoverla significa anche sostenere la crescita e l’innovazione.
Nuove e vecchie povertà nella recessione.
La crisi e la recessione hanno creato nuove povertà e aggravato il disagio degli oltre due milioni di italiani che già erano ai m argini della società o si trovavano a rischio di esclusione sociale. Il Governo ha completamente ridisegnato la social card, trasformandola in un vero strumento di inclusione attiva nella società, con servizi legati all’effettiva ricerca di
lavoro o inserimenti in attività organizzate a livello locale. E’ un’esperienza che dovrebbe essere generalizzata studiando come creare un reddito di sostentamento minimo, condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di inserimento professionale. Anche i servizi sociali territoriali, che hanno sofferto nella stretta della finanza pubblica, devono essere riconosciuti nella loro importanza fondamentale, trovando una soluzione di finanziamento strutturale e di lungo periodo. Infine, bisogna giocare la partita di un vero e proprio piano per l’autosufficienza.
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