IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE AL SUPERAMENTO DI OGNI FAZIOSITA’ NELLE POLITICHE DEL LAVORO E A “SCELTE INELUDIBILI DI RIEQUILIBRIO E RINNOVAMENTO NEL SISTEMA DELLE GARANZIE E DELLE TUTELE, A FAVORE, SOPRATTUTTO, DEI MENO PROTETTI”
Ampi stralci dell’intervento di Giorgio Napolitano al Convegno internazionale in ricordo di Marco Biagi svoltosi a Modena il 19 marzo 2009, pubblicati da il Riformista il giorno successivo come articolo di fondo.
Posi un anno fa l’esigenza che tutti gli uomini cui il “Giorno della memoria” è dedicato «siano ricordati non solo come vittime, ma come persone, che hanno vissuto, hanno avuto i loro affetti, il loro lavoro, il loro posto nella società, prima di cadere per mano criminale». Così Marco Biagi è ricordato per il suo percorso di vita, rimasto impresso in modo incancellabile nel sentimento della moglie, dei figli e dei famigliari e scandito da un impegno scientifico e civile che continua a dare frutti per il suo e nostro Paese.
E fu quell’impegno che il terrorismo delle Brigate Rosse volle colpire. Perché tra i tanti che furono uccisi o gravemente feriti – e che ricordiamo tutti, nomi illustri e oscuri, con eguale commosso rispetto e rimpianto – vi furono uomini colpiti ciecamente, spesso come astratti simboli dello Stato nemico che si presumeva di abbattere, o, perfino, casualmente coinvolti nella furia sanguinaria di quei “gruppi di fuoco”. Ma Marco Biagi e come lui altri che qui sono stati ricordati furono scelti come bersagli precisi per quel che concretamente erano e facevano, e per il meditato, sinistro messaggio che colpendoli a morte si voleva dare. Bersagli precisi in quanto figure di intellettuali, di docenti, di studiosi, di prezioso sapere specialistico e di profonda passione democratica, decisi a dare il loro contributo alla crescita di una nuova e più giusta convivenza sociale. Erano uomini che intesero porsi al servizio, non di una qualsiasi, pur legittima causa di partito, ma dello Stato democratico, delle sue istituzioni rappresentative – Governo e Parlamento – al di là dell’alternarsi delle maggioranze e degli indirizzi politici.
Questo era lo scandalo intollerabile per l’estremismo politico e ideologico sfociato nel terrorismo: che persone disinteressate, dedicate interamente alla ricerca e all’insegnamento, potessero impegnarsi a prestare le loro competenze e il loro ingegno alla ricerca di soluzioni valide per i problemi del lavoro, non esitando a “contaminarsi” con l’esercizio di responsabilità di governo. Questo era il filo che nella logica delle Brigate Rosse andava troncato: quello era il messaggio intimidatorio che bisognava dare spezzando le vite di Ezio Tarantelli, di Massimo D’Antona, di Marco Biagi, espostisi generosamente sul fronte dell’elaborazione di nuove politiche del lavoro.
Ma né la prima né la seconda di quelle vite spezzate e il messaggio di morte così lanciato, hanno trattenuto chi, come Marco Biagi, sentiva di non potersi piegare, di non poter farsi fermare dalla minaccia, di non poter rinunciare a rendere i servigi che erano in grado di rendere al mondo del lavoro e allo Stato democratico. È qui il senso e il coraggio della scelta che è costata la vita all’uomo che oggi ricordiamo e onoriamo. E di qui deve partire il nostro appello perché dalla società civile, dal mondo della cultura e dell’università, dall’intellettualità operante in diversi campi del sapere, venga l’impegno, venga il contributo attivo di cui lo Stato e la comunità nazionale hanno bisogno.
Non posso però concludere questa mia riflessione, senza tornare su un aspetto cruciale, e particolarmente doloroso, della vicenda di Marco Biagi. Egli è stato vittima della criminale aggressività del terrorismo brigatista, ma ha pagato anche, e prima, per lo spirito di fazione che da tempo avvelena la lotta politica e sociale nel nostro Paese. Uno spirito di fazione che impedisce ogni riconoscimento obbiettivo del valore di ricerche e di proposte come quelle portate avanti da Marco Biagi, con lo stesso disinteresse e spirito costruttivo, con la stessa indipendenza di giudizio, in due diverse fasi politiche. Uno spirito di fazione che impedisce di vedere e apprezzare gli elementi di continuità che si possono presentare in un campo dell’azione di governo e parlamentare come quello delle politiche del lavoro. E invece sarebbe necessario uno sforzo comune – cui nessuna delle parti in causa si sottragga – per riconoscere e coltivare questi elementi di continuità e le possibilità di convergenza che vi si legano – pur in una corretta dialettica tra diversi e opposti schieramenti politici – di fronte a problemi ancora attuali e nuovi, come quelli che Marco Biagi ha affrontato suggerendo lungimiranti ipotesi di soluzione e prospettive di sviluppo. Il punto di riferimento e d’incontro dovrebbe consistere nella consapevolezza, da diffondere finalmente nel mondo del lavoro, dell’esigenza di uscire da logiche puramente difensive, di non farsi guidare da vecchi riflessi di arroccamento attorno a visioni e conquiste del passato, rispetto a mutamenti obbiettivi innegabili e a scelte ineludibili di riequilibrio e rinnovamento nel sistema delle garanzie e delle tutele, a favore, soprattutto, dei meno protetti. Procedere in questo senso, liberarsi dallo spirito di fazione, significherebbe dare quel segno di maturità della nostra vita democratica che da troppo tempo si attende.