IN UNA SINGOLA AZIENDA PUO’ AVERE SENSO CHE SI ASSUMA UN GIOVANE AL POSTO DI UN ANZIANO CHE VA IN PENSIONE, MA SUL PIANO MACROECONOMICO NON E’ VERO CHE L’INVECCHIAMENTO ATTIVO DEGLI ANZIANI ABBIA UN EFFETTO DEPRESSIVO SUL TASSO DI OCCUPAZIONE GIOVANILE
Articolo di Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 9 dicembre 2012
Il contratto a tempo indeterminato resta un sogno, l’apprendistato non decolla, persino il lavoro precario diminuisce. La crisi ha reso le prospettive occupazionali dei giovani ancora più drammatiche.Il governo cerca soluzioni e sta ora considerando l’ipotesi di una “staffetta” che dovrebbe funzionare così: un lavoratore anziano accetta di mettersi a part-time, la Regione versa contributi aggiuntivi in modo che non ci siano perdite pensionistiche, l’azienda assume un giovane (che costa meno di un anziano). Una sorta di «patto fra generazioni», incentivato dallo Stato.
La disponibilità di fondi – e dunque la fattibilità dello schema – è incerta, ma intanto vale la pena di chiedersi: sarebbe una buona idea? I giovani italiani hanno disperato bisogno di qualche segnale positivo circa il proprio futuro, le imprese devono essere incoraggiate a servirsi dell’apprendistato.
Se questo strumento non diventa il canale «naturale» di accesso al mercato del lavoro, la riforma Fornero della scorsa estate fallirà il suo scopo. Il passaggio dal tempo pieno al part-time deve a sua volta diffondersi come uno dei percorsi normali di ritiro graduale dal lavoro, come già avviene in altri Paesi.
Se (rispettando le compatibilità di bilancio) fosse in grado di creare nuovi posti da apprendista e di rimuovere gli ostacoli organizzativi e culturali alla cosiddetta flessibilità «buona», l’introduzione di uno schema a staffetta potrebbe svolgere una funzione positiva. L’idea che il problema occupazionale possa risolversi con un patto fra generazioni è però sbagliata.
Poggia infatti sull’assunto che i giovani possono trovare lavoro solo nella misura in cui i lavoratori più anziani liberano «posti», andando in pensione. Sembra una supposizione ovvia e in alcuni casi (a questo o a quel giovane, in questa o quella azienda) le cose stanno davvero così.
Ma se guardiamo ai grandi numeri, non troviamo alcuna correlazione fra i tassi di occupazione degli anziani e i tassi di disoccupazione dei giovani. In altre parole: non è vero che se gli anziani si tolgono di mezzo, più giovani trovano lavoro. Le economie non sono delle scatole rigide, che possono fornire occupazione solo a un numero fisso di persone: mille dentro solo se altre mille vanno fuori.
Il totale è variabile e dipende da tanti fattori, gli stessi che generano crescita o decrescita: competitività, innovazione, capitale umano, diritto del lavoro e così via. Dove questi fattori si combinano in modo virtuoso, l’occupazione aumenta per tutti: giovani e anziani, uomini e donne. In Olanda negli ultimi quindici anni il tasso di occupazione femminile è aumentato del 54 per cento, quello degli uomini è rimasto stabile.
Nello stesso periodo la Gran Bretagna ha registrato un incremento congiunto sia dell’occupazione giovanile sia di quella dei lavoratori con età compresa fra i 60 e 65 anni. In Francia entrambi i tassi sono invece diminuiti. Lo scambio generazionale e quello fra i generi non sono evidentemente la strada giusta da percorrere.
La crisi che stiamo attraversando è molto grave ed è ragionevole non lasciare nulla di intentato. Bisogna però evitare false illusioni, fra chi governa e soprattutto fra chi si trova in condizioni di disagio. Se attecchisce l’idea che la soluzione al problema della disoccupazione giovanile è il patto generazionale, allora perché oltre alla staffetta dentro le imprese non abbassiamo di nuovo l’età pensionabile?
Perché, già che ci siamo, non ripristinare i prepensionamenti e le pensioni baby? Qualche irresponsabile lo sta già proponendo. Attenzione: ci siamo già passati e da trent’anni siamo il Paese Ue con i più bassi tassi di occupazione (totale, femminile e giovanile) e il più alto debito pubblico.
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