SE VUOLE GOVERNARE DAVVERO L’ITALIA, BERSANI DEVE RINUNCIARE A MOLTE PAROLE D’ORDINE CARE AI SUOI LUOGOTENENTI: DA QUELLA DELL’ALLENTAMENTO DELLE POLITICHE DI RIGORE FINANZIARIO A QUELLA DEL RITORNO ALLE PENSIONI DI ANZIANITÀ
Editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera del 4 dicembre 2012
«Dobbiamo vincere ma senza raccontare favole, perché poi non si governa». Questa frase, pronunciata da Pier Luigi Bersani subito dopo la vittoria, è forse il risultato più importante delle primarie del centrosinistra. Se il candidato premier ha sentito il bisogno di dirlo nel momento del successo, vuol dire che è consapevole che di favole ne sono state raccontate in questi mesi, e che è giunta l’ora di smetterla.
Nella favola più in voga si narra che l’arrivo della sinistra al governo libererà ingenti somme di denaro pubblico da investire in grandi opere (le «migliaia di cantieri» di cui parla Vendola), o in ritorni alle pensioni di anzianità (il progetto Damiano, poi bloccato dalla Ragioneria dello Stato perché costava 17 miliardi), o in «stimoli alla crescita» e «politiche industriali» (il keynesismo alla Fassina).
Questa favola si basa su due illusioni. La prima è che una sinistra vincente in Italia possa, in alleanza con i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi, ribaltare il tavolo europeo e mettere fine al rigore. Ma pure in Francia la sinistra vinse promettendo di riscrivere il Trattato europeo che impone la disciplina di bilancio, e una volta al governo si è precipitata a votarlo così com’era. E in Germania i socialdemocratici hanno approvato il Fiscal Compact, e non sembrano disposti a suicidarsi alle elezioni proponendo di spennare i tacchini tedeschi per i debiti dei passerotti italiani.
La seconda illusione è che Mr. Spread non sia più con noi. È vero, ieri è finalmente tornato, anche se per poco, sotto quota 300, la casa dei conti pubblici non brucia più, e questo si deve proprio a quelle politiche di rigore che nelle favole si sogna di rottamare. Però non è immaginabile alcuna crescita se le banche italiane continueranno a pagare interessi doppi di quelle tedesche e a farli pagare tripli alle imprese e alle famiglie. Lo spread ce lo abbiamo ancora sotto la pelle. E non si può nemmeno escludere che, se facciamo le mosse sbagliate, si debba ricorrere all’ombrello della Bce prima o dopo le elezioni.
Di favole ne sentiremo anche altre in campagna elettorale. Tipo quella che dice che possiamo risolvere i nostri problemi uscendo dall’euro (Grillo), o che potremmo risolverli tornando all’autorevolezza e alla credibilità di quando c’era lui (Berlusconi). Il Bersani che ha vinto le primarie ha dunque ora il dovere, oltre che il diritto datogli dal voto popolare, di agire da premier in pectore. Il suo Pd assomiglia oggi di più a un grande partito europeo, sia per le dimensioni elettorali fotografate dai sondaggi, sia per il pluralismo culturale che vi ha portato la sfida delle primarie. Il successo delle idee liberal, eretiche fino all’altro ieri e ora approvate da quattro elettori su dieci, può allargare il campo della sinistra. A patto che non si creda all’ultima favola che si racconta nel Pd: e cioè che le primarie le ha vinte il «profumo di sinistra» di Vendola, che ha preso quasi il 16%, e le ha perse il «profumo di destra» di Renzi, che ha preso il 40%.